khaleb83
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martedì 25 febbraio 2014
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uno dei film più sopravvalutati di sempre
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Incomprensibile cosa abbia portato questo film ad essere tanto quotato. Di Caprio, si sa ormai, ha bisogno di una regia in grado di valorizzarlo per rendere al meglio: Eastwood sarà bravissimo con i quadri generali, ma in questo pecca e non poco. Il protagonista sembra parodiare i suoi personaggi abituali, la trama è inconsistente e molto mal raccontata. Menzione particolare (ma in negativo) per il trucco, che ricorda più gli sketch comici di MTV che quello che ci si attenderebbe da un prodotto di questa portata. Il biopic è una trappola pericolosa, un brutto biopic è una noia mortale.
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dandy
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venerdì 31 gennaio 2014
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un buon film,ma non memorabile.
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Attraverso una struttura di salti temporali gli ultimi anni di vita e momenti cruciali nella carriera,il film dell'81enne Eastwood indaga in modo superficiale l'uso invasivo e spesso ricattatorio delle informazioni che Hoover raccolse in mezzo secolo di "investigazioni" per mettere impietosamente in luce il suo rapporto instabile con le donne(come la possessiva madre)e l'omosessualità(sempre negata).Hoover è così posto in una perenne ambiguità non sempre controllata.La cupezza di fondo(accentuata da una fotografia scura che rende dominanti ombre e zone d'ombra metafisiche)è ben lontana dagli ideali democratici dell'american way of life,ma più che spirito critico da invece l'idea di rassegnazione.
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Attraverso una struttura di salti temporali gli ultimi anni di vita e momenti cruciali nella carriera,il film dell'81enne Eastwood indaga in modo superficiale l'uso invasivo e spesso ricattatorio delle informazioni che Hoover raccolse in mezzo secolo di "investigazioni" per mettere impietosamente in luce il suo rapporto instabile con le donne(come la possessiva madre)e l'omosessualità(sempre negata).Hoover è così posto in una perenne ambiguità non sempre controllata.La cupezza di fondo(accentuata da una fotografia scura che rende dominanti ombre e zone d'ombra metafisiche)è ben lontana dagli ideali democratici dell'american way of life,ma più che spirito critico da invece l'idea di rassegnazione.Il personaggio è mostrato in tutta la sua contraddittorietà ma rimane avvolto da un alone misterioso.DiCaprio(sotto make-up)ci mette la sua bravura,ma non tutte le critiche sono state positive al riguardo.E la Dench meritava più spazio.
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damiano ragni
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martedì 2 luglio 2013
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una gran palla
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mi sono annoiato molto avedere questo film ------palloso
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gufetta76
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venerdì 7 giugno 2013
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deludente
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Film lento e noioso. In certi tratti non si capisce un granchè, i flash back creano solo confusione nello spettatore. Pessima fotografia, pessimo trucco quasi grottesco.Questa volta il buon Clint ha toppato, e forse la vita di questo Hoover non era così poi interessante da essere trattata.
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ultimoboyscout
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domenica 14 aprile 2013
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l'uomo più potente e controverso d'america.
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Vecchio Clint, oltre 80 anni portati con magistrale lucidità conservatrice (che poi da noi si facciano salti mortali per definirlo fascista è un problema nostro e della nostra Storia, non suo), è un super tifoso dei massimi ideali yankee, tramutando la sua antica rabbia da giustiziere in saggia poetica descrittiva. Come ogni reazionario che si rispetti tende al disincanto e al melodramma e ingaggia lo scenneggiatore gay di "Milk" per far indossare i panni di sua madre Judi Dench al meraviglioso DiCaprio, trasformandolo in un uomo dall'omosessualità frustrata. Film carico di ombre ma anche di luci, il trucco è pesante (Hoover vecchio non ricorda Ruggero DeCeglie?), agita ed evoca fantasmi forse nemmeno esistiti ed esalta Edgar, l'uomo degli archivi e delle impronte digitali, temutissimo da tutti che tenne botta a otto Presidenti, catturò Dilinger, ricattò Kennedy e chiunque fosse intenzionato a usare il proprio potere per limitarlo, fu ossessionato da Luther King e dai comunisti ma debellò il Ku Klux Klan.
