emanuele 1968
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domenica 5 aprile 2020
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bello
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Visto ieri su raimovie
Ho sempre sentito parlare bene, quindi avevo tante aspettative, però mi è sembrato molto lontano da lion la strada verso casa oppure the millionaire.
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ennio
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martedì 6 marzo 2018
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mezzo fantasy mezzo documentario
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Non so quale "messaggio", metafora o valore morale debba essere lanciato da questo film, so solo che mi è piaciuto per la magìa della Natura vissuta prima come incubo feroce poi come apoteosi, e per la perizia degli effetti speciali che non ti fanno capire quanto ci sia di vero e quanto di costruito al computer. E per la parte onirica, che giunge al momento giusto, quando ormai il naufrago è vicino al delirio.
Gli animali sono davvero i protagonisti del film, rivelando un proprio umorismo involontario, come gli acidi latrati della perfida iena o i goffi tentativi della tigre di salire sulla barca. Poi è tutto così piacevolmente surreale, una tigre che si chiama Richard Parker fa ridere già da sola.
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great steven
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lunedì 6 aprile 2015
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ragazzo e tigre portano avanti una lotta solitaria
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VITA DI PI (USA/TAIW, 2012) diretto da ANG LEE. Interpretato da SURAJ SHARMA, IRRFAN KHAN, SHRAVANTI SAINATH, ADIL HUSSAIN, RAFE SPALL, GéRARD DEPARDIEU
A partire da zero c’è il romanzo fortunato e venduto in numerosissime copie di Yann Martel, pubblicato nel 2001 e premiato nel 2002 con il Booker Prize: da questo straordinario testo scritto, lo sceneggiatore David Magee ha tratto un film che si barcamena efficacemente tra il realismo e la magia, la favola di formazione e il racconto d’appendice, una pellicola che accompagna lo spettatore in un’avventura ai confini della realtà che si fa metonimia e paragone della ricerca di un’entità superiore capace di governare dall’alto gli eventi terreni e di imprimere cambiamenti epocali e radicali tanto nella vita degli umani quanto in quella degli animali.
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VITA DI PI (USA/TAIW, 2012) diretto da ANG LEE. Interpretato da SURAJ SHARMA, IRRFAN KHAN, SHRAVANTI SAINATH, ADIL HUSSAIN, RAFE SPALL, GéRARD DEPARDIEU
A partire da zero c’è il romanzo fortunato e venduto in numerosissime copie di Yann Martel, pubblicato nel 2001 e premiato nel 2002 con il Booker Prize: da questo straordinario testo scritto, lo sceneggiatore David Magee ha tratto un film che si barcamena efficacemente tra il realismo e la magia, la favola di formazione e il racconto d’appendice, una pellicola che accompagna lo spettatore in un’avventura ai confini della realtà che si fa metonimia e paragone della ricerca di un’entità superiore capace di governare dall’alto gli eventi terreni e di imprimere cambiamenti epocali e radicali tanto nella vita degli umani quanto in quella degli animali. Non a caso il protagonista Piscine Patel, detto Pi, è affiancato nel suo viaggio dalle variegate e bizzarre bestie dello zoo in cui lavorano i suoi genitori, suo padre come proprietario del giardino botanico e sua madre come addestratrice professionista. Obbligati da una direttiva ministeriale a trasferire gli animali in Canada, i famigliari di Pi s’imbarcano su una nave che attraversa il Pacifico in linea retta, ma sfortunatamente il veicolo va incontro ad una furibonda tempesta oceanica che provoca un disastroso naufragio, i cui unici sopravvissuti sono il ragazzo diciassettenne e quattro quadrupedi: una iena, una zebra, un orango e soprattutto un maschio adulto di tigre chiamato Richard Parker per una svista nell’immatricolazione sui registri dello zoo, in cui il nome del felino e quello del cacciatore che l’aveva catturato sono stati invertiti. Morte le prime tre bestie, Pi è costretto a convivere, tra una scialuppa di salvataggio e una zattera da battaglia da lui stesso fabbricata, con l’intransigente e feroce maschio di tigre, al quale però riconosce, nel racconto a posteriori che fa al giornalista statunitense interessato alla sua storia, il ruolo indispensabile