barbyrosemarie
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sabato 30 aprile 2016
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eppoi...come soddisfare la sete di infinito?
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Alle domande provocatorie dette dalla zia a Ida "...non perdere la tua vita in un convento!" e ancora "...come puoi scegliere o pensare a di sacrificarti se non conosci la vita? Ida le concretizza dopo la morte della zia e arriva ... al "eppoi...eppoi cosa c'è, cosa facciamo insieme io e te..... Ida non sa trovare in quella prosecuzione di quotidianità di vita, che il ragazzo le propone, la sete di Infinito da cui si sente attratta e che le farà scegliere la vita conventuale.
Mi sono chiesta allora, ma la vita quotidiana spesa nelle sole opere, avrà pure uno sbocco nello spirituale e nell'Infinito, servirà pure per farci raggiungere quel bisogno di senso e di Assoluto che c'è in ognuno di noi?
Penso profondamente che tutto nella nostra vita è significativo e simbolico di senso e tutto è sempre legato a un disegno e ad una trama di cui ognuno è inserito e partecipa come attore, per svolgere nel proprio piccolo, , quel mitico "filo di Arianna" che si rivela nella carità e nell'amore e conduce alla Luce, fuori dal buio del labirinto.
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Alle domande provocatorie dette dalla zia a Ida "...non perdere la tua vita in un convento!" e ancora "...come puoi scegliere o pensare a di sacrificarti se non conosci la vita? Ida le concretizza dopo la morte della zia e arriva ... al "eppoi...eppoi cosa c'è, cosa facciamo insieme io e te..... Ida non sa trovare in quella prosecuzione di quotidianità di vita, che il ragazzo le propone, la sete di Infinito da cui si sente attratta e che le farà scegliere la vita conventuale.
Mi sono chiesta allora, ma la vita quotidiana spesa nelle sole opere, avrà pure uno sbocco nello spirituale e nell'Infinito, servirà pure per farci raggiungere quel bisogno di senso e di Assoluto che c'è in ognuno di noi?
Penso profondamente che tutto nella nostra vita è significativo e simbolico di senso e tutto è sempre legato a un disegno e ad una trama di cui ognuno è inserito e partecipa come attore, per svolgere nel proprio piccolo, , quel mitico "filo di Arianna" che si rivela nella carità e nell'amore e conduce alla Luce, fuori dal buio del labirinto.
Per curiosità: La zia di Ida che prima di suicidarsi, spalma di burro e abbondante zucchero fette di pane, vuol solo dire che si fa beffe della buona dieta per soddisfare l'ultima voglia? O forse c'è un simbolismo più velato a significare che quei valori terreni da lei perseguiti e vissuti con edonismo ed egocentrismo altro non sono che vuoti e fatui addolcimenti che non appagono ma distruggono?"
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flyanto
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venerdì 21 marzo 2014
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due interessanti ritratti di donna
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Film in cui si racconta di una giovane donna di nome Anna la quale è fermamente decisa a prendere i voti presso il convento dove ha sempre vissuto in quanto allevata sin dalla nascita dalle suore lì residenti. Prima della cerimonia però ella ha l'obbligo di incontrare una sua zia, l'unica parente rimastale in vita che peraltro non ha mai conosciuto. Da questo incontro e dalle poche giornate trascorse insieme alla zia, Anna verrà a conoscenza di una cruda verità di cui mai avrebbe sospettato. Allevata e cresciuta in base ai principi della religione cattolica ella scoprirà invece di appartenere alla razza ebrea e che il suo vero nome non era Anna, bensì Ida.
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Film in cui si racconta di una giovane donna di nome Anna la quale è fermamente decisa a prendere i voti presso il convento dove ha sempre vissuto in quanto allevata sin dalla nascita dalle suore lì residenti. Prima della cerimonia però ella ha l'obbligo di incontrare una sua zia, l'unica parente rimastale in vita che peraltro non ha mai conosciuto. Da questo incontro e dalle poche giornate trascorse insieme alla zia, Anna verrà a conoscenza di una cruda verità di cui mai avrebbe sospettato. Allevata e cresciuta in base ai principi della religione cattolica ella scoprirà invece di appartenere alla razza ebrea e che il suo vero nome non era Anna, bensì Ida. Da qui succederanno molteplici altri avvenimenti che la cambieranno come persona e contribuiranno a farle trovare la propria vera e naturale collocazione nel mondo.