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Vecchio Clint, oltre 80 anni portati con magistrale lucidità conservatrice (che poi da noi si facciano salti mortali per definirlo fascista è un problema nostro e della nostra Storia, non suo), è un super tifoso dei massimi ideali yankee, tramutando la sua antica rabbia da giustiziere in saggia poetica descrittiva. Come ogni reazionario che si rispetti tende al disincanto e al melodramma e ingaggia lo scenneggiatore gay di "Milk" per far indossare i panni di sua madre Judi Dench al meraviglioso DiCaprio, trasformandolo in un uomo dall'omosessualità frustrata. Film carico di ombre ma anche di luci, il trucco è pesante (Hoover vecchio non ricorda Ruggero DeCeglie?), agita ed evoca fantasmi forse nemmeno esistiti ed esalta Edgar, l'uomo degli archivi e delle impronte digitali, temutissimo da tutti che tenne botta a otto Presidenti, catturò Dilinger, ricattò Kennedy e chiunque fosse intenzionato a usare il proprio potere per limitarlo, fu ossessionato da Luther King e dai comunisti ma debellò il Ku Klux Klan. Un uomo cupo che ha amato alla stessa maniera l'America e il suo braccio destro. Eastwood non pecca di localismo ma racconta la storia di J. Edgar attraverso momenti topici del secolo scorso, mettendo in luce ombre di un paese che si è sempre vantato (e si vanta) di promuovere libertà anche in presenza di blacklist. E' il biopic di uno degli uomini più potenti e contraddittori della storia, un cacciatore di segreti che custodiva gelosamente i propri per un regno durato 48 anni e che narra le ossessioni che hanno accompagnato la carriera di Eastwood. E' cinema d'intuito, eccentrico e un tantino provocante che invita a riflessioni di assolutà attualità. Più melò che film storico, qualche scivolone c'è e ci può stare, molto facile puntare il dito su un personaggio del genere ma Eastwood non lo fa, considera il suo smisurato potere come un fatto personale e traccia il profilo di un uomo incapace di esprimere le proprie emozioni anche a causa del conformismo soffocante impostogli dalla madre. Il regista si rimette in gioco e si lascia attrarre dai lati più oscuri dei suoi personaggi ma il punto debole è la sceneggiatura (che in realtà avrebbe dovuto essere il fiore all'occhiello del film) che esagera in riduzionismi psicologici. DiCaprio è bravissimo ad umanizzare J. Edgar ma dalle figure di contorno si ha davvero troppo poco.
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giuseppe dicorato
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sabato 9 febbraio 2013
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talvolta succede
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Succede anche ai grandi registi (v. Fellini con "La città delle donne") di sbagliare un film. Stavolta, a mio parere di spettatore, è successo a Clint Eastwood. Secondo me, il difetto di base di "J. Edgar " è di ridurre il personaggio a due dimensioni: quella dell'anticomunista e l'altra dell'omosessuale. Hoover fu molto di più, come documenta "J. Edgar Hoover" di Anthony Summers (1996), forse la più completa biografia del personaggio. Contraddittorio e ambizioso oltre ogni limite, capace di grandi colpi di genio e di deplorevoli bassezze, fu insieme un genio del bene e del male. Il film di Eastwood, anche perché appesantito da troppi flashback e flashforward, non rende, credo, la complessità del personaggio.
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Succede anche ai grandi registi (v. Fellini con "La città delle donne") di sbagliare un film. Stavolta, a mio parere di spettatore, è successo a Clint Eastwood. Secondo me, il difetto di base di "J. Edgar " è di ridurre il personaggio a due dimensioni: quella dell'anticomunista e l'altra dell'omosessuale. Hoover fu molto di più, come documenta "J. Edgar Hoover" di Anthony Summers (1996), forse la più completa biografia del personaggio. Contraddittorio e ambizioso oltre ogni limite, capace di grandi colpi di genio e di deplorevoli bassezze, fu insieme un genio del bene e del male. Il film di Eastwood, anche perché appesantito da troppi flashback e flashforward, non rende, credo, la complessità del personaggio. Rimane un buon docufilm, ma riuscito a metà.
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blackdragon89
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lunedì 21 gennaio 2013
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patriottismo ispiratorio di un americano storico
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Alla luce degli attentati ad opera degli anarchici bolscevichi, nel 1919 l'America di Roosevelt istituisce il Bureau Of Investigation, divenuto poi FBI, alle cui redini ascende l'allora ventiquattrenne John Edgar Hoover. Sulle righe di una biografia romanzata Clint Eastwood ritrae l'uomo e la società ai tempi del proibizionismo, nelle cui lande cresce e si consolida l'intraprendente personalità dello storico direttore di uno dei corpi segreti più famosi al mondo. Capace, impulsivo, ossessionato dal lavoro e dall'utopico ideale di un paese in completa sicurezza, John Hoover getta le rigide basi per un rinnovato ente investigativo che trova i suoi punti di forza in un'impeccabile organizzazione ricognitiva e nella promozione della ricerca scientifica in scopo di verifica.
