jack black
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venerdì 16 settembre 2011
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solo per chi ha il lavoro sicuro :((
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Film molto duro... si capisce perchè nessuna sala italiana lo abbia proiettato. Ma a me è piaciuto. Con la sua durezza, ti impone di farti delle domande. Quali sono i tuoi valori fondamentali? Sei sicuro di "essere" e non solo di apparire? Film neorealista da vedere, ma lo consiglio solo a chi ha un lavoro, Chi ha una situzione lavorativa incerta, beh.... consiglierei la visione del Gladiatore.
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(di gully)
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onil79
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domenica 11 settembre 2011
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ottimo avvio per poi scomparire pian piano...
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Ottimo l'avvio ma poi il film va via via scemando. Tutto troppo lineare e per essere un film drammatico, non mi ha suscitato emozioni forti in tal senso. Il lagoro è apprezzabile ma un pò di amaro in bocca rimane quando un possibile ottimo lavoro galleggia sulla sufficienza.
Voto 6
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johngarfield
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sabato 10 settembre 2011
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un sistema a rotoli
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La scena finale è una carrellata su una fabbrica, un tempo in piena salute, ora morente. Tutto è desolazione: non c'è anima viva. Dove sono gli operai? I dirigenti? Gli automezzi? Nulla. Anni, decenni di duro lavoro, energie, speranze, prosperità. Niente, Finito. Si cambia! Il sistema muta, liberando nuove energie e sbarazzandosi della vecchia carcassa che prima lo sorreggeva e che ora, viene lasciata morire. Ma ci sono gli uomini. Operai, quadri, dirigenti, manager, che diamine! Via! Non sono più assimilabili.
E' in questo desolante quadro che si svolge la trama del film: tre vite, legate l'una all'altra dal lavoro presso la stessa ditta, una specie di colosso che, per sopravvivere, non ha scrupoli nel liberarsi dei rami secchi: decisione drastica che spesso maschera la pigrizia nel trovare nuovi modi per riciclarsi ed evitare di sbarazzarsi di personale capace e affidabile.
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La scena finale è una carrellata su una fabbrica, un tempo in piena salute, ora morente. Tutto è desolazione: non c'è anima viva. Dove sono gli operai? I dirigenti? Gli automezzi? Nulla. Anni, decenni di duro lavoro, energie, speranze, prosperità. Niente, Finito. Si cambia! Il sistema muta, liberando nuove energie e sbarazzandosi della vecchia carcassa che prima lo sorreggeva e che ora, viene lasciata morire. Ma ci sono gli uomini. Operai, quadri, dirigenti, manager, che diamine! Via! Non sono più assimilabili.
E' in questo desolante quadro che si svolge la trama del film: tre vite, legate l'una all'altra dal lavoro presso la stessa ditta, una specie di colosso che, per sopravvivere, non ha scrupoli nel liberarsi dei rami secchi: decisione drastica che spesso maschera la pigrizia nel trovare nuovi modi per riciclarsi ed evitare di sbarazzarsi di personale capace e affidabile.
E' sempre una novità interessante vedere come l'America raffigura se stessa in un ambiente poche volte esplorato: il fallimento personale simbolo di un fallimento più generale che è non solo quello di un colosso industriale, ma di un intero sistema.
John Wells, regista alla sua opera prima, è un buono sceneggiatore e produttore che si è fatto le ossa in tv in serial di grande successo come ER, sembra credere in questo su progetto, una specie di scommessa rischiosa tenendo conto dell'idiosincrasia dell'americano medio verso tematiche deprimenti e poco inclini all'entertainment.
Questo film ci sembra un mare mosso in cui si alternano e si scontrano temi ricorrenti e perfino contraddittori. C'è chi, superato il trauma del licenziamento, non si dà per vinto e ritenta il reinserimento, accettando anche lavori umili. C'è chi, dopo qualche vano tentativo di ricerca di un nuovo posto, decide di farla finita. E c'è chi, alla fine, molla tutto e, finalmente, riscopre nuove dimensioni di vita.