e insostituibile di aiutante nella lotta per la sopravvivenza. Dopo aver appreso come comunicare con il felino a strisce e aver trascorso giorni su giorni a vagabondare per la superficie oceanica verso una destinazione casuale, il giovane viaggiatore sbarca su un’isola carnivora popolata da suricati, una vegetazione fitta e intricata e resti umani degli altri malcapitati che ebbero la disgrazia di approdarvi in passato. Ai pescatori cinesi che lo recuperano, Pi inventa fandonie che permettano comunque di svelare la morte tragica e violenta dei suoi genitori insieme alla scomparsa dell’intero equipaggio (nel quale c’era anche un cuoco francese, interpretato sagacemente dall’infallibile Depardieu). L’idea di alternare i flashback evocati da Pi adulto (cui giova la recitazione funzionale e pragmatica di I. Khan) con il diario personale, preciso e dettagliato, del protagonista mentre galleggia in mare aperto cercando una soluzione alla drammatica situazione che si ritrova ad affrontare, dà i suoi frutti ai fini narrativi di una vicenda che sa distinguersi per precipua originalità e sapiente mescolanza di toni allegri, comici, patetici, sarcastici, epici e fiabeschi. Dietro le cadenze di un film fantasy contaminato non troppo pesantemente da generi di diverso stampo, si nasconde un formidabile esercizio stilistico che sfiora il virtuosismo e permette al regista taiwanese A. Lee (premiato con l’Oscar grazie a quest’opera, nella cerimonia del 2013) di inscenare una prova attoriale ad individuo unico che centra il bersaglio per i temi accumulati e concentrati in un discorso che si ricollega conclusivamente alla speranza riposta in Dio, alla superiorità della natura sulla limitatezza umana e all’alternanza fra menzogna e sincerità nel linguaggio atto a scoprire i significati reconditi in un’esistenza avventurosa ma al tempo stesso anche meditabonda e riflessiva. Tra i contributi tecnici più ragguardevoli, segnalo Claudio Miranda (fotografia), David Gropman (scenografie) e la squadra di disegnatori informatici che s’è occupata della computer-graphic per la riproduzione della tigre.
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santonit
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sabato 13 dicembre 2014
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vita di pi
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Ciao, bellissima fotografia e molti spunti di riflessione, bravi gli attori anche la tigre, ma a parte il dubbio finale che penso lasci confusi gli spettatori, non c'è un po troppa carne al fuoco e poi l'isola divoratrice...? Per lo spunto religioso ...siamo ancora ad attribuire alla Divinità questo o quell'evento negativo della nostra vita come i popoli antichi o del Medioevo? Bella invece la attribuzione ad Essa del finale provvidenziale.
Angelo Santoni Rugiu
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santonit
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sabato 13 dicembre 2014
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vita di pi
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Ciao, bellissima fotografia e molti spunti di riflessione, bravi gli attori anche la tigre, ma a parte il dubbio finale che penso lasci confusi gli spettatori, non c'è un po troppa carne al fuoco e poi l'isola divoratrice...? Per lo spunto religioso ...siamo ancora ad attribuire alla Divinità questo o quell'evento negativo della nostra vita come i popoli antichi o del Medioevo? Bella invece la attribuzione ad Essa del finale provvidenziale.
angelo Santoni Rugiu
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anglee
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giovedì 6 novembre 2014
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come affondare in un sogno
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E' solo il 3 Novembre 2014 che accendo la tv e decido di guardare Vita di Pi. Osservo i movimenti di camera secchi, magri delle prime scene. Privi di rotondità e distaccati dalla dimensione raccontata. Ricordo perfettamente la camera posta sul profilo di un tavolo, mentre i due personaggi si accomodano per pranzare. Rimane immobile. Osserviamo da lontano, non ci è permesso studiare le loro espressioni, perdersi nel gioco di ombre e nel fitto interscambio di prospettive. E’ una staticità che lascia lo spettatore lontano, ancora con mille aspettative. E con un brusco cambiamento si inquadra il Pi adulto, incorniciato, fluttuante. E’ sparita la figura dello scrittore di fronte a lui.