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Alla luce degli attentati ad opera degli anarchici bolscevichi, nel 1919 l'America di Roosevelt istituisce il Bureau Of Investigation, divenuto poi FBI, alle cui redini ascende l'allora ventiquattrenne John Edgar Hoover. Sulle righe di una biografia romanzata Clint Eastwood ritrae l'uomo e la società ai tempi del proibizionismo, nelle cui lande cresce e si consolida l'intraprendente personalità dello storico direttore di uno dei corpi segreti più famosi al mondo. Capace, impulsivo, ossessionato dal lavoro e dall'utopico ideale di un paese in completa sicurezza, John Hoover getta le rigide basi per un rinnovato ente investigativo che trova i suoi punti di forza in un'impeccabile organizzazione ricognitiva e nella promozione della ricerca scientifica in scopo di verifica. Ben presto, al pari dell'estensione del contesto operativo, la sfera tattile del regno dei complotti spingerà il suo cauto e istintivo carattere ad ampliare le linee di sospetto, toccando persino il ramo politico, segno di un marcato senso di sfiducia verso qualsiasi tipo di istituzione esterna; prendono così il via le trame di una procedura al limite della legalità, fatta di intercettazioni a scopo intimidatorio a capo di un intento ultimo quale vuole essere il raggiungimento di un potere che contrasti qualsiasi ipotetico impedimento ai fini della salvaguardia del paese.
La mano esperta del regista statunitense calca i ritmi drammatici non solo grazie all'efficienza di una storia raccontata dal protagonista stesso, ma soprattutto da un originale approccio dell'itinerario scenico che fa abile uso del flashback come ponte ricorrente tra l'epoca "presente" e un lungo dettato autobiografico che ripercorre i vari tasselli della carriera di Hoover. Il particolare merito di questo valido espediente sta proprio nel consapevole rischio di frammentare la scorrevolezza del plot narrativo, e che si mostra invece in tal frangente abile e in tutto solido, reggendosi sull'introduzione di elementi che concernono l'una o l'altra linea temporale garantendo all'insieme una certa continuità, qui vero fulcro d'azione dell'intera struttura.
Tralasciando qualche leggero spunto di assunzione palesemente cinematografico, quale può essere un'omosessualità latente e in realtà non accertata, la trama raggiunge l'impeccabile accordo di una storia mai idealizzata, e per questo estraniata dalla consuetudine di un genere biografico che mira ad elevare i tratti epici di un patriottismo americano. Al contrario, l'intento di Eastwood si presta proprio alla rappresentazione della realtà nuda, cruda e mai fittizia, conscia dei propri errori e innalzata dalla morale di un sentimentalismo storico, nel cui contesto si poggia un buio e piacevolmente tormentato viaggio alla ricerca di una costruzione del perfetto difensore americano, su cui forse l'intero complesso scaglia la sua critica. Per raggiungere tali propositi il prodotto vanta un ottimo montaggio sonoro, per nulla invadente bensì danzante sui temi grafici, una sceneggiatura eccellente a capo di superbi dizionari, e infine un cast ricco e capace, che ostenta l'impeccabile Di Caprio sulla vetta interpretativa, quasi potesse calzare perfettamente ogni parte.
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perthick
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giovedì 17 gennaio 2013
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bravissimo francesco
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Interpreti perfettamente il mio stesso pensiero: film che poteva risultare estremamente interessante, "rovinata" da allungamento eccessivo dei tempi e dalla mancanza di un vero e proprio filo conduttore che tenga insieme tutta la struttura del film. Come hai detto tu, il film è composto da tante piccole scintille, che bastano sì a tenere viva l'attenzione dello spettatore, ma che sono talmente sparse e fioche da non permetterne una lettura facile...
Anche a me è piaciuta di più la prima parte del film, più documentaristica, mentre nella seconda parte Eastwood mi pare che abbia un pò perso la bussola, e sia rimasto impigliato nel suo sistema di flashback forse un pò troppo frequenti.
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Interpreti perfettamente il mio stesso pensiero: film che poteva risultare estremamente interessante, "rovinata" da allungamento eccessivo dei tempi e dalla mancanza di un vero e proprio filo conduttore che tenga insieme tutta la struttura del film. Come hai detto tu, il film è composto da tante piccole scintille, che bastano sì a tenere viva l'attenzione dello spettatore, ma che sono talmente sparse e fioche da non permetterne una lettura facile...
