fabiofeli
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domenica 13 novembre 2016
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"... senza lasciarmi detto niente!"
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Massimo (Nicolò Cabras) nel 1969 ha nove anni e vive a Torino con i genitori in una casa borghese a due passi dallo stadio Filadelfia, il campo dei mitici granata. E’ l’epoca di Canzonissima e degli sceneggiati televisivi: la madre fantasiosa e vivace stimola Massimo ad esprimere la sua fisicità elegante nel ballo del twist e segue con lui le puntate di Belfagor in Tv, abbracciandolo stretto e coprendogli di occhi nelle scene forti. Mentre cade una placida nevicata, la madre gli rimbocca le coperte e gli augura bei sogni, ma l’illusione di serenità si spezza nel dramma. L’improvvisa morte della madre – un infarto fulminante. gli dicono gli adulti – precipita Massimo in un lutto di impossibile elaborazione; dice: “Non può essersene andata, senza lasciarmi detto niente!”.
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Massimo (Nicolò Cabras) nel 1969 ha nove anni e vive a Torino con i genitori in una casa borghese a due passi dallo stadio Filadelfia, il campo dei mitici granata. E’ l’epoca di Canzonissima e degli sceneggiati televisivi: la madre fantasiosa e vivace stimola Massimo ad esprimere la sua fisicità elegante nel ballo del twist e segue con lui le puntate di Belfagor in Tv, abbracciandolo stretto e coprendogli di occhi nelle scene forti. Mentre cade una placida nevicata, la madre gli rimbocca le coperte e gli augura bei sogni, ma l’illusione di serenità si spezza nel dramma. L’improvvisa morte della madre – un infarto fulminante. gli dicono gli adulti – precipita Massimo in un lutto di impossibile elaborazione; dice: “Non può essersene andata, senza lasciarmi detto niente!”. Tempesta di domande e di dubbi il suo insegnante, un prete (un cameo del bravissimo Roberto Herlitzka), ma la sola risposta è la fede, non la razionalità. Cresce con difficoltà Massimo, con un ruvido padre che lo porta allo stadio ed esulta sollevandolo come un trofeo per i gol del Toro. Diversi anni dopo lo ritroviamo giornalista alla Stampa (Valerio Mastandrea), specialista sportivo, ma anche inviato speciale nella crisi jugoslava. Raccoglie le ultime confidenze di un magnate della finanza (Fabrizio Gifuni), appena prima del suo suicidio ed è il successo; arriva anche la notorietà da una sua risposta ad un lettore legato alla madre da un rapporto amore-odio. Ma ancora vagola con la sua compagna ad una festa rave e si scioglie solo nella fisicità del ballo, un twist come sa farlo solo lui. E’ tormentato da quell’antico ricordo e dal non sapere la verità che tutti gli hanno nascosto …
Il libro di Gramellini offre una bella traccia sulla quale Bellocchio lavora con grande destrezza. Il filo storico che si dipana lungo trenta anni racconta anche della provincialità del nostro paese, stretto tra calcio e canzoni. Ma il tema centrale è quello di una madre morta non si sa in quali circostanze che rappresenta un ingombro più difficile da rimuovere della madre da eliminare di Alessandro-Lou Castel ne “I pugni in tasca”. Lo stesso dramma del corpo di una madre uccisa nella guerra dei Balcani con il figlio piccolo seduto davanti, intento ad un videogame, si ripresenta a Massimo spingendolo indietro nel tempo. Non basta liberare di tutti i ricordi la casa nella quale ancora il protagonista vive: deve sapere la verità per ritrovare, come fosse ancora un bambino, la madre nascosta in un inquietante gioco a nascondino e finalmente l’orologio della sua vita riprenderà a scandire il tempo congelato dell’infanzia. Bellocchio si fa apprezzare (o criticare) per la scelta dei suoi temi e per il modo di raccontare le sue storie. Ma innegabilmente sa farlo bene e i suoi attori, diretti magistralmente, sono tutti ottimi: da citare anche Caprino, la Ronchi e la Bejo. Una segnalazione particolare la merita Mastandrea, sempre più maturo ed espressivo pur nel suo dolente ruolo quasi afasico. Ancora un film di grande qualità. Da non mancare.