Quest'opera del regista polacco Pawel Pawlikowski, che molto ricorda quelle del suo connazionale Kieslowski, al di là della trama assai cruda e dolorosa, si distingue principalmente perchè offre due ritratti sublimi di donne, Anna/Ida e la zia, diametralmente opposti in apparenza ma molto simili nel profondo. che rivelano quanto attento sia il regista alla psicologia femminile. Se Anna/Ida appare così diversa dalla zia in un primo momento, nel corso della vicenda rivela invece molte più affinità con lei da cui però si discosta per esperienze differenti vissute. Il mondo in cui Anna/Ida ha vissuto sin dalla nascita è il convento con i suoi principi religiosi, e dunque ella non conosce altro al di fuori di esso e non ha vissuto mai alcuna esperienza di vita. La zia, dall'altra parte, ha avuto molteplici esperienze sia personali che professionali, per lo più dolorose, ma conosce bene il mondo, l'umanità e la vita in generale. E proprio questa differenza determina tra loro la dicotomia della Fede o meno: Anna/Ida è profondamente religiosa perchè, del resto, sono appunto i soli principi in base ai quali è stata educata, la zia è completamente atea perchè la conoscenza ed i dolori del mondo l'hanno condotta a non creder più in nessuno ed a nulla.
Insomma, un'opera molto ben scritta e girata, con due attrici, peraltro molto belle, altamente espressive e perfettamente confacenti ai propri ruoli, ed una fotografia in bianco e nero molto suggestiva rispondente al soggetto del film.
Altro non c'è da aggiungere se non la menzione di "piccolo gioiello". Da non perdere assolutamente per chi predilige i films di nicchia.
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[+] o si racconta o si narra ... invariabile
(di angelo umana)
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great steven
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martedì 13 dicembre 2016
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una futura suora scopre le sue origini ebree.
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IDA (POLONIA, 2014) diretto da PAWEL PAWLIKOWSKI. Interpretato da AGATA KULESZA, AGATA TRZEBUCHOWSKA, DAWID OGRODNIK, JOANNA JULIG, JERZY TRELA
Polonia, 1962. Negli anni del regime socialista, la giovane Anna Grusz, orfana e cresciuta in un convento di provincia, sta per prendere i voti e farsi definitivamente suora di clausura, quando la madre superiora la avverte che l'unica sua parente ancora in vita, l'ex procuratrice generale Wanda Grusz, sorella della sua defunta madre, desidera conoscerla e ha alcune cose importanti di cui metterla al corrente.
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IDA (POLONIA, 2014) diretto da PAWEL PAWLIKOWSKI. Interpretato da AGATA KULESZA, AGATA TRZEBUCHOWSKA, DAWID OGRODNIK, JOANNA JULIG, JERZY TRELA
Polonia, 1962. Negli anni del regime socialista, la giovane Anna Grusz, orfana e cresciuta in un convento di provincia, sta per prendere i voti e farsi definitivamente suora di clausura, quando la madre superiora la avverte che l'unica sua parente ancora in vita, l'ex procuratrice generale Wanda Grusz, sorella della sua defunta madre, desidera conoscerla e ha alcune cose importanti di cui metterla al corrente. Col permesso delle alte sfere ecclesiastiche del monastero, Anna va a casa della zia e, tramite lei, scopre le sue origini ebree e il suo vero nome: Ida Levenstejn. I caratteri delle due donne non potrebbero essere più diversi: mentre la nipote, da brava monaca in divenire, è timorata di Dio, devota al proprio velo e lungi dal formulare comportamenti peccaminosi, la zia è invece volitiva, incline agli eccessi, grande fumatrice e bevitrice, lussuriosa, loquace e un po' arrogante, ma il rapporto fra le due, col tempo, migliora e dà i suoi frutti, soprattutto perché l'obiettivo del loro viaggio lungo le campagne autunnali della Polonia è appunto quello di recuperare informazioni sul passato dei genitori di Ida, rinchiusi in un campo di