kimkiduk
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lunedì 16 gennaio 2017
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chi può dire io so la verità?
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Argomento Chiesa/Religione/Credere e rapporto trascendenza/uomo.
Il problema è che io non riesco ad apprezzarlo nel cinema, mi fa imbestialire e diventa non una critica al film ma una mia presa di posizione politica. Devo pertanto sforzarmi di valutare quanto Scorsese ci vuol far capire, attraverso la rilettura del libro del giapponese Endo.
Innanzitutto mi fa piacere di avere appreso che sono 30 anni che cerca di fare un film sull'uomo che si arroga il diritto del sapere la verità. Pur se ha fatto altri film di carattere religioso, qui, sempre secondo me, esprime soprattutto questo concetto.
Lo fa con frasi importanti in vari momenti del film, dove la sua posizione varia a seconda che sia vista dalla mente dei gesuiti, dalla mente dei contadini poveri o dalla mente dei "capi" giapponesi.
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Argomento Chiesa/Religione/Credere e rapporto trascendenza/uomo.
Il problema è che io non riesco ad apprezzarlo nel cinema, mi fa imbestialire e diventa non una critica al film ma una mia presa di posizione politica. Devo pertanto sforzarmi di valutare quanto Scorsese ci vuol far capire, attraverso la rilettura del libro del giapponese Endo.
Innanzitutto mi fa piacere di avere appreso che sono 30 anni che cerca di fare un film sull'uomo che si arroga il diritto del sapere la verità. Pur se ha fatto altri film di carattere religioso, qui, sempre secondo me, esprime soprattutto questo concetto.
Lo fa con frasi importanti in vari momenti del film, dove la sua posizione varia a seconda che sia vista dalla mente dei gesuiti, dalla mente dei contadini poveri o dalla mente dei "capi" giapponesi.
La bravura del regista sta proprio qui e rende interessante il film, che se anche lungo 2h.40' ti tiene sempre attento e partecipe. La sua posizione, se pur per me chiara, è analizzata a seconda dei vari punti di vista ed arriva alla conclusione che nessuno ha il diritto di dire come vivere la propria religiosità se ritenuta necessaria. Se ne può fare a meno e soprattutto se ne deve fare a meno nel manifestarla affermando l'assoluta certezza di quanto affermato.
Diventa così quasi un messaggio al mondo, in un momento in cui la paradossale lotta tra religioni assume spesso i connotati di intrasigenza e fanatismo. Mi verrebbe da citare qualcuno che diceva che le religioni sono il male del mondo .... ma ricadrei nel politichese e non lo dico.
Stare poi a dire che il film ha immagini e colori bellissimi (cito una visione dall'alto di una camminata dei gesuiti sulle scale o l'arrivo in Giappone sul mare con la barca sempre presa dall'alto .... chissà se le due immagini hanno un significato unico di appiattimento della realtà), che i personaggi sono descritti benissimo, che la regia è ottima, mi sembra quasi banale, scontato e quasi inutile.
Unico neo è che trovo abbastanza irreale il fatto che nel 1600 tutti in Giappone sapessero dell'esistenza del Portogallo, Spagna ecc. e sapessero tutti le lingue. Complimenti direi.
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catapulta
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lunedì 16 gennaio 2017
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lascia il segno, ma anche qualche delusione
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Il fatto che il film meriti una recensione è sinonimo di "opera che merita attenzione". Tuttavia, sono troppi i piani che il film cerca di esprimere per essere tutti sufficientemente sviluppati. Il tema del rapporto con la religione e fra le religioni sarebbe già stato abbastanza, ma la regia ha voluto introdurre quello dei rapporti fra i poteri sociali, dei rapporti fra le culture ed anche la caratterizzazione di alcuni personaggi di potere, creando troppe "topics" che guastano la limpidezza del racconto principale. La prima parte, poi, è troppo lenta e tende ad annoiare, mentre il finale è sicuramente più coinvolgente, dinamico e pregno di significati.
