La cura dal benessere |
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Un film di Gore Verbinski.
Con Dane DeHaan, Jason Isaacs, Mia Goth, Celia Imrie.
continua»
Titolo originale A Cure for Wellness.
Thriller,
durata 145 min.
- USA, Germania 2017.
- 20th Century Fox Italia
uscita giovedì 23 marzo 2017.
- VM 14 -
MYMONETRO
La cura dal benessere
valutazione media:
3,01
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Qui, più che mai, vince l'atmosferadi FabalFeedback: 14969 | altri commenti e recensioni di Fabal |
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sabato 25 marzo 2017 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
L’amministratore delegato di un’importante azienda finanziaria soggiorna in Svizzera presso una clinica del benessere: un giovane dipendente è incaricato di riportarlo a New York perché firmi un documento di fusione. Il viaggio del giovane Lockhart si rivela, però, problematico sin dall’inizio. Nella clinica, situata in un bellissimo castello a picco sui monti, regna un’inquietante serenità, tra anziani in accappatoio e sorrisi telecomandati. Nessuno sembra intenzionato a favorire l’incontro con il dirigente, così il ragazzo abbandona la struttura deciso a riprovarci l’indomani, ma l’auto su cui viaggia sbanda e Lockhart perde i sensi. Si risveglia nella clinica con una gamba rotta, con il primario a fianco che gli suggerisce di fermarsi alcuni giorni e provare i loro speciali trattamenti. Le scoperte sulla vera natura della clinica angosceranno, e non poco, il protagonista.
C’è di tutto e di più nel nuovo A Cure for Wellness, dalla fiaba alla parabola allucinata. Già l’introduzione della clinica, nei primi minuti, lascia trasparire un’evidente citazione di fondo a Shutter Island di cui Verbinski sembra voler vendicare il discutibile finale, che pur costituendo, a suo tempo, un colpo di scena, suonava come una ritirata strategica di Scorsese dal rischio del paranormale. Ancora c’è un misterioso istituto che di fatto è la rilettura del classico manicomio al neon, c’è l’uomo in missione che somiglia moltissimo a Di Caprio (il comunque bravino Dane DeHaan) e la deriva paranoide tra realtà e finzione che si respira già dalle prime battute. Eppure il film non è banale. Tutto quello che nel film di Scorsese era sporco, infetto, qui è invece confezionato da una regia candida e suggestiva, che si compiace delle immagini offerte dalla straordinaria location del castello di Hohenzollern. Il tutto con un indugio ricercato sui giochi di luce, sui riflessi che partoriscono un andamento lento anche da parte della sceneggiatura. Pur sotto la copertura di una regia capace, lo spettro di stereotipi è quello canonico, ma La cura del benessere riesce a fare in modo che il tutto sia superiore alla somma delle parti. Una sensazione di angoscia inedita, a tinte gotiche, è il “non so che” che rende nettamente superiore questo lavoro ai tanti horror immediati, e ormai di maniera, a cui siamo abituati, che giocano sulla ripresa singola e sul salto dalla poltrona. Qui, più che mai, vince l’atmosfera. Questo almeno per quanto riguarda la prima parte, che è prettamente esplorativa, e in cui lo spettatore osserva corridoi luminosi, altri bui, inquietanti macchinari d’ispirazione fantascientifica. Ma quella fantascienza da primo Novecento, che lavora per folli pratiche di eugenetica, mischiata a un tratto di occultismo gotico che non potrà non stimolare la sensibilità di un lettore di Lovecraft, ricordando alcuni racconti come L’esumazione e I topi nel muro. La fotografia di Bojan Bazelli è notevole, aiutata certamente dalla location, ma con le giuste tinte horror del primo adattamento di The Ring, diretto proprio da Gore Verbinski. Nella seconda parte, anziché dirottare sull’abusato equivoco della schizofrenia finale (si pensi non solo a Shutter Island ma anche al deludente finale di The machinist), Verbinski si fa in quattro per legittimare, con uno sforzo di logica importante, tutto l’impianto visivo che ha allestito con tanto impegno, evitando di ridurla a una banale (quella sì) allucinazione del protagonista. Vedremo, insomma, che è tutto vero, anche a costo di scendere nello strabattuto terreno del gothic thriller, dove ci sono buoni e cattivi, mortali e immortali maledetti, umano e sovrannaturale. Il calderone non inganni, perché il film continua comunque a scorrere, non lezioso, fino alla fine, dove non c’è un vero colpo di scena ma il compimento di un climax di scoperte macabre che Verbinski esaspera finché può, tirando la corda fino a spezzarla. Con alcune cadute di stile e l'improvviso panico di aver frainteso tutta la pellicola: ma queste sensazioni durano, fortunamente, pochi momenti, perché il film riesce sempre a riequilibrarsi con le proprie forze. Anche se non inventa, La cura del benessere sa sorprendere. Miscelando cose già viste in modo astuto, soprattutto quando la crudeltà gratuita di alcune scene si rifugia nell’alibi della citazione: c’è anche Il maratoneta tra i vari spunti, e non solo perché i gestori della clinica sembrano scienziati nazisti e i pazienti le loro cavie, ma perché il trapano sugli incisivi del protagonista terrorizzato fa ancora più male dell’originale. L’andamento, però, non precipita mai nello splatter, perché ogni sequenza “sporca” viene immediatamente corretta da una pulita, in modo che il film risulti equilibrato: si passa così da una camera segreta con corpi deformi al rilassante prato del castello, da una caverna sotterranea a un elegante ballo di corte, incredibilmente allusivo. Entrare nell’atmosfera de La cura del benessere è facile, uscirne molto meno. E dal cinema, dunque, non si esce malati d'entusiasmo ma certamente storditi. E forse in positivo.
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