Silence |
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Un film di Martin Scorsese.
Con Andrew Garfield, Adam Driver, Liam Neeson, Tadanobu Asano, Ciarán Hinds.
continua»
Drammatico,
Ratings: Kids+13,
durata 161 min.
- USA 2016.
- 01 Distribution
uscita giovedì 12 gennaio 2017.
MYMONETRO
Silence
valutazione media:
3,68
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Un'opera imponente e riflessivadi EvilDevin87Feedback: 7071 | altri commenti e recensioni di EvilDevin87 |
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martedì 17 gennaio 2017 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
“Alla preghiera, risponde il silenzio.” Siamo nel XVII° secolo. Due giovani padri gesuiti partono dal Portogallo alla volta del Giappone per cercare il loro mentore, padre Ferreira, e portare la parola di Cristo nella nazione. Arrivati sul posto scopriranno ben presto, anche a loro spese, gli orrori della persecuzione dei kirishitan ad opera dell’inquisizione locale. Da tanti anni il buon Martin Scorsese aveva intenzione di trasporre sullo schermo l’omonimo romanzo di Shūsaku Endō (che io non ho letto). Ebbene, eccoci qui a parlarne, leggerne e goderne (o patirne, a seconda dei gusti). Tanto per cominciare: non che io abbia qualcosa da ridire circa le ultime produzioni di Scorsese, sia chiaro, ma passare dai suoi ultimi titoli e dal suo stile solito a questa opera imponente, lenta e riflessiva può essere un trauma per molti. Il regista italoamericano qui è quasi irriconoscibile, eccezion fatta per le sue tematiche: peccato —> punizione —> redenzione. Il film ha un andamento estremamente lento, privo di momenti di azione o di particolare suggestione visiva (al di là del solito eccezionale gusto per le inquadrature del maestro). Scorsese esige dal pubblico un’attenzione alta per 160 minuti. 160 minuti di riflessione, di domande, di dubbi… Ecco. Di dubbi. Mi soffermo qui in particolare perchè questo non è un film sulla religione. Non è un film che impone o esprime qualcosa o ci vuole convincere del giusto e dello sbagliato. E’ un film dubitativo. Un film sul dubbio. Il dubbio qui fa da padrone, non c’è alcuno spazio per la certezza. Ogni certezza alla quale si aggrappano i personaggi viene costantemente discussa, scossa, messa duramente alla prova fino all’invetabile cedimento. C’è solo una certezza in fin dei conti: il silenzio. L’assordante e indifferente silenzio (rafforzato dall’assenza di colonna sonora) che segue ogni preghiera o lamento di dolore rivolto all’entità suprema. Ed è questa terribile certezza a far vacillare la fede di padre Rodrigues (interpretato da un appena sufficiente Andrew Garfield, unico neo del film a parer mio). Il giovane padre gesuita seguirà, lungo il suo viaggio, un cammino in tutto e per tutto riconducibile a quello di Cristo, e la cosa lo farà inevitabilmente peccare di superbia (qui, il PECCATO). Quando verrà catturato dall’inquisizione, chiederà a quest’ultima di mettere alla prova la sua fede. Ma, di tutta risposta, arriverà la PUNIZIONE. A rimetterci saranno solo terze persone, compreso il suo compagno di viaggio Francisco Garupe (Adam Driver), che morirà, falsamente convinto che l’amico abbia abiurato, nel vano tentativo di salvare una povera contadina dalla morte. Come se non bastasse, compare padre Ferreira (Liam Neeson), non più nei panni del mentore che Rodrigues stimava e ammirava, ma di un prete apostata con tanto di nome giapponese e una famiglia “ereditata”: una sorta di Walter Kurtz che ha (forse…) perso la fede anzichè la ragione fondamentalmente, che spiega al nostro protagonista il perchè la loro religione sia totalmente incompatibile con la cultura giappionese. Non importa quanto si sforzino i padri gesuiti o perfino i kirishitan: il popolo giapponese non può concepire l’idea di un’entità che trascenda la natura che ci circonda. A questo proposito, più volte il film ci presenta davanti il parallelismo tra la le culture di due paesi e le piante che possono prosperare in un certo tipo di terreno e marcire in un altro, e, oltre ad essere un esempio più che calzante, è proprio quello che succede ad entrambi i personaggi: una fede apparentemente incrollabile, un cammino simile, la stessa superbia e lo stesso triste destino. Durante tutto il film le preghiere dei personaggi sono continue e incessanti, ma la risposta che arriva è sempre la stessa: silenzio. Un silenzio che logora la fede e soffoca nel dubbio. Un silenzio che verrà rotto soltanto da dei lamenti di dolore che tu stesso, con un semplice gesto che in fin dei conti è pura formalità, puoi fermare. Arrendersi per fare la cosa giusta, che il tuo stesso Gesù Cristo avrebbe fatto in nome del buon senso. Abiurare per porre fine ad un’inutile sofferenza causata più dalla superbia del credersi un messia, piuttosto che dalla crudeltà umana, e rimanere a servire la stessa nazione che volevi colonizzare (qui, la REDENZIONE). Sul finale poi, torneranno sia il discorso della “pura formalità” che delle “radice prospere in un terreno e marce in un altro”, stavolta non sulla cultura e la religione ma sulla fede, che Rodrigues non ha mai abbandonato fino alla fine dei suoi giorni nonostante abbia passato il resto della sua vita come un prete caduto. Scorsese qui non si è limitato a raccontarci una storia, ma ha condiviso col pubblico un pezzo di sè. Ha realizzato un’opera dubitativa, omettendo le moraline facili e le lezioncine. Ha regalato al grande pubblico i suoi dubbi e le sue riflessioni sulla fede, e chi è riuscito a scorgere tutto ciò ne è uscito scosso, dubbioso. Sentiva che, nonostante magari il film sulle prime non lo avesse tanto convinto, gli aveva lasciato qualcosa. Questo qualcuno, che sarebbe chi scrive, solo dopo una seconda visione ha capito che si trovava d’innanzi a del vero e proprio Cinema (la maiuscola non è casuale): quello che sedimenta e arricchisce. E se riesce a far riflettere sulla fede persino una persona per niente religiosa come il sottoscritto, non oso immaginare quanto potrebbe arricchire interiormente un credente o una persona generalmente spirituale. Scorsese qui ci ha lautamente ricordato cos’è il Cinema. E al vero Cinema, è bene che risponda il silenzio.
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