Valutazione *** e ½
FabioFeli
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no_data
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domenica 13 novembre 2016
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intenso
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Non avendo letto il libro mi devo limitare alla valutazione del lavoro cinematografico. Pur trattando un tema molto doloroso il film riesce a coinvolgere e a raccontare col sorriso la storia tragica di Massimo (Gramellini). Il film convince ed avvince. Ci regala momenti di grande intensità: l'incontro col prete, l'insegnante di astronomia che lo spinge ad affrontare il dolore,il momento del ballo, il bacio con Berenice Bejo, il tuffo dalla piattaforma della sua compagna. Bella la scenografia, buona la prova degli attori e ottima la sceneggiatura. Da vedere
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robroma66
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domenica 13 novembre 2016
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accessibile e coinvolgente
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Il 31 dicembre 1969 Massimo, ad appena nove anni, si sveglia nel sonno e vede il padre sorretto da due uomini. La mamma è morta.
Un paio di decenni più tardi: Massimo è un giornalista affermato, va in Bosnia come inviato durante la guerra, incontra Elisa. Ma il ricordo della sua mamma si allunga, costante, come un'ombra tormentata e non riesce a fargli chiudere i conti con il passato, finché non scopre la verità su quella morte.
A me il film provoca una sensazione dicotomica. Non è il prodotto migliore di Bellocchio: è un film facile e perfino ordinario, senza sottintesi metafisici, senza visionarietà, un po' lungo e con qualche momento di stanchezza o ridondanza. Tuttavia il tema dell'assenza che è presenza ineluttabile, il dolore ossessivo per la perdita (con un fondo oscuro di senso di colpa), l'empatia assoluta del piccolo verso la mamma -vero e puro amore- me lo rendono molto caro ed emotivamente travolgente.
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Il 31 dicembre 1969 Massimo, ad appena nove anni, si sveglia nel sonno e vede il padre sorretto da due uomini. La mamma è morta.
Un paio di decenni più tardi: Massimo è un giornalista affermato, va in Bosnia come inviato durante la guerra, incontra Elisa. Ma il ricordo della sua mamma si allunga, costante, come un'ombra tormentata e non riesce a fargli chiudere i conti con il passato, finché non scopre la verità su quella morte.
A me il film provoca una sensazione dicotomica. Non è il prodotto migliore di Bellocchio: è un film facile e perfino ordinario, senza sottintesi metafisici, senza visionarietà, un po' lungo e con qualche momento di stanchezza o ridondanza. Tuttavia il tema dell'assenza che è presenza ineluttabile, il dolore ossessivo per la perdita (con un fondo oscuro di senso di colpa), l'empatia assoluta del piccolo verso la mamma -vero e puro amore- me lo rendono molto caro ed emotivamente travolgente. Universale e intimista. Commovente.
I passi migliori sono quelli che dipingono il rapporto tra madre e figlio: così simbiotico da essere attraversato dal silenzio cioè da non aver bisogno di molte parole. Per contro gli incisi che si aggiungono a questo tema sembrano sovente superflui nell'economia del film (tipo il suicidio "in diretta" dell'uomo d'affari coinvolto in Tangentopoli). La donna e il bimbo sono i due personaggi più intensi, magnifici. Solida e di buon livello l'interpretazione di Mastandrea -che, come sempre, non ride mai: non ricordo un suo personaggio che si abbandoni a una risata-. E la scena finale è sublime: come in Buongiorno notte -in cui Aldo Moro camminava, vivo, in una piazza romana deserta-, anche qui c'è un sogno impossibile, e cioè il fatto che la sparizione della mamma era solo uno scherzo.
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emanuele 1968
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domenica 13 novembre 2016
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bella la lettera
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Sono orfano dall'età di 3 anni, mio padre non resse, e ritorno subito al suo paese, mori quando avevo 14 anni, hai miei compagni di scuola dicevo che abitava molto lontano, in realtà erano solo 30 chilometri. Più di una volta volevo uscire dal cinema, tante somiglianze con la mia vita, e non volevo scrivere nulla su questo film, ironia della sorte tengo pure la macchina uguale alla sua, quante volte da piccolo chiedevo << perche? >> col tempo ho capito che un perchè non c'è, e nonostante gli anni, resta sempre un quel non so che chè, non si può esprimere, un senso di malinconia, di insoddisfazione e rassegnazione. Non so che voto esprimere, però bella la lettera, sembra scritta da me. Nonostante tutto, ieri, al cinema, mi guardavo, e mi sentivo orgoglioso, la vita va avanti, la vita è una sola, ed è comunque bella.
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