concentramento durante la Seconda Guerra Mondiale, uccisi da un individuo misterioso e sconosciuto e forse sepolti in un grande bosco al limitare del lager stesso. Fra una festa orgiastica in un bar dove suona un autostoppista munito di sassofono che chiede un passaggio a Ida e Wanda e che si innamora della prima dopo averle parlato di sé e numerose capatine presso le fattorie agresti in cui abitano persone potenzialmente fonti di informazioni preziose, le due donne arriveranno a scoprire la verità: l'assassino dei genitori di Ida (la stessa Wanda non conobbe mai bene il cognato) non è colui che entrambe sospettavano, ma il figlio, ebreo anch'egli internato nel campo di sterminio e incaricato di eliminare i loro corpi. Il viaggio termina senza che Ida si sia liberata del suo gravoso fardello, tanto più che Wanda, depressa e preda di rimorsi attanaglianti, si suicida defenestrandosi. Al funerale, Ida piange la morte della sua ultima parente, ma può consolarsi iniziando una relazione amorosa con Esi, il musicista conosciuto sulla strada, che sembra interessato a farsi una nuova vita con lei. Rimasto nelle sale italiane per pochissimo tempo (quattordici o al massimo quindici giorni), eppure premiato con l'Oscar 2015 per il miglior film straniero, girato in un bianco e nero non efficacissimo ma non certo privo di un fascino cromatico che ha una considerevole delicatezza, è un film sicuramente fuori dagli schemi di ragionamento con cui pubblico, critica e cineasti intendono il cinema d'oggigiorno, e i motivi di questa argomentazione abbondano a non finire, ma il suo pregio migliore è quello di privilegiare la drammaticità di una storia senza insistere sugli accenti tragici fini a sé stessi, finendo per raccontare con un'insospettabile originalità un dietro alle quinte della Shoah nazista dopo circa vent'anni dalla conclusione della stessa mediante l'utilizzo di numerosi elementi che ben si inseriscono in un contesto efficiente e descritto con perizia: pathos, un leggero pizzico di sarcasmo pungente, tema della memoria storica affiancata a quella personale, dolori che riemergono nel ricordo e fanno male, famiglie divise da cause di forza maggiore, tentativo di recuperare affetti troppo a lungo dimenticati ma mai sopiti del tutto. Una protagonista sotto le righe, che partecipa ai silenzi del film, che in certi casi portano inevitabilmente alla noia, ma in altir fungono positivamente da serbatoio di suspense e arricchiscono la vicenda di sentimenti, pazienza e significati profondi, trasmessi in gran parte dal volto imperscrutabile e monocorde di Ida, quasi sempre ripresa con la tonaca indosso, raramente sorridente, con gli occhi timidi e impauriti, spesso arrendevole e facile a sottomettersi al corso degli eventi, e in questo si contrappone con efficacia a Wanda, la cui latente prepotenza e il cui carattere deciso e ardente fanno da contraltare agli incontri coi piccoli personaggi che popolanb questa pellicola, tutti individui sconfitti dall'esistenza, ma pronti a spiegare i motivi di tale sconfitta e desiderosi di condividere quelle poche cose belle che, ciononostante, son riusciti ad estrarre dal manto freddo e nevoso di un inverno che dura da una vita intera e che finisce per congelare e sotterrare tutto, senza possibilità di ritrovare mai più le emozioni e gli oggetti rilevanti (esplicativa è, in tal senso, la scena dove il figlio del contadino ricoverato in ospedale, armato di pala e santa pazienza, dissotterra la tomba in cui, tanti anni prima, seppellì gli sfortunati genitori di Ida, ammettendo di esserne stato lui il reale omicida). A tratti ondivago e con qualche indugio di troppo, ma realizzato bene quantomeno per quel che riguarda la coerenza della sceneggiatura, che si mantiene con costanza su un tratteggio sobrio, e la scelta di un cast di attori non famosi che sanno il fatto loro e lo dimostrano recitando con tranquillità e languore, quasi si stessero addomesticando, ma mai sottotono.