Non è una rappresentazione della crisi che ha investito e messo in ginocchio l'America: sarebbe troppo facile e comodo vederla così. Questo film è un atto di accusa a un sistema dove vige la legge del più forte, un sistema che fino a ieri, tronfio della propria prosperità, non si faceva scrupolo di dare lezioni di "american way of life", con la sicumera di chi è convinto che il proprio modo di vivere e concepire il mondo sia il solo universalmente valido. Salvo poi...E' il volto, peraltro troppo spesso marmoreo e inespressivo, di Ben Affleck a darci la misura di ciò che sta succedendo. Nel suo bel volto gentile da buon americano di successo, iscritto al Country Club, con Porsche nel garage e una villa da sogno, si indovina l'incredulità, l'amarissima sorpresa che il suo bel mondo di sogni, costruito giorno dopo giorno, compiaciuto del proprio successo, convinto dell'immutabilità della propria fortuna, è andato in frantumi. Egli, abituato a dare ordini, spietato quanto glielo consente il ruolo che riveste, senza riguardo per nessuno se non per le leggi di questo stramaledettissimo "mercato" (si noti la frase che suo cognato, un sorprendente e sommesso Kevin Costner, gli rivolge:"Avete investito in qualche posto di merda off shore in Asia questa settimana?"), si trova ora a subire le leggi spietate che prima aveva così tenacemente difeso e fatte proprie.
Il mito americano è andato a farsi benedire: rinunciare alla Porsche, al Club e sistemarsi in casa del cognato vuol dire scendere le strade del fallimento che, per un manager giovane come lui, può essere occasione di riflessione e di rilancio, su basi meno presuntuose e più umili. Cosa che purtroppo non avviene per l'attempato Chris Cooper che si è tinto i capelli per dimostrarsi più giovane (il sistema rifiuta il "vecchio") ed è disposto ad accettare lavori che stroncherebbero un trentenne. Per lui la sentenza è definitiva. Nessuna possibilità di reinserimento. Per lui le stupide frasi "Io vincerò perchè ho fede, coraggio ecc." sono vuote. Lui, che ha creato la società, che ne è stato uno degli artefici principali, gettato via ora come una vecchia ciabatta.
Il volto duro, segnato, sofferto di Tommy Lee Jones, licenziato da una giovinetta chiamata a fare da "tagliateste" è poi degno suggello di una rappresentazione sconsolata di un fallimento epocale.
Rappresentare le angosce di una classe medio-alta alle prese con il fallimento è operazione forse coraggiosa ed in parallelo con la raffigurazione delle difficoltà della classe operaia alle prese con le crisi e le contraddizioni del sistema, tematica portata avanti con coerenza e talento da Ken Loach. Significa alzare la mira e puntare all'establisment, a coloro che "comandano", alla classe padronale. In un clima da si salvi chi può, Wells vuole rendere chiaro che il giocattolo si può rompere e a finirne vittime possono essere gli stessi che lo hanno creato e gestito.
Per ora, il mostro, divorati alcuni pezzi del suo cervello, ne ha elaborati altri ancora più spietati, spaventato dalla repentinità della malattia che lo ha colpito, ma ancora in grado di decidere vita e morte di milioni di persone. Fino, forse, alla prossima e ancora più letale crisi. [-]
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vip_era
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martedì 6 settembre 2011
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la crisi del sogno americano
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Film che fa molto riflettere sull'attuale crisi. Molto verosimile, purtroppo.
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cenox
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sabato 27 agosto 2011
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la recessione americana
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La recessione americana. Il momento di crisi che stanno attraversando tantissime nazioni europee e non solo. La paura di essere licenziati da un moento all'altro. Non vi è più certezza del futuro? Saremo tutti costretti a ridimensionare le nostre vite? Questo non è di certo quello che pensa all'inizio del film il protagonista, Ben Affleck, il quale viene licenziato a causa dei tagli al personale in esubero, ed improvvisamente si ritrova senza un lavoro. La casa, la macchina, la famiglia...tutto in precedenza era finalizzato al lusso estremo e sembra impossibile potervi rinunciare. L'uomo però scoprirà che non è assolutamente una cosa facile riappropriarsi di un lavoro all'altezza del precedente, lui che guadagnava 110.