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E' solo il 3 Novembre 2014 che accendo la tv e decido di guardare Vita di Pi. Osservo i movimenti di camera secchi, magri delle prime scene. Privi di rotondità e distaccati dalla dimensione raccontata. Ricordo perfettamente la camera posta sul profilo di un tavolo, mentre i due personaggi si accomodano per pranzare. Rimane immobile. Osserviamo da lontano, non ci è permesso studiare le loro espressioni, perdersi nel gioco di ombre e nel fitto interscambio di prospettive. E’ una staticità che lascia lo spettatore lontano, ancora con mille aspettative. E con un brusco cambiamento si inquadra il Pi adulto, incorniciato, fluttuante. E’ sparita la figura dello scrittore di fronte a lui. Siamo noi stessi, faccia a faccia con colui che, con il suo racconto, scaverà il primo livello di profondità. E il film inizia a scendere, ad immergersi lentamente.
Proprio come la nave che affonda sulla fossa delle Marianne. E’ una regia che segue la sceneggiatura, le va dietro, la accompagna. E allora lo svolgimento prende forma.
Da quel momento in poi lo spettatore non ha più bisogno di nulla. L’approccio alle religioni del protagonista lo fanno pensare, lo pongono inevitabilmente da una prospettiva da cui forse potrà provare a spostarsi. La storia si srotola, come un tappeto. A un dolce e caldo sentimento di amore, si oppone il dolore struggente del distacco. Un distacco che, come ci farà notare lo storia, era nei progetti di Dio. Ed è proprio secondo questo progetto, secondo questo disegno, che Dio trascinerà il protagonista sino al punto in cui voleva che arrivasse. La nave costituisce quindi il mezzo, lo strumento necessario allo sviluppo dello svolgimento della storia.
Lo spettatore si confronta con il mare. La fossa delle Marianne. La profondità verticale e l’estensione orizzontale mi hanno messo in subbuglio lo stomaco. E’ l’infinito, in ogni senso. Luogo perfetto per scorgere Dio. Cosa succederà, allora? Pi dovrà sopravvivere con a bordo della sua scialuppa una tigre. Gli altri animali sono morti, nel caos iniziale. In questa pellicola, le cose sembrano andare esattamente come sarebbe successo se la storia fosse stata reale. Lo spettatore assiste, impotente, incapace di fare nulla, di fronte a una reazione a catena di avvenimenti che il protagonista non può controllare, non può cambiare. La ferocia animalesca di una tigre del Bengala deve convivere con la mente umana. In un ritmo mozzafiato, restiamo con Pi ogni secondo. Non lo abbandoniamo mai. Ci immergiamo nella sua mente, sprofondiamo nei suoi sogni ad occhi aperti, che ci trasportano in una dimensione surreale che a poco a poco ci trascina. Scivoliamo giù come in un sogno. Poi riemergiamo. C’è sempre soltanto una cosa, attorno a Pi e a noi. C’è il mare. L’infinito.
Il protagonista si confronta con più cose contemporaneamente. Da una parte il mare, imprevedibile, velato, falsato. Dall’altra la tigre, una distrazione che gli permette di sopravvivere. Ci abituiamo anche noi al luogo. Siamo in balia. Siamo nel mare. Il regista Ang Lee ci ha appena trasportato sull’oceano. Era una dolce trappola. Un esperimento riuscito al 100%.
Arriva un’isola. Un’isola su cui Pi è sul punto di rimanere. Un’analogia lampante si ritrova con i fiori di loto nel viaggio di Odisseo. Se fosse rimasto lì, sarebbe morto.
“Dovevo tornare al mondo” dice il narratore adulto “o morire provandoci”.