La sceneggiatura è bella, forse troppo marcata, come troppo marcati sono alcuni personaggi.
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Il fatto che il film meriti una recensione è sinonimo di "opera che merita attenzione". Tuttavia, sono troppi i piani che il film cerca di esprimere per essere tutti sufficientemente sviluppati. Il tema del rapporto con la religione e fra le religioni sarebbe già stato abbastanza, ma la regia ha voluto introdurre quello dei rapporti fra i poteri sociali, dei rapporti fra le culture ed anche la caratterizzazione di alcuni personaggi di potere, creando troppe "topics" che guastano la limpidezza del racconto principale. La prima parte, poi, è troppo lenta e tende ad annoiare, mentre il finale è sicuramente più coinvolgente, dinamico e pregno di significati.
La sceneggiatura è bella, forse troppo marcata, come troppo marcati sono alcuni personaggi. Comunque per me un buon film, anche se ho visto qualche spettatore uscire prima della fine.
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evildevin87
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martedì 17 gennaio 2017
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un'opera imponente e riflessiva
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“Alla preghiera, risponde il silenzio.”
Siamo nel XVII° secolo. Due giovani padri gesuiti partono dal Portogallo alla volta del Giappone per cercare il loro mentore, padre Ferreira, e portare la parola di Cristo nella nazione. Arrivati sul posto scopriranno ben presto, anche a loro spese, gli orrori della persecuzione dei kirishitan ad opera dell’inquisizione locale.
Da tanti anni il buon Martin Scorsese aveva intenzione di trasporre sullo schermo l’omonimo romanzo di Shūsaku Endō (che io non ho letto). Ebbene, eccoci qui a parlarne, leggerne e goderne (o patirne, a seconda dei gusti).
Tanto per cominciare: non che io abbia qualcosa da ridire circa le ultime produzioni di Scorsese, sia chiaro, ma passare dai suoi ultimi titoli e dal suo stile solito a questa opera imponente, lenta e riflessiva può essere un trauma per molti.
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“Alla preghiera, risponde il silenzio.”
Siamo nel XVII° secolo. Due giovani padri gesuiti partono dal Portogallo alla volta del Giappone per cercare il loro mentore, padre Ferreira, e portare la parola di Cristo nella nazione. Arrivati sul posto scopriranno ben presto, anche a loro spese, gli orrori della persecuzione dei kirishitan ad opera dell’inquisizione locale.
Da tanti anni il buon Martin Scorsese aveva intenzione di trasporre sullo schermo l’omonimo romanzo di Shūsaku Endō (che io non ho letto). Ebbene, eccoci qui a parlarne, leggerne e goderne (o patirne, a seconda dei gusti).