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La recessione americana. Il momento di crisi che stanno attraversando tantissime nazioni europee e non solo. La paura di essere licenziati da un moento all'altro. Non vi è più certezza del futuro? Saremo tutti costretti a ridimensionare le nostre vite? Questo non è di certo quello che pensa all'inizio del film il protagonista, Ben Affleck, il quale viene licenziato a causa dei tagli al personale in esubero, ed improvvisamente si ritrova senza un lavoro. La casa, la macchina, la famiglia...tutto in precedenza era finalizzato al lusso estremo e sembra impossibile potervi rinunciare. L'uomo però scoprirà che non è assolutamente una cosa facile riappropriarsi di un lavoro all'altezza del precedente, lui che guadagnava 110.000 dollari al mese. Ma sarà costretto dagli eventi della vita a reimparare quali sono i veri valori su cui fare affidamento. Ottimo cast e film ben recitato.
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lord jim
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martedì 9 agosto 2011
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le conseguenze della crisi
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In genere, dopo una grande crisi, negli USA vengono prodotti uno o più film allo scopo di elaborare il lutto e di ufficializzare nel comune ricordo immagini e emozioni. E' questo il caso di 'The Company Men' , dove con maestria registica e un cast di grandi interpreti (da Costner a T.L.Jones a B.Affleck) si narra della crisi finanziaria del 2008 e delle drammatiche conseguenze sulla vita di alcuni dei protagonisti, manager di successo sino al momento del tracollo della propria azienda. Non manca il piccolo lieto fine, dopo i soliti grandi drammi. Il problema è che, visto quel che sta succedendo oggi, agosto 2011, sarà presto (?) necessario il sequel .
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dario
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martedì 28 giugno 2011
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scontato da intrigante
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Ma guarda com'è grande la spregiudicatezza moderna! Travolge amicizia e sentimento come niente. Nulla di nuovo sotto il sole, non nuova persino la speranza estrema e dunque la reazione tutta americana, una reazione muscolare, come si sa, e per niente foriera di progresso morale. Film pasticciato non poco, con solite punte di machismo, per una volta non del tutto indigesto. recitazione al minimo sindacale e regia da buon sport televisivo.
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valterino
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mercoledì 27 aprile 2011
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intelligente e ben fatto... temo passi inosservato
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un film atipico, se vogliamo coraggioso
non perchè faccia denuncie sociali particolarmente clamorose, ma perchè nasce gia destinato all'insuccesso: è uno spaccato di vita comune che non riprende eventi storici, e che parla di uno strato sociale benestante minoritario, per cui il grande pubblico non potrà immedesimarsi.
a dirla tutta a tratti mi pare perfino inverosimile: file di dirigenti licenziati che non trovano in nessun modo lavoro.... mi ha fatto veramente chiedere "ma mi sfugge qualcosa delal grande depressione americana?" e sono andato a rivedermi le quote di disoccupazione degli usa di Obama vedendo che sono al 8% una quota pressochè ridicola per un paese com il nostro dove gli under 25 sono al 26% .
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un film atipico, se vogliamo coraggioso
non perchè faccia denuncie sociali particolarmente clamorose, ma perchè nasce gia destinato all'insuccesso: è uno spaccato di vita comune che non riprende eventi storici, e che parla di uno strato sociale benestante minoritario, per cui il grande pubblico non potrà immedesimarsi.
a dirla tutta a tratti mi pare perfino inverosimile: file di dirigenti licenziati che non trovano in nessun modo lavoro.... mi ha fatto veramente chiedere "ma mi sfugge qualcosa delal grande depressione americana?" e sono andato a rivedermi le quote di disoccupazione degli usa di Obama vedendo che sono al 8% una quota pressochè ridicola per un paese com il nostro dove gli under 25 sono al 26% ... per cui i toni ritengo siano un po accessivi....
però la pellicola funziona, i ritmi sono giusti, i personaggi piacciono e in particolare la situazione famigliare di ben affleck coinvolge....
spiace che kevin costner abbia un ruolo marginale, sarebbe stato facile introdurlo prima e renderlo piu importante....
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garghenta
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lunedì 25 aprile 2011
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da vedere
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Ottimo film sulla recessione odierna in Usa, ma potrebbe essere ovunque
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beabla
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lunedì 17 gennaio 2011
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un po' lento
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Fotografia della crisi americana e dei problemi correlati ai licenziamenti.
Interessante vedere i diversi tipi di reazione da parte dei personaggi coinvolti ma il film, a mio parere, è un po' troppo lento e lungo.
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