esnaider
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domenica 20 aprile 2014
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molto ben costruito...
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...rivelando la propria origine teatrale, il film ha il gravissimo difetto di non localizzare né storicamente, né geograficamente la vicenda. solo chi ha nozioni superiori al normale di storia e politica, può comprendere nella prima ora che i flashback in cui s'articola il film, si svolgono in libano tra la metà degli anni settanta e quella degli anni ottanta. un pretenziosa assurdità. chi diavolo può mai sapere che daresh è una città del libano? L'intenzione degli autori è forse quella di dare universalità all'orrore che viene narrato, ma è un passo per molti versi falso. ciò che accade, poteva credibilmente accadere solo in paesi multietnici e profondamente divisi, caratteristica non esattamente universale.
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...rivelando la propria origine teatrale, il film ha il gravissimo difetto di non localizzare né storicamente, né geograficamente la vicenda. solo chi ha nozioni superiori al normale di storia e politica, può comprendere nella prima ora che i flashback in cui s'articola il film, si svolgono in libano tra la metà degli anni settanta e quella degli anni ottanta. un pretenziosa assurdità. chi diavolo può mai sapere che daresh è una città del libano? L'intenzione degli autori è forse quella di dare universalità all'orrore che viene narrato, ma è un passo per molti versi falso. ciò che accade, poteva credibilmente accadere solo in paesi multietnici e profondamente divisi, caratteristica non esattamente universale. Nella prima parte del film è impossibile capire chi ammazza chi e perché. solo piccoli particolari lo rivelano allo spettatore colto, ma colto assai e senziente già negli anni ottanta: un ulivo, un rosario, una kefia. una cripticità eccessiva e non necessaria che danneggia un buon film, ben recitato e ben diretto che scivola poi nel finale in un'agnizione molto forzata, il cui valore più che nella verosimiglianza sta nella sua simbolicità. forse il torto del film è proprio quello di voler farsi simbolo universale, spesso a dispetto della materia di cui narra.
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ledyna
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domenica 2 marzo 2014
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stupendo
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Ogni commento può essere fuorviante, bisogna vederlo per giudicare. Profondamente calibrato, senza retorica o cadute di stile, "la donna che canta" è un piccolo capolavoro del suo genere. Limpido e chiaro (quindi matematico) il suo svolgimento, ma non è una pecca negativa, anzi; brave le attrici. Mi è piaciuto come la "Bicicletta verde" storie di donne a noi sconosciute, ma intense e profonde.
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paride86
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giovedì 5 luglio 2012
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scioccante
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Film toccante (anzi, scioccante) sulla guerra del Libano e, in generale, sugli orrori dell'umanità.
I risvolti da tragedia greca prendono allo stomaco, peccato per la poca attenzione all'estetica e per l'eccessiva lentezza che penalizzano un film interessante ma alquanto prolisso.
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ginnistar
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martedì 19 giugno 2012
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forte, ma dobbiamo avere speranza!
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Film molto forte che lascia un po di amaro in bocca.
é davvero questo il mondo in cui viviamo? Possiamo fare qualcosa per fermare i circoli di guerre, crisi e crudeltà?
Ad ogni modo storia ben articolata e densa si emozione.. ora per sdrammatizzare un po direi che se io fossi la donna che canta.. canterei "Star" di Matteo Amantia! :)
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francesca meneghetti
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lunedì 4 giugno 2012
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quando gli opposti coincidono. o quasi
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Nel 2010 il film di maggior successo in Italia ha incassato oltre 30 milioni di euro (Alice in wonderland). Il film La donna che canta (titolo originale Incendies, candidato all’Oscar come miglio film straniero, è arrivato a 490.000 euro. Inesorabilmente battuto al botteghino, al pari di molti altri prodotti “impegnati”, merita però di essere visto. Anzitutto si basa su una trama molto potente. Al pari delle tragedie greche, basate sulla sequenza ybris (trasgressione) – nemesis (vendetta o castigo), va a toccare nel profondo, superando però il manicheismo di quelle nel disegnare i personaggi e la forma della nemesis: quale vendetta più perfida, e, nello stesso tempo più pietosa, c'è nelle due lettere della "donna che canta" destinate al figlio torturatore? Quando oppresso e oppressore sono la stessa persona, le regole della tragedia greca vanno infatti in tilt.