Tanto per cominciare: non che io abbia qualcosa da ridire circa le ultime produzioni di Scorsese, sia chiaro, ma passare dai suoi ultimi titoli e dal suo stile solito a questa opera imponente, lenta e riflessiva può essere un trauma per molti. Il regista italoamericano qui è quasi irriconoscibile, eccezion fatta per le sue tematiche: peccato —> punizione —> redenzione. Il film ha un andamento estremamente lento, privo di momenti di azione o di particolare suggestione visiva (al di là del solito eccezionale gusto per le inquadrature del maestro). Scorsese esige dal pubblico un’attenzione alta per 160 minuti. 160 minuti di riflessione, di domande, di dubbi… Ecco. Di dubbi. Mi soffermo qui in particolare perchè questo non è un film sulla religione. Non è un film che impone o esprime qualcosa o ci vuole convincere del giusto e dello sbagliato. E’ un film dubitativo. Un film sul dubbio. Il dubbio qui fa da padrone, non c’è alcuno spazio per la certezza. Ogni certezza alla quale si aggrappano i personaggi viene costantemente discussa, scossa, messa duramente alla prova fino all’invetabile cedimento. C’è solo una certezza in fin dei conti: il silenzio. L’assordante e indifferente silenzio (rafforzato dall’assenza di colonna sonora) che segue ogni preghiera o lamento di dolore rivolto all’entità suprema. Ed è questa terribile certezza a far vacillare la fede di padre Rodrigues (interpretato da un appena sufficiente Andrew Garfield, unico neo del film a parer mio). Il giovane padre gesuita seguirà, lungo il suo viaggio, un cammino in tutto e per tutto riconducibile a quello di Cristo, e la cosa lo farà inevitabilmente peccare di superbia (qui, il PECCATO). Quando verrà catturato dall’inquisizione, chiederà a quest’ultima di mettere alla prova la sua fede. Ma, di tutta risposta, arriverà la PUNIZIONE. A rimetterci saranno solo terze persone, compreso il suo compagno di viaggio Francisco Garupe (Adam Driver), che morirà, falsamente convinto che l’amico abbia abiurato, nel vano tentativo di salvare una povera contadina dalla morte. Come se non bastasse, compare padre Ferreira (Liam Neeson), non più nei panni del mentore che Rodrigues stimava e ammirava, ma di un prete apostata con tanto di nome giapponese e una famiglia “ereditata”: una sorta di Walter Kurtz che ha (forse…) perso la fede anzichè la ragione fondamentalmente, che spiega al nostro protagonista il perchè la loro religione sia totalmente incompatibile con la cultura giappionese. Non importa quanto si sforzino i padri gesuiti o perfino i kirishitan: il popolo giapponese non può concepire l’idea di un’entità che trascenda la natura che ci circonda. A questo proposito, più volte il film ci presenta davanti il parallelismo tra la le culture di due paesi e le piante che possono prosperare in un certo tipo di terreno e marcire in un altro, e, oltre ad essere un esempio più che calzante, è proprio quello che succede ad entrambi i personaggi: una fede apparentemente incrollabile, un cammino simile, la stessa superbia e lo stesso triste destino. Durante tutto il film le preghiere dei personaggi sono continue e incessanti, ma la risposta che arriva è sempre la stessa: silenzio. Un silenzio che logora la fede e soffoca nel dubbio. Un silenzio che verrà rotto soltanto da dei lamenti di dolore che tu stesso, con un semplice gesto che in fin dei conti è pura formalità, puoi fermare. Arrendersi per fare la cosa giusta, che il tuo stesso Gesù Cristo avrebbe fatto in nome del buon senso. Abiurare per porre fine ad un’inutile sofferenza causata più dalla superbia del credersi un messia, piuttosto che dalla crudeltà umana, e rimanere a servire la stessa nazione che volevi colonizzare (qui, la REDENZIONE). Sul finale poi, torneranno sia il discorso della “pura formalità” che delle “radice prospere in un terreno e marce in un altro”, stavolta non sulla cultura e la religione ma sulla fede, che Rodrigues non ha mai abbandonato fino alla fine dei suoi giorni nonostante abbia passato il resto della sua vita come un prete caduto.
Scorsese qui non si è limitato a raccontarci una storia, ma ha condiviso col pubblico un pezzo di sè. Ha realizzato un’opera dubitativa, omettendo le moraline facili e le lezioncine. Ha regalato al grande pubblico i suoi dubbi e le sue riflessioni sulla fede, e chi è riuscito a scorgere tutto ciò ne è uscito scosso, dubbioso. Sentiva che, nonostante magari il film sulle prime non lo avesse tanto convinto, gli aveva lasciato qualcosa. Questo qualcuno, che sarebbe chi scrive, solo dopo una seconda visione ha capito che si trovava d’innanzi a del vero e proprio Cinema (la maiuscola non è casuale): quello che sedimenta e arricchisce. E se riesce a far riflettere sulla fede persino una persona per niente religiosa come il sottoscritto, non oso immaginare quanto potrebbe arricchire interiormente un credente o una persona generalmente spirituale. Scorsese qui ci ha lautamente ricordato cos’è il Cinema. E al vero Cinema, è bene che risponda il silenzio.