Ritorniamo sul mare. Interessante ma discutibile il modo in cui le voci fuori-campo dei due personaggi, cioè della stessa persona, si alternino.
Un film da Oscar come lo è stato Titanic è stato ben attento a porsi sulla prospettiva di una sola delle due Rose, la cui voce anziana ci faceva riemergere dallo straniamento.
Il Messico sarà la loro ancora di salvezza, sua e di Richard, la tigre. La loro divisione è un momento cruciale, quasi uno spannung smorzato dopo che ce ne avevano serviti tanti. Ma pur sempre uno spannung. La tensione che avevo accumulato durante il naufragio si stempera lentamente. E’ il momento della divisione, brusca e inaspettata. Non c’è più tempo per pensare al mare, alla tempesta. La divisione sta avvenendo in quel momento e nulla può cambiare le cose.
La tigre è pur sempre un animale e lo abbandona. Potrebbe dispiacerci, potrebbe toccarci il cuore. Inevitabilmente ci fa pensare, mentre il Pi adulto che avrebbe dovuto imparare molte cose dalla vita mostra la sua ferita ancora aperta, versando delle lacrime che gli rigano le guance. La tigre lo aveva abbandonato. Un film da Oscar. Lo merita tutto. Analogie con Titanic ne ho trovate parecchie, soprattutto il ritorno finale fugace al momento in cui la tigre compie quel salto e scompare tra i cespugli, per sempre. Magnifico. Ho sognato.
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anglee
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lunedì 3 novembre 2014
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come affondare in un sogno
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Premo il tasto play. Il film comincia e la luce del televisore mi solletica gli occhi. Sto vedendo Vita di Pi, soltanto il tre novembre 2014. Osservo i movimenti di camera secchi, magri delle prime scene. Privi di rotondità e distaccati dalla dimensione raccontata. Ricordo perfettamente la camera posta sul profilo di un tavolo, mentre i due personaggi si accomodano per pranzare. Rimane immobile. Osserviamo da lontano, non ci è permesso studiare le loro espressioni, perdersi nel gioco di ombre e nel fitto interscambio di prospettive. E’ una staticità che lascia lo spettatore lontano, ancora con mille aspettative. E con un brusco cambiamento si inquadra il Pi adulto, incorniciato, fluttuante.
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Premo il tasto play. Il film comincia e la luce del televisore mi solletica gli occhi. Sto vedendo Vita di Pi, soltanto il tre novembre 2014. Osservo i movimenti di camera secchi, magri delle prime scene. Privi di rotondità e distaccati dalla dimensione raccontata. Ricordo perfettamente la camera posta sul profilo di un tavolo, mentre i due personaggi si accomodano per pranzare. Rimane immobile. Osserviamo da lontano, non ci è permesso studiare le loro espressioni, perdersi nel gioco di ombre e nel fitto interscambio di prospettive. E’ una staticità che lascia lo spettatore lontano, ancora con mille aspettative. E con un brusco cambiamento si inquadra il Pi adulto, incorniciato, fluttuante. E’ sparita la figura dello scrittore di fronte a lui. Siamo noi stessi, faccia a faccia con colui che, con il suo racconto, scaverà il primo livello di profondità. E il film inizia a scendere, ad immergersi lentamente.
Proprio come la nave che affonda sulla fossa delle Marianne. E’ una regia che segue la sceneggiatura, le va dietro, la accompagna. E allora il film comincia.
Da quel momento in poi lo spettatore non ha più bisogno di nulla. L’approccio alle religioni del protagonista lo fanno pensare, lo pongono inevitabilmente da una prospettiva da cui forse potrà provare a spostarsi. La storia si srotola, come un tappeto. A un dolce e caldo sentimento di amore, si oppone il dolore struggente del distacco. Un distacco che, come ci farà notare lo storia, era nei progetti di Dio. Ed è proprio secondo questo progetto, secondo questo disegno, che Dio trascinerà il protagonista sino al punto in cui voleva che arrivasse. La nave costituisce quindi il mezzo, lo strumento necessario allo sviluppo dello svolgimento della storia.