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Nel 2010 il film di maggior successo in Italia ha incassato oltre 30 milioni di euro (Alice in wonderland). Il film La donna che canta (titolo originale Incendies, candidato all’Oscar come miglio film straniero, è arrivato a 490.000 euro. Inesorabilmente battuto al botteghino, al pari di molti altri prodotti “impegnati”, merita però di essere visto. Anzitutto si basa su una trama molto potente. Al pari delle tragedie greche, basate sulla sequenza ybris (trasgressione) – nemesis (vendetta o castigo), va a toccare nel profondo, superando però il manicheismo di quelle nel disegnare i personaggi e la forma della nemesis: quale vendetta più perfida, e, nello stesso tempo più pietosa, c'è nelle due lettere della "donna che canta" destinate al figlio torturatore? Quando oppresso e oppressore sono la stessa persona, le regole della tragedia greca vanno infatti in tilt. Ne Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello c’è un bellissimo esempio a riguardo. A Roma si sta per rappresentare una tragedia di Sofocle. Ma gli attori non sono uomini, bensì marionette. Oreste, il protagonista, deve vendicare la morte del padre, avvenuta a tradimento, uccidendo. Ma se si aprisse uno squarcio nel “cielo di carta” che delimita il mondo di una marionetta, che cosa succederebbe? Oreste, vedendo un altro cielo, sarebbe portato a chiedersi se, in quel mondo, l’omicidio per vendetta sia un atto consentito. Ma avrebbe dei dubbi a diventare un oppresso-oppressore, e dunque si trasformerebbe in Amleto. In Incendies si può essere certi di che fare del figlio-torturatore (e non solo)? Questa è una chiave di lettura, del film, di tipo psicologico o psicanalitico.
Ma c’è anche l’approccio storico. La storia ci riporta al Medioriente (Libano) e ai suoi conflitti, là dove la guerra assume sempre più i connotati della guerra civile: quella che miete le proprie vittime tra i soggetti più deboli, bambini e donne. E' forse questo l'aspetto che la rende più ostica per chi va al cinema solo per distrarsi in modo più frivolo.
C’è infine l’aspetto strutturale: le simmetrie, le replicazioni, i paradossi, che ci riconducono ad un universo allo stesso tempo labirintico e ordinato, alla maniera dello scrittore Borges,
Molto bella la fotografia di André Turpin, che ci consente di viaggiare virtualmente tra ulivi e deserti. Straordinari il personaggio della madre, giovane e coraggiosa donna degli anni ’70. Nawal Marwan, e la sua interpretazione da parte di Lubna Azabal.
Un solo appunto critico, che forse è dovuto al titolo italiano, da cui derivano delle aspettative : l’aver dato poco spazio al canto della donna, simbolo di resistenza e di dignità: un po’ come la Ginestra di Leopardi.
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crivinc
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martedì 24 aprile 2012
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un pugno nello stomaco...da vedere!
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"Incendies" ti lascia il segno. Alla fine del film sono stata travolta da una marea di emozioni contrastanti tra loro. Fino a che punto può arrivare l'amore per un figlio? Cosa si può perdonare in nome dell'amore? Come spezzare la catena dell'odio? Tanti interrogativi che sono da spunto per riflettere e che, alla fine, pongono in secondo piano il fatto che risulta un pò difficlie seguire il dipanarsi della storia. A mio parere sarebbe stato più opportuno cercare di contestualizzare meglio i fatti, dato che le vicende storiche di cui si parla non sono un semplice contorno alla storia, ma parte integrante di essa.
Comunque la mia opinione resta che questo è un film da vedere!
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francesco2
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mercoledì 11 aprile 2012
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(ri) scoprire il passato
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Come un altro, piuttosto celebrato film della scorsa stagione, "Un gelido inverno", anche quest'opera racconta sotto certi aspetti una storia che non c'è. Un passato da (ri)scoprire, anche se in questo caso l'intreccio, quando c'è, è sicuramente più denso.
C'è (almeno) una differenza sostanziale, tuttavia: se il film statunitense parla di un mondo piccolo, anzi di un posto isolato dal mondo, dove vigono leggi -Sic!- che è generoso definire settarie, "La donna che canta" è un film che si proietta verso una dimensione ampia.
Perché c'è un viaggio che abbraccia vari punti del mondo, ed avolte culture differenti: al quale poi si unirà anche l'altro fratello.
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Come un altro, piuttosto celebrato film della scorsa stagione, "Un gelido inverno", anche quest'opera racconta sotto certi aspetti una storia che non c'è. Un passato da (ri)scoprire, anche se in questo caso l'intreccio, quando c'è, è sicuramente più denso.
C'è (almeno) una differenza sostanziale, tuttavia: se il film statunitense parla di un mondo piccolo, anzi di un posto isolato dal mondo, dove vigono leggi -Sic!- che è generoso definire settarie, "La donna che canta" è un film che si proietta verso una dimensione ampia.