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[+] cos'è il paradiso?
(di kleber)
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domenica 22 gennaio 2017
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direi proprio che non ci siamo
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Trovo che il film, più che essere una riflessione sul silenzio di Dio nei confronti dei mali del mondo, sia un''antologia, vorrei dire un concentrato di scene degne del Grand Guignol, nelle quali sono descritte in modo esplicito episodi di torture e di ferocia in numero assolutamente eccessivi rispetto al concetto che si voleva esprimere. Scene che non ci meravigliano conoscendo la predisposizione di Scorsese a descrizioni truculente (vedasi "Gangs of New York", "Quei bravi ragazzi" ecc..). Ben diverso è il tratto con il quale Bergman ci ha parlato dello stesso argomento (Il silenzio di Dio) nella famosa trilogia, non facendo nessuna concessione allo spettacolo, se così si può chiamare quello di Scorsese.
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Trovo che il film, più che essere una riflessione sul silenzio di Dio nei confronti dei mali del mondo, sia un''antologia, vorrei dire un concentrato di scene degne del Grand Guignol, nelle quali sono descritte in modo esplicito episodi di torture e di ferocia in numero assolutamente eccessivi rispetto al concetto che si voleva esprimere. Scene che non ci meravigliano conoscendo la predisposizione di Scorsese a descrizioni truculente (vedasi "Gangs of New York", "Quei bravi ragazzi" ecc..). Ben diverso è il tratto con il quale Bergman ci ha parlato dello stesso argomento (Il silenzio di Dio) nella famosa trilogia, non facendo nessuna concessione allo spettacolo, se così si può chiamare quello di Scorsese. Non vorrei essere pedante, ma vorrei elencare i più importanti episodi di "spettacolo": - i predicatori cristiani vengono torturati versando loro lungo il corpo acqua bollente (si precisa che l''acqua deve essere versata lentamente perche cosi il risultato è più doloroso) -poveri contadini giapponesi vengono avvolti in stuoie di canna, legati e posti su una pira dove vengono bruciati vivi. Oppure, sempre legati alle stuoie, vengono portati in una palude e dalla barca vengono buttati in acqua dove affogano (ci vengono mostrate le pertiche con le quali i corpi vengono spinti sul fondo) - ad un uomo viene tagliata la tesa, che si vede ruzzolare al suolo. Non basta: il corpo, privo di testa viene fatto strisciare, appeso ai piedi: dal collo esce una lunga striscia di sangue. La scena è perfino ripetuta due volte! - Quattro poveri contadini vengono appesi per i piedi fino alla morte (che almeno in questo caso non si verificherà). In compenso veniamo informati che sul loro collo è stata praticata una piccola incisione che fa percolare un filo di sangue: questo impedirà al sangue di affluire alla testa ed allungherà il tempo del supplizio dei disgraziati. - alcuni uomini (sempre contadini giapponesi che si erano convertiti al cristianesimo) vengono crocifissi. Veniamo informati che l''ultimo di essi impiega 4 giorni per morire e di questo ci vengono fatti vedere gli ultimi minuti. Ho dimenticato di certo qualche altra perla. Il tutto inserito in una tematica pseudo filosofica in cui si vorrebbe trattare il tema del silenzio di Dio di fronte al dolore, alle ingiustizie ecc.. E non manca nel finale una spiegazione storicistica nella quale si inseriscono questi avvenimenti in una reazione di una cultura (o di un regime) contro lo sfruttamento colonialistico della religione, il chè è senz''altro vero, ma è buttato lì negli ultimi minuti del film. L''assunto di Scorsese si limita in realtà al tentativo di rispondere ad una domanda: "fino a che punto vale la pena di difendere e diffondere la propria fede religiosa?" . Un pò poco per due ore e mezza di orrori e di noia.