Lo spettatore si confronta con il mare. La fossa delle Marianne. La profondità verticale e l’estensione orizzontale mi hanno messo in subbuglio lo stomaco. E’ l’infinito, in ogni senso. Luogo perfetto per scorgere Dio. Cosa succederà, allora? Pi dovrà sopravvivere con a bordo della sua scialuppa una tigre. Gli altri animali sono morti, nel caos iniziale. In questa pellicola, le cose sembrano andare esattamente come sarebbe successo se la storia fosse stata reale. Lo spettatore assiste, impotente, incapace di fare nulla, di fronte a una reazione a catena di avvenimenti che il protagonista non può controllare, non può cambiare. La ferocia animalesca di una tigre del Bengala deve convivere con la mente umana. In un ritmo mozzafiato, restiamo con Pi ogni secondo. Non lo abbandoniamo mai. Ci immergiamo nella sua mente, sprofondiamo nei suoi sogni ad occhi aperti, che ci trasportano in una dimensione surreale, trascinante. Scivoliamo giù come in un sogno. Poi riemergiamo. C’è sempre soltanto una cosa, attorno a Pi e a noi. C’è il mare. L’infinito.
Il protagonista si confronta con più cose contemporaneamente. Da una parte il mare, imprevedibile, velato, falsato. Dall’altra la tigre, la sua ferocia, una distrazione che gli permette di sopravvivere. Ci abituiamo anche noi al luogo. Siamo in balia. Siamo nel mare. Il regista Ang Lee ci ha appena trasportato sull’oceano. Era una dolce trappola. Un esperimento riuscito al 100%.
Arriva un’isola. Un’isola su cui Pi è sul punto di rimanere. Un’analogia lampante si ritrova con i fiori di loto nel viaggio di Odisseo. Se fosse rimasto lì, sarebbe morto.
“Dovevo tornare al mondo” dice il narratore adulto “o morire provandoci”.
Ritorniamo sul mare. Interessante il modo in cui le voci fuori-campo dei due personaggi, cioè della stessa persona, si alternino. L’ho trovato, a dir la verità, leggermente inopportuno.
Ricordo bene un'altro film da Oscar comeTitanic che è stato ben attento a porsi sulla prospettiva di una sola delle due Rose, la cui voce anziana ci faceva riemergere dallo straniamento.
Il Messico infine sarà la loro ancora di salvezza, sua e di Richard, la tigre. La loro divisione è un momento cruciale, quasi uno spannung smorzato dopo che ce ne avevano serviti tanti. Ma pur sempre uno spannung. La tensione che avevo accumulato durante il naufragio si stempera lentamente. E’ il momento della divisione, brusca e inaspettata. Non c’è più tempo di pensare al mare, alla tempesta. La divisione sta avvenendo in quel momento e nulla può cambiare le cose.
La tigre è pur sempre un animale e lo abbandona. Potrebbe dispiacerci, potrebbe toccarci il cuore. Inevitabilmente ci fa pensare, mentre il Pi adulto che avrebbe dovuto imparare molte cose dalla vita mostra la sua ferita ancora aperta, versando delle lacrime che gli rigano le guance. La tigre lo aveva abbandonato. Ammetto che ancora sto cercando di capire il motivo per cui Pi abbia raccontato una storia diversa agli investigatori. Forse perché le vie in cui opera Dio risultano incomprensibili.
Un film da Oscar. Lo merita tutto. Analogie con Titanic ne ho trovate parecchie, soprattutto il ritorno finale fugace al momento in cui la tigre compie quel salto e scompare tra i cespugli, per sempre. Magnifico. Ho sognato.
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francescolattanzio
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sabato 16 agosto 2014
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vita di pi...
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Annunciato come un capolavoro che rimarrà nella storia... ma in realtà è un film normale, sì bello ma capolavori sono altri. I capolavori sono quelli che ti rimarranno sempre dentro.