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mtonino
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mercoledì 24 maggio 2017
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la vita travolta dal passato che ritorna
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Ida di Pawel Pawlikowski è un film polacco del 2013 pluripremiato che colpisce già dalle prime immagini: prima di tutto le inquadrature spesso fisse per quasi tutto il film e una composizione del quadro molto particolare, i personaggi e soprattutto la protagonista, infatti, si trovano i margini dell'inquadratura, il resto del quadro è occupato principalmente dal freddo è bellissimo paesaggio polacco. La storia, ambientata all’inizio degli anni sessanta, racconta di Anna una novizia, abbandonata in convento appena nata, che sta per pronunciare i voti, ma viene a sapere dell'esistenza di una zia e viene quasi costretta dalla madre superiora a farle visita prima di diventare suora.
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Ida di Pawel Pawlikowski è un film polacco del 2013 pluripremiato che colpisce già dalle prime immagini: prima di tutto le inquadrature spesso fisse per quasi tutto il film e una composizione del quadro molto particolare, i personaggi e soprattutto la protagonista, infatti, si trovano i margini dell'inquadratura, il resto del quadro è occupato principalmente dal freddo è bellissimo paesaggio polacco. La storia, ambientata all’inizio degli anni sessanta, racconta di Anna una novizia, abbandonata in convento appena nata, che sta per pronunciare i voti, ma viene a sapere dell'esistenza di una zia e viene quasi costretta dalla madre superiora a farle visita prima di diventare suora. Da lei scoprirà di chiamarsi in realtà Ida e di essere ebrea. Questo incontro le porterà ad affrontare un viaggio per scoprire il luogo di sepoltura dei genitori alla fine del quale le loro vite non saranno più le stesse.
I due personaggi femminili sono agli antipodi: la zia, un giudice del popolo, è disillusa dalla causa del partito e si concede all’alcool e alle attenzioni degli uomini che incontra, Ida che ha sempre vissuto in convento è chiusa e timorosa del mondo circostante. Come in Viridiana di Bunuel, la zia cerca di indirizzare (senza cattiveria) la nipote verso i piaceri della vita (che sacrificio è se non hai provato?). Le convinzioni di entrambe saranno messe a dura prova dal viaggio che affronteranno e avranno conseguenze inevitabili e diversissime sulle due donne.
Il tema della vicenda personale delle due donne s’intreccia con la situazione di un paese, la Polonia reduce da una guerra devastante che deve fare i conti con il proprio passato. Forse è proprio questo il fulcro del film: il passato che non si può dimenticare e che torna a scombinare le esistenze di chi vuole fuggire da esso.
La composizione del quadro colpisce subito l’attenzione grazie anche al formato 1.37:1 utilizzato per le riprese che non è usato frequentemente questo, infatti, era il formato utilizzato principalmente all’epoca del cinema muto.
Le inquadrature sono rigorose con un bianco e nero luminoso e ricco di contrasti, poche panoramiche e un’attenzione maniacale all’equilibrio della composizione, un rigore geometrico che soffoca lo spettatore e costringe la protagonista in inquadrature sbilanciate, con uno spazio in alto innaturale che la opprime.
Questa scelta troverà un senso nel finale, dove la camera fissa si sostituirà alla macchina da presa a mano che accompagnerà Ida in un piano sequenza finalmente al centro dell’inquadratura.
Un ottimo film secondo il mio parere, impreziosito dalle intense interpretazioni delle attrici principali e da una colonna sonora che alterna Jazz e musica classica.
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catcarlo
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mercoledì 26 marzo 2014
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ida
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In un mondo dai gusti ciclici come quello della musica rock è capitato più volte che alcuni artisti si rifacessero a sonorità di un periodo precedente e vi applicassero una tale dedizione da essere pari (o anche meglio) rispetto agli originali: negli anni Ottanta, i Chesterfield Kings furono tra i migliori fra coloro che riportarono in vita – anche negli aspetti esteriori – il garage-rock di due decenni prima e, ai giorni nostri, uno come Jonathan Wilson dà l’impressione di essere in ritardo di almeno una trentina d’anni sul giusto momento storico. A considerazioni analoghe mi ha portato la visione del nuovo film del polacco Pawlikowski: sarà l’ambientazione nei primi anni Sessanta, sarà la fotografia in bianco e nero o magari il vecchio stile evocato dal formato ‘quadrato’, ma l’impressione è quella di trovarsi davanti a una pellicola che sta in un luogo ideale a mezza via tra la nouvelle vague e il primo Polanski, senza dimenticare l’immancabile tocco bergmaniano (non lascia spazio a dubbio alcuno l'inquadratura del mattino dopo la notte d'amore tra Ida e il sassofonista che la inizia, tra le altre cose, a Coltrane).