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dinoroar
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lunedì 23 gennaio 2017
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tutto troppo ...
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Troppo lungo, troppo ripetitivo, troppi primi piani, troppi silenzi, troppe torture ... troppo poco spiegata la storia che ha portato dall'accettazione alla persecuzione dei Cristiani in terra nipponica. E' vero che non vuole esere un docu-film, ma un filo di informazioni in più per meglio contestuaizzare la storia non avrebbero distolto dall'argomento trattato. Argomento molto diffficile, trattato con maestria in un percorso tortuoso e sofferto, che però, a causa di molte ripetizioni e troppe torture, alla fine intorpidisce invece di aumentare l'attenzione.
Da vedere senza ombra di dubbio, ma qualche colpo di forbice qua e la avrebbe evitato qualche "russamento" in sala, e un aiuto nella lettura avrebbe contribuito a tenere alta l'attenzione.
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Troppo lungo, troppo ripetitivo, troppi primi piani, troppi silenzi, troppe torture ... troppo poco spiegata la storia che ha portato dall'accettazione alla persecuzione dei Cristiani in terra nipponica. E' vero che non vuole esere un docu-film, ma un filo di informazioni in più per meglio contestuaizzare la storia non avrebbero distolto dall'argomento trattato. Argomento molto diffficile, trattato con maestria in un percorso tortuoso e sofferto, che però, a causa di molte ripetizioni e troppe torture, alla fine intorpidisce invece di aumentare l'attenzione.
Da vedere senza ombra di dubbio, ma qualche colpo di forbice qua e la avrebbe evitato qualche "russamento" in sala, e un aiuto nella lettura avrebbe contribuito a tenere alta l'attenzione.
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kaipy
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martedì 24 gennaio 2017
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senza slancio
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Meglio il primo tempo del secondo, ma entrambi privi di slancio.
Il film si trascina senza inserimenti di nota, la trama procede senza balzi e prepara il terreno per l'incontro con Ferreira che si sfalda subito dopo, in un riassunto conclusivo...
Il percorso di fede messo duramente alla prova dalle persecuzioni non arriva con l'impatto dovuto.
I dialoghi con l'inquisitore che dovrebbero intelligentemente mettere a confronto Cristianesimo e Buddismo sono appena accennati e superficiali.
La crisi spirituale del giovane gesuita non arriva, le sue domande a Dio neppure...
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mercoledì 25 gennaio 2017
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much silence about nothing
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Come Ennio Flaiano diceva di Bergman, "Tanto silenzio per nulla". Encomiabile il tentativo di Scorsese di farci entrare nel mondo così lontano da noi dei gesuiti del ''600 missionari in Giappone e dei pescatori e funzionari giapponesi, ma nel mio caso, tentativo poco riuscito. Troppo distanti dal mio mondo per essere credibili i personaggi, la loro mentalità, psicologia, filosofia, stile di vita. Da un lato il tentativo di rendere simili alcuni aspetti delle relazioni (tipo il contatto fisico, gli abbracci) avendo conosciuto l''attitudine dei religiosi, mi risultava inverosimile, perfino per i giorni nostri. Dall''altra parte il mondo dei giapponesi buddisti restava fino alla fine tanto alieno e imperscrutabile che poteva essere un pianeta di fantascienza e sarebbe stato uguale.