Perché c'è un viaggio che abbraccia vari punti del mondo, ed avolte culture differenti: al quale poi si unirà anche l'altro fratello. sotto una luce diversa, perché un viaggio per (ri) scoprire il (nostro?) passato è sempre qualcosa di multiforme.
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omero sala
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venerdì 2 dicembre 2011
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viaggio nel passato
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In un paese ricco, il Canada, che non ha conosciuto guerre, vive una famiglia borghese, benestante e serena di origini libanesi: Nawal, la madre, è segretaria presso un affabile notaio, i figli gemelli, Jeanne e Simon, sono perfettamente integrati nel milieu del paese nordamericano.
In un trenquillo pomeriggio d’estate, in una piscina affollata, la madre ha un improvviso malore: seduta sul lettino a bordo vasca viene colpita da un violento choc e si immobilizza pietrificata. Subito soccorsa, viene ricoverata, ma non supera la crisi e muore dopo pochi giorni.
Alla lettura del testamento i gemelli vengono messi a conoscenza di avere in Libano un terzo fratello e un padre. La madre vuole che i due ragazzi partano per la loro terra d’origine (della quale non conoscono nemmeno la lingua), che scovino il padre (creduto morto) ed il fratello (che non sapevano di avere), e che consegnino loro due lettere.
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In un paese ricco, il Canada, che non ha conosciuto guerre, vive una famiglia borghese, benestante e serena di origini libanesi: Nawal, la madre, è segretaria presso un affabile notaio, i figli gemelli, Jeanne e Simon, sono perfettamente integrati nel milieu del paese nordamericano.
In un trenquillo pomeriggio d’estate, in una piscina affollata, la madre ha un improvviso malore: seduta sul lettino a bordo vasca viene colpita da un violento choc e si immobilizza pietrificata. Subito soccorsa, viene ricoverata, ma non supera la crisi e muore dopo pochi giorni.
Alla lettura del testamento i gemelli vengono messi a conoscenza di avere in Libano un terzo fratello e un padre. La madre vuole che i due ragazzi partano per la loro terra d’origine (della quale non conoscono nemmeno la lingua), che scovino il padre (creduto morto) ed il fratello (che non sapevano di avere), e che consegnino loro due lettere.
Il film racconta questo viaggio e questa faticosissima ricerca. E intreccia questa discesa agli inferi, questa anabasi con delle analessi che evocano e ricostruiscono, in una serie di tesissimi flashback, la terribile biografia della madre e la drammatica storia di un paese sconvolto da una sanguinosa guerra civile.
Le ricerche di Jeanne e le peripezie della madre sono le tracce parallele e asincrone di due percorsi narrativi che ricostruiscono una storia sepolta, un’epopea intricata che ricompone radici aggrovigliate e inimmaginabili verità. Una storia che ha la tremenda complessità delle tragedie greche.
Negare il passato violento e tragico e seppellirne la memoria aiuta a sopravvivere; ma la memoria trova sempre il modo di presentare il conto: e di fronte alla orribile verità, c’è chi crolla e muore, chi si lascia annientare per sopravvivere squarciato dai rimorsi e chi invece trova il modo di capire e attraversare il dolore, di crescere e maturare, di ricostruire equilibri nuovi, ritrovare emozioni forti, rintracciare il senso di un legame e la dimensione di un affetto.
Il film non dà tregua, non percorre scorciatoie, non risparmia nulla, non ammette semplificazioni: è spietato come la cupa storia che racconta, ma nello stesso tempo è pietoso.
Il regista non cerca facili effetti, prende una misurata distanza e non concede nulla alla propensione per il sadismo e la truculenza. Guarda alla sofferenza attraverso gli occhi di Nawal e osserva con uguale orrore la ferocia dei cristiani e quella dei mussulmani, descrive con atroce distacco e infinita desolazione la spietatezza di ogni rappresaglia e l’incomprensibile disumanità di tutti gli aguzzini, non parteggia con nessuno, non si schiera. Non condannando nessuno, stigmatizza con maggior efficacia l’empietà della violenza e l’assurdità devastante dell’odio, la disperata brutalità delle fazioni e la triste cecità degli individui.
Il montaggio ad incastro è articolato e complesso, ma nonostante i coup de théâtre ed i frequenti flash back quasi indistinguibili dalla sequenze narrative, non presenta cali di tensione.
L’ambientazione si colloca fra lo squallore dell’anonima periferia industriale di una fredda città canadese e la desolazione di città mediorientali sventrate dalla guerra, devastate e circondate da aridi paesaggi cotti dal sole.
L’angosciosa vicenda è sottolineata in alcuni passaggi dallo struggente sottofondo musicale dei Radiohead che pare composto su misura