Anche a me è piaciuta di più la prima parte del film, più documentaristica, mentre nella seconda parte Eastwood mi pare che abbia un pò perso la bussola, e sia rimasto impigliato nel suo sistema di flashback forse un pò troppo frequenti.
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kondor17
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lunedì 24 dicembre 2012
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50 anni di storia americana
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Con un Di Caprio in gran spolvero (anche se doppiato e invecchiato maluccio) il grande Clint dipinge in maniera rigorosa e stilisticamente perfetta la storia di J.Edgar Hoover, capo storico ed ideatore dell'FBI moderno, sopravvissuto a ben 8 presidenti, da Coolidge a Nixon, grazie anche agli scheletri da lui tenuti nell'armadio della fidatissima segretaria Helen (bravissima come sempre Naomi Watts). Già da bambino J.Edgar presentava disturbi della personalità e balbuzie, che il medico, con l'aiuto della madre (Judi Dench), lo aiutava a superare, facendogli fare una sorta di scioglilingua autoproclamante di fronte allo specchio. J. Edgar era dominato da una madre più che autoritaria, che lo aveva eletto, già in tenera età, forse a parziale riscatto della pochezza del marito, a diventare l'uomo più potente d'America.
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Con un Di Caprio in gran spolvero (anche se doppiato e invecchiato maluccio) il grande Clint dipinge in maniera rigorosa e stilisticamente perfetta la storia di J.Edgar Hoover, capo storico ed ideatore dell'FBI moderno, sopravvissuto a ben 8 presidenti, da Coolidge a Nixon, grazie anche agli scheletri da lui tenuti nell'armadio della fidatissima segretaria Helen (bravissima come sempre Naomi Watts). Già da bambino J.Edgar presentava disturbi della personalità e balbuzie, che il medico, con l'aiuto della madre (Judi Dench), lo aiutava a superare, facendogli fare una sorta di scioglilingua autoproclamante di fronte allo specchio. J. Edgar era dominato da una madre più che autoritaria, che lo aveva eletto, già in tenera età, forse a parziale riscatto della pochezza del marito, a diventare l'uomo più potente d'America. Rifiutato dall'unica donna a cui si era dichiarato, divenuta poi sua segretaria a vita, J.Edgar iniziò ad attorniarsi di integerrimi ed eleganti collaboratori, che dovevano rigorosamente attenersi al suo standard etico-estetico, pena il licenziamento. Un suo uomo gli presentò un giorno un giovane, Clyde Tolson, fresco laureato in legge nella sua stessa università, da cui J.Edgar venne immediatamente affascinato. Divenne poi suo consulente legale, estetico ed il suo autentico braccio destro, e la sua dichiarata scarsa propensione verso il gentil sesso trovò subito il consenso dell'altro. I presupposti per una relazione tra i due c'erano tutti e le condizioni erano pur ottimali, se non fosse stato per la madre che lo avrebbe per questo ripudiato a morte. Forse per questo non si dichiarò mai e comunque Clint Eastwood è maestro nel descrivere sguardi e parole non dette, come già visto in mille altre occasioni. Tra i due, a lungo andare, nasce una sorta di rapporto viscerale di totale dipendenza, un'amore strozzato, un urlo silenzioso, che sfocia in dramma una sola volta, in albergo, quando J.Edgar confida all'amico che sarebbe tempo per una signora Hoover. Ancora una volta Clint Eastwood dimostra la sua mano fortunata nel descrivere un dramma umano, questa volta di un uomo divenuto molto potente, che si costruì - o forse dovette costruirsi - un'immagine di superuomo, prendendosi meriti forse non suoi, ma questo anche e soprattutto per soppiantare la dilagante approvazione popolare che i criminali quali Dillinger, Al Capone, Mitra Kelly ecc. stavano assumendo proprio nel periodo del proibizionismo. E ci riuscì, tanto da diventare lui stesso personaggio di fumetti e di film. In un'America controversa, sempre in bilico tra nemico pubblico e poliziotto, dove non si sa chi sia il buono ed il cattivo, dominata dalle armi e dai media, il cavaliere pallido ancora una volta tinge con toni forti una bella e buona denuncia del sistema politico ed investigativo americano, corrotto e schiavo del potere. Forse per questo la critica americana lo ha segato. Forse per questo gli do le tre stelle :)
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