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Come Ennio Flaiano diceva di Bergman, "Tanto silenzio per nulla". Encomiabile il tentativo di Scorsese di farci entrare nel mondo così lontano da noi dei gesuiti del ''600 missionari in Giappone e dei pescatori e funzionari giapponesi, ma nel mio caso, tentativo poco riuscito. Troppo distanti dal mio mondo per essere credibili i personaggi, la loro mentalità, psicologia, filosofia, stile di vita. Da un lato il tentativo di rendere simili alcuni aspetti delle relazioni (tipo il contatto fisico, gli abbracci) avendo conosciuto l''attitudine dei religiosi, mi risultava inverosimile, perfino per i giorni nostri. Dall''altra parte il mondo dei giapponesi buddisti restava fino alla fine tanto alieno e imperscrutabile che poteva essere un pianeta di fantascienza e sarebbe stato uguale. Resta valida la parte puramente filmica, fotografia, riprese, montaggio. A Scorsese non mancala tecnica per ipnotizzare qualunque spettatore ma se manca il coinvolgimento emotivo, alla lunga (ed è lunga) non si va molto in là.
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mauridal
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venerdì 27 gennaio 2017
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padres,samurai,solntse shogun
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SILENCE un film di Martin Scorsese USA 2016
Martin Scorsese, :
« Si crea un’atmosfera attraverso l’immagine.
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SILENCE un film di Martin Scorsese USA 2016
Martin Scorsese, :
« Si crea un’atmosfera attraverso l’immagine. Ci si colloca in un ambiente dove si può sentire l’alterità. E sono queste le immagini, le idee e le emozioni che si traggono dal cinema. Ci sono certe cose intangibili che le parole, semplicemente, non possono esprimere». La dichiarazione è di Martin Scorsese ,sul film Silence , e credo sia la chiave per capire e decifrare il film , che contiene molti livelli di lettura , a volte poco chiari per chi da comune spettatore si pone davanti ad una opera cinematografica con tutto l'impegno possibile, ma che alla fine, come in questo film si limita a registrare, l'impossibilità per le parole di esprimere un senso religioso ,spirituale che il regista ormai decisamente avverte e cerca di comunicare. Scorsese ci ha abituati alla azione spregiudicata e violenta dei suoi personaggi, e le storie che ha raccontato fino ad ora forse hanno sottinteso un motivo morale oppure etico , ma qui la questione diventa una palese ricerca del senso e della necessità del trascendente,e che si pone col nome di Gesù cristo o col nome di Budda , a seconda dei personaggi che si presentano, siano preti gesuiti portoghesi che monaci giapponesi o apostati cristiani. Il film dichiara soprattutto attraverso le immagini , che il silenzio , è necessario per ascoltare se stessi e interpretare il volere del Dio in cui si crede, e difatti il film mancando di colonna sonora accentua l'importanza dei dialoghi , anche troppo intensi e pieni di parole pur se monologhi interiori dei due preti gesuiti. Insomma un film che prende e interessa lo spettatore sensibile alla crisi dei modelli e dei valori religiosi che nei secoli passati ha visto dure contrapposizioni di civiltà e popoli e che ancora oggi nel nome del Dio e dei sui profeti rischia di condurre l'umanità alla catastrofe. Ma il merito di Scorsese è di aver mostrato una crisi individuale , una ricerca spirituale intima dell'uomo e non una religione di potere sociale che condiziona stati e intere società , anche se una certa critica allusiva ad un palude in cui versava il Giappone nel 1600 forse non coincide con il vero tema del film. Ad ogni modo non sfugge che il regista stesso sia coinvolto in una contraddittoria ricerca mistico spirituale , più vicina alla spiritualità orientale che a quella occidentale. La chiave risolutiva del film , è la libertà di credere e la possibilità di un uomo anche di non credere in un Dio ,addirittura di rifiutare e di calpestare una scelta per un principio di umanità che deve valere su tutto ,religioni e ideologie comprese. Forse Martin Scorsese in questo suo gran bel film sente di dover lasciare un messaggio di libertà in un bilancio della sua opera di regista. (mauridal)
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uppercut
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domenica 12 marzo 2017
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peccato!