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In un mondo dai gusti ciclici come quello della musica rock è capitato più volte che alcuni artisti si rifacessero a sonorità di un periodo precedente e vi applicassero una tale dedizione da essere pari (o anche meglio) rispetto agli originali: negli anni Ottanta, i Chesterfield Kings furono tra i migliori fra coloro che riportarono in vita – anche negli aspetti esteriori – il garage-rock di due decenni prima e, ai giorni nostri, uno come Jonathan Wilson dà l’impressione di essere in ritardo di almeno una trentina d’anni sul giusto momento storico. A considerazioni analoghe mi ha portato la visione del nuovo film del polacco Pawlikowski: sarà l’ambientazione nei primi anni Sessanta, sarà la fotografia in bianco e nero o magari il vecchio stile evocato dal formato ‘quadrato’, ma l’impressione è quella di trovarsi davanti a una pellicola che sta in un luogo ideale a mezza via tra la nouvelle vague e il primo Polanski, senza dimenticare l’immancabile tocco bergmaniano (non lascia spazio a dubbio alcuno l'inquadratura del mattino dopo la notte d'amore tra Ida e il sassofonista che la inizia, tra le altre cose, a Coltrane). L’eccesso di calligrafismo, in effetti, lascia a volte perplessi, ma la maniera è lavorata con perizia e suona bene assieme alla materia raccontata. Con un’asciuttezza ammirevole, in soli ottanta minuti contrassegnati da dialoghi essenziali e, soprattutto, significativi silenzi, il regista polacco narra una storia semplice che però tocca temi di notevole consistenza che vanno dal rapporto tra religione e vita quotidiana alla responsabilità personale di fronte alla storia (con la minuscola, ma anche con la maiuscola), con sullo sfondo l’oppressione del regime. Tutti argomenti che potrebbero far pensare a chissà quale pesantezza, invece Pawlikowski e la sua co-sceneggiatrice Rebecca Lenkiewicz procedono per accenni, lasciando allo spettatore il compito di trarre le conseguenze. Così può scorrere incantevole il racconto di Ida che, prima di pronunciare i voti, viene spedita nel mondo da una madre superiora dalle vedute insospettabilmente larghe. La ragazza viene ospitata dalla zia Olga, giudice del tribunale del popolo e donna disillusa dalla vita che cerca l’oblio tra alcool e uomini raccattati al bar. E’ lei a svelare a Ida le sue origini ebree, figlia salvata per miracolo di una coppia uccisa durante l’occupazione nazista: il viaggio che ne svela tomba e assassino rivela alla giovane la sua storia e a Olga le radici della sua angoscia, però solo la prima riuscirà ad affrontare il faccia a faccia con la realtà (e potrà decidere con cognizione di causa sul proprio futuro). E’ fin troppo ovvia la considerazione che, per la riuscita di una pellicola siffatta, sia di fondamentale importanza l’interpretazione, con le due attrici che si adattano al meglio alle esigenze del regista: il bel viso irregolare di Agata Kulesza restituisce con efficacia la psicologia tormentata di Olga, mentre la sua omonima Trzebuchowska riesce a rappresentare lo sguardo via via meno innocente di Ida sul mondo. Non stupisce, allora, che questo film sia tanto piaciuto a Alexander Payne, sia per lo scavo sui personaggi nella loro quotidianità, sia per la brillante rappresentazione degli ambienti e, in modo particolare, della natura. Se i primi sono spartani con l’eccezione della borghese casa di Olga, zia e nipote percorrono le strade bianche – dove, a un certo punto, passa anche una Seicento – che corrono tra gli alberi in una Polonia ancora rurale e quasi disabitata: il campo lunghissimo che inquadra le due donne e Feliks che camminano verso la tomba dei genitori trasforma i personaggi in minuscole figurette all’interno di una campagna in infinite tonalità di grigio (la fotografia è di Ryszard Lenczewski e Lukasz Zal). Da notare che l’utilitaria di cui sopra non è l’unico tocco d’Italia: il gruppo che incrocia la sua strada con quella delle protagoniste ha un repertorio d’epoca perlopiù tradotto in polacco (compresa ‘Love in Portofino’ di Buscaglione), ma ‘24mila baci’ è rimasta in lingua originale.