Vita di Pi, il giorno dopo già non mi suscitava più niente, però è da dire che effetti speciali e fotografia sono superbi e mertitano l'Oscar, riescono a incantare anche per la bravura del protagonista ma secondo una linea generale il film non è eccezionale come molti dicono.
Ripeto, per me supera la sufficienza ma mi aspettavo molto di meglio.
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maggie69
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venerdì 15 agosto 2014
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visto in una d...
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Premesso che adoro l'India e i suoi innumerevoli dei e bellezze e che ho un debile per le tigri (vedi "Amba" in Dersu Uzala), il film mi ha lasciata insoddisfatta. Bellissima la lotta per la sopravvivenza, tra animalu o uomini che fosse, inimmaginabile un'isola carnivora di notte... stupenda la ricerca della via di Pi, ma se mi domando qual'é la morale del film non so rispondere...
In una dimensione, ho visto un ragazzo molto intelligente che non ha mai perso la speranza di vivere e di avere uno scopo nella vita, senza il quale non si può guardare avanti.
La tigre non si volta perché davanti ha la vita, la giungla...
La tigre é stupenda.
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Premesso che adoro l'India e i suoi innumerevoli dei e bellezze e che ho un debile per le tigri (vedi "Amba" in Dersu Uzala), il film mi ha lasciata insoddisfatta. Bellissima la lotta per la sopravvivenza, tra animalu o uomini che fosse, inimmaginabile un'isola carnivora di notte... stupenda la ricerca della via di Pi, ma se mi domando qual'é la morale del film non so rispondere...
In una dimensione, ho visto un ragazzo molto intelligente che non ha mai perso la speranza di vivere e di avere uno scopo nella vita, senza il quale non si può guardare avanti.
La tigre non si volta perché davanti ha la vita, la giungla...
La tigre é stupenda...vera o falsa che fosse...quindi 3 stelle...perché non capisco il messaggio, ma 3 stelle perché darne meno non sarebbe giusto.
Chi é Lì, la grafica o altre cose non mi importa...
Ultima cosa: tra le due storie anch'io preferisco quella fantastica.
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max.antignano
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sabato 5 luglio 2014
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nessuno conosce dio finchè non ce lo presentano
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Ang Lee si interroga sul rapporto tra uomo e natura, tra uomo e Dio. Con la sua sensibilità dolce e crudele, Piscine (questo il vero nome di Pi), indiano, narra il flashback della sua vita, (incidentalmente dovuta al suo soprannome, ossia Pi Greco, il numero di Dio) e il suo rapporto con Richard Parker, la tigre che gli insegnerà come stanno davvero le cose, a partire dal naufragio della nave su cui tutti sono imbarcati.
Se uno come Ang Lee dovesse reinterpretare un cartoon come Madagascar con spirito profondo e adulto (anche se il cartoon stesso non è privo di spunti adulti) forse il risultato sarebbe un film come questo, dove non manca la convivenza (breve) tra carnivori ed erbivori, l'oceano, i lemuri e il tormentato ritorno verso casa.
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Ang Lee si interroga sul rapporto tra uomo e natura, tra uomo e Dio. Con la sua sensibilità dolce e crudele, Piscine (questo il vero nome di Pi), indiano, narra il flashback della sua vita, (incidentalmente dovuta al suo soprannome, ossia Pi Greco, il numero di Dio) e il suo rapporto con Richard Parker, la tigre che gli insegnerà come stanno davvero le cose, a partire dal naufragio della nave su cui tutti sono imbarcati.
Se uno come Ang Lee dovesse reinterpretare un cartoon come Madagascar con spirito profondo e adulto (anche se il cartoon stesso non è privo di spunti adulti) forse il risultato sarebbe un film come questo, dove non manca la convivenza (breve) tra carnivori ed erbivori, l'oceano, i lemuri e il tormentato ritorno verso casa. Ma la magia qui è adulta, e la fantasia un mezzo per sopravvivere.
Vita di Pi è un film crudele, mistico e fantastico.
Un capolavoro di filosofia e natura, misticismo e pazzia. Da vedere. E soffrire.
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