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Peccato! dato anche il tema del film, viene più che mai da esclamarlo. Le intenzioni, covate nel silenzio, sono di una potenza straordinaria ma proprio per questo, le cadute risultano rumorosissimi schianti. Complice anche il doppiaggio, quello che vorrebbe essere un viaggio nell'anima finisce a volte per apparire una puntata dell'Invicibile Shogun con il Cattivo che parla come il serpente Kaa o, a tratt,i uno spot dello shampoo più efficace della storia (parrucco davvero terribile). La scena in assoluto più infelice è quella della olimpionica nuotata in perfetto stile libero del prete gesuita evidentemente cresciuto al college californiano. Lunghissimo, ripetitivo, ricurvo, prigioniero di se stesso, il film trova il suo scatto salvifico proprio nell'ultima parte dove il senso emerge più limpido e prezioso.
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Peccato! dato anche il tema del film, viene più che mai da esclamarlo. Le intenzioni, covate nel silenzio, sono di una potenza straordinaria ma proprio per questo, le cadute risultano rumorosissimi schianti. Complice anche il doppiaggio, quello che vorrebbe essere un viaggio nell'anima finisce a volte per apparire una puntata dell'Invicibile Shogun con il Cattivo che parla come il serpente Kaa o, a tratt,i uno spot dello shampoo più efficace della storia (parrucco davvero terribile). La scena in assoluto più infelice è quella della olimpionica nuotata in perfetto stile libero del prete gesuita evidentemente cresciuto al college californiano. Lunghissimo, ripetitivo, ricurvo, prigioniero di se stesso, il film trova il suo scatto salvifico proprio nell'ultima parte dove il senso emerge più limpido e prezioso. Anche qui, però, peccato sia mancato il coraggio di un'uscita dalla dimensione penitenziale con un sorriso, un abbraccio tra padre e figlio acquisito, un raggio di luce finalmente naturale e non riconducibile ad alcun effetto divino o speciale. Ma questo è il buon vecchio Martin. Luterano già nel nome. Prendere o lascare. Genuflettersi o farsi un giro.
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goldy
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sabato 14 gennaio 2017
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ecco perchè 30 anni
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Trenta sono gli anni che Scorsese ha usato prima di decidersi a girare il film della vita. Per un Cattolico vero come lui è il tempo ha un senso che non ha limiti. E' ora, arrivato a maturazione il suo sentire e pervenuto a una comclusione che probabilmente è diversa da quella sperata, Scorsese ha confezionato uk film di rara potenza per forma e contenuto, Rara nel cinema è la capacità di approfondimento ma lui dimostra che le due cose: approfondimento e spettacolo si possono tenere unite e come, basta saperlo fare. Certo la crudeltà molto prolungata delle scene sono alle volte intollerabili ma tutte così giustificate e funzionali all'affernazione di un pensiero perfetto per rigore e coerenza logica.
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Trenta sono gli anni che Scorsese ha usato prima di decidersi a girare il film della vita. Per un Cattolico vero come lui è il tempo ha un senso che non ha limiti. E' ora, arrivato a maturazione il suo sentire e pervenuto a una comclusione che probabilmente è diversa da quella sperata, Scorsese ha confezionato uk film di rara potenza per forma e contenuto, Rara nel cinema è la capacità di approfondimento ma lui dimostra che le due cose: approfondimento e spettacolo si possono tenere unite e come, basta saperlo fare. Certo la crudeltà molto prolungata delle scene sono alle volte intollerabili ma tutte così giustificate e funzionali all'affernazione di un pensiero perfetto per rigore e coerenza logica. Il Dio cercato che se ne sta silente riceve una risposta anche se in modo del tutto casuale da Young Pope di Sorrentino quando il Papa nel discorso finale da San Marco in Venezia dice“ Dio non si concede e non si fa vedere. Dio non vede. Dio non bisbiglia, Dio non grida, Dio non scrive, Dio non sente Dio non chiacchera, Dio non ci conforta ........... Dio sorride.
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