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[+] non basta il bianco e nero a rievocare il dramma
(di delcastillo)
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alexander 1986
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martedì 20 gennaio 2015
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un volto, un programma.
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Film candidato e forse favorito agli Oscar 2015 nella categoria di Miglior film straniero.
Polonia, 1962. La giovane Anna è cresciuta in convento e come molte orfane viene indirizzata alla vita monastica. Prima di prendere i voti però viene a sapere dalla madre superiora dell'esistenza di una parente ancora in vita. Trova quindi opportuno andare a trovarla. La visita però avrà delle conseguenze sconvolgenti.
Facile capire come mai la critica internazionale si sia innamorata di questo film polacco. Al di là della scelta del bianco e nero, diversi tratti stilistici avvicinano questa pellicola a esempi di un cinema che non c'è più. Il registro quasi minimalista della narrazione riportano la mente al ricordo del cinema di Bresson.
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Film candidato e forse favorito agli Oscar 2015 nella categoria di Miglior film straniero.
Polonia, 1962. La giovane Anna è cresciuta in convento e come molte orfane viene indirizzata alla vita monastica. Prima di prendere i voti però viene a sapere dalla madre superiora dell'esistenza di una parente ancora in vita. Trova quindi opportuno andare a trovarla. La visita però avrà delle conseguenze sconvolgenti.
Facile capire come mai la critica internazionale si sia innamorata di questo film polacco. Al di là della scelta del bianco e nero, diversi tratti stilistici avvicinano questa pellicola a esempi di un cinema che non c'è più. Il registro quasi minimalista della narrazione riportano la mente al ricordo del cinema di Bresson.
Sul piano dei contenuti però non credo che siamo di fronte a qualcosa di notevole. Il racconto poggia in sostanza su due dicotomie: quella tra la vita contemplativa in convento e le libertà del 'mondo'; e quella tra la figura di madonna incarnata dalla novizia e l'esempio di emancipazione (non necessariamente libertina) della coprotagonista. Le conseguenze sono abbastanza scontate e non possono non condurre a quello che sarà il risultato finale. Sebbene il regista Pawlikowski provi a dare in extremis un colpo di coda, in verità 'Ida' fa esattamente quello che il pubblico si aspetta. In ciò diventando un film più didascalico che ambizioso come si propone di essere. La beata inespressività dell'attrice protagonista (Agata Trzebuchowska) è paradossalmente l'elemento più memorabile della pellicola. E in verità trovo difficile qualificarla come un segno di talento o di sua assoluta mancanza.
Pellicola interessante se non altro perché tocca, seppur senza approfondirli, temi di solito poco trattati dal cinema contemporaneo. Ma non so cosa possa restare, al di fuori della impronta retrò tanto cara ai cinefili.
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jack beauregard
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mercoledì 24 febbraio 2016
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tra materialità e spiritualità
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Polonia primi anni 60. Anna, giovane novizia, orfana senza aver mai conosciuto i propri genitori, è stata allevata in un convento e pochi giorni prima di prendere i voti per diventare suora, viene informata dalla madre superiora, che in realtà ha una zia, che non si era mai presa cura di lei.
La zia, sorella di sua madre, è una cinquantenne ex-procuratore, colta, comunista, atea, alcolizzata e con una vita sessuale molto movimentata. La informa che il suo vero nome è Ida e che i suoi genitori erano ebrei e furono uccisi durante l'occupazione nazista della Polonia.
Da lì, con lo scopo di fare luce sulla fine dei propri genitori, inizia un breve viaggio di ricerca, attraverso la misera realtà della Polonia di quegli anni, oppressa da un regime autoritario e con ancora presenti rigurgiti di antisemitismo.
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Polonia primi anni 60. Anna, giovane novizia, orfana senza aver mai conosciuto i propri genitori, è stata allevata in un convento e pochi giorni prima di prendere i voti per diventare suora, viene informata dalla madre superiora, che in realtà ha una zia, che non si era mai presa cura di lei.
La zia, sorella di sua madre, è una cinquantenne ex-procuratore, colta, comunista, atea, alcolizzata e con una vita sessuale molto movimentata. La informa che il suo vero nome è Ida e che i suoi genitori erano ebrei e furono uccisi durante l'occupazione nazista della Polonia.
Da lì, con lo scopo di fare luce sulla fine dei propri genitori, inizia un breve viaggio di ricerca, attraverso la misera realtà della Polonia di quegli anni, oppressa da un regime autoritario e con ancora presenti rigurgiti di antisemitismo.
Il confronto tra due donne così diverse porterà entrambe a riflettere sulla propria condizione esistenziale e sul proprio futuro, con conseguenze da un lato drammatiche e dall'altro di maturazione di una scelta molto più consapevole.
Girato in uno strano formato, praticamente televisivo (un 4:3 che sembra quasi più un quadrato), in un bianconero freddo e perfettamente evocativo della situazione ambientale e sociale, prediligendo le inquadrature fisse (manca qualsiasi movimento di macchina all'interno di ogni scena), che però non inficiano la dinamicità degli eventi, sottendendo semmai, forse, una certa staticità d'animo, "Ida" è un film apparentemente solo intimo, ma che in realtà ha riflessi anche politici.
La contrapposizione tra "materialità" e "spiritualità" (per niente schematica o banale) non esula da un'ottica storico-politica che, in un altro contesto, avrebbe magari portato a un epilogo diverso.
Specialmente l'evoluzione del personaggio di Ida è reso con molta sensibilità, giocato più sulle immagini, il volto, l'espressione quasi costantemente divisa tra il timore e la malinconia, che non sulle parole, anche se un paio di scambi di battute, uno con la zia ("hai mai fatto pensieri peccaminosi?") e l'altro col sassofonista ("poi cominceranno i problemi"), risulteranno alla fine fondamentali.
Ma entrambi le interpreti sono bravissime, i personaggi sono ben costruiti e ricchi di sfumature, cosa ancor di più eccezionale per un film che dura meno di 90 minuti.
Infine da segnalare una piccola curiosità: la scena più "forte" del film, sembra omaggiare vecchio e nuovo cinema italiano (Pietrangeli e M.T.Giordana), a meno che non si tratti di un'incredibile coincidenza.
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lamoreaitempidelcolera
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sabato 27 agosto 2016
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dio attraverso un sassofono
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La storia travagliata della Polonia si intreccia con quella delle due donne, protagoniste intense del film.
Un Paese martoriato prima dal regime nazista e poi da quello sovietico fa da sfondo alla vita di Anna, giovanissima e verginale suora, e alla vita di Wanda, rigido magistrato nei suoi tempi migliori e disillusa cinquantenne dopo.
Tre sono i Massimi Sistemi che circoscrivono le vite delle persone: il Pregiudizio antisemita - lo Statalismo comunista - la Chiesa cattolica.
Tutti e tre succhiano sangue e vita, energia e individualità.
Un sassofono e il suo suono sensuale e maschile fa da contraltare ai tre "Massimi Sistemi": la musica jazz rappresenta il pensiero divergente, la via traversa, la tangente alla parabola della vita.
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La storia travagliata della Polonia si intreccia con quella delle due donne, protagoniste intense del film.
Un Paese martoriato prima dal regime nazista e poi da quello sovietico fa da sfondo alla vita di Anna, giovanissima e verginale suora, e alla vita di Wanda, rigido magistrato nei suoi tempi migliori e disillusa cinquantenne dopo.
Tre sono i Massimi Sistemi che circoscrivono le vite delle persone: il Pregiudizio antisemita - lo Statalismo comunista - la Chiesa cattolica.
Tutti e tre succhiano sangue e vita, energia e individualità.
Un sassofono e il suo suono sensuale e maschile fa da contraltare ai tre "Massimi Sistemi": la musica jazz rappresenta il pensiero divergente, la via traversa, la tangente alla parabola della vita. La sua direzione è ogni volta da definire, perchè quello che di certo c'è è l'urgenza di non fare promesse, di non giurare fedeltà cieca, di non offrire se stessi in sacrificio per una causa suprema decisa da altri, lontani da noi, a prescindere da noi.
Grazie alla musica, Anna accetta serenamente di essere Ida, prende carico su di sè della sua nuova e dolorosa identità, dopo aver prima voluto conoscere, sperimentato, guardato, toccato...
Wanda resta schiacciata, pur avendo amministrato con rigore la Giustizia Umana; Ida si salva, ma dopo aver capito quello che era in palio, la posta in gioco.
Alla fine del suo percorso di conoscenza, Ida sceglie l'Assoluto, assecondando in modo consapevole la sua vocazione.
Il film ha per tema la VITA come percorso di formazione, come viaggio, che può portare a perdersi per sempre o a salvarsi per sempre.
Unica condizione che fa la differenza è SAPERE. sapere quello che siamo, accettarlo e costruire su questo.
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onufrio
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mercoledì 25 ottobre 2017
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anna, le origini di una suora
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Oscar al miglior film straniero nel 2015, il film racconta la storia di Anna, una giovane ragazza pronta a prendere i voti, ma invitata dalla madre superiora, prima di compiere la propria scelta, ad andare in visita dall'unica parente: la zia Wanda, magistrato con un passato da combattente nella resistenza antinazista, ormai 50enne caduta fra i vizi dell'alcol e dei piaceri carnali, la quale racconta ad Anna le sue vere origini, Anna in verità è Ida, ed è di origini ebree, ed i suoi genitori sono morti durante il secondo conflitto mondiale. Inizierà così un viaggio alla ricerca dei compianti genitori, un viaggio che porterà Ida a riflettere anche sul proprio futuro.
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Oscar al miglior film straniero nel 2015, il film racconta la storia di Anna, una giovane ragazza pronta a prendere i voti, ma invitata dalla madre superiora, prima di compiere la propria scelta, ad andare in visita dall'unica parente: la zia Wanda, magistrato con un passato da combattente nella resistenza antinazista, ormai 50enne caduta fra i vizi dell'alcol e dei piaceri carnali, la quale racconta ad Anna le sue vere origini, Anna in verità è Ida, ed è di origini ebree, ed i suoi genitori sono morti durante il secondo conflitto mondiale. Inizierà così un viaggio alla ricerca dei compianti genitori, un viaggio che porterà Ida a riflettere anche sul proprio futuro.
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ennio
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giovedì 26 ottobre 2017
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ritorno al passato, anche cinematografico
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Molto bello. Le atmosfere, i dialoghi, i paesaggi non solo ci riportano negli anni '60, ma la stessa tecnica cinematografica lo fa risultare un film DEGLI anni '60, nella sua migliore accezione. Il dualismo virtù/vizio-Narciso/Boccadoro è disegnato in modo molto efficace: la zia amante di tutti i vizi e la ragazza che vuol farsi suora. Alla fine entrambe si avvicineranno al proprio opposto, ma sarà la zia a perdere l'occasione di amare qualcosa che va al di là dei propri vizi carnali, e non sarà in grado di sopportarlo, mentre la ragazza conoscerà l'amore di un uomo, seppur per un solo giorno.
Ho imprecato un pò per il bianco e nero, che secondo me non dovrebbe MAI esistere nel cinema moderno, ma in questo contesto ci può stare.
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Molto bello. Le atmosfere, i dialoghi, i paesaggi non solo ci riportano negli anni '60, ma la stessa tecnica cinematografica lo fa risultare un film DEGLI anni '60, nella sua migliore accezione. Il dualismo virtù/vizio-Narciso/Boccadoro è disegnato in modo molto efficace: la zia amante di tutti i vizi e la ragazza che vuol farsi suora. Alla fine entrambe si avvicineranno al proprio opposto, ma sarà la zia a perdere l'occasione di amare qualcosa che va al di là dei propri vizi carnali, e non sarà in grado di sopportarlo, mentre la ragazza conoscerà l'amore di un uomo, seppur per un solo giorno.
Ho imprecato un pò per il bianco e nero, che secondo me non dovrebbe MAI esistere nel cinema moderno, ma in questo contesto ci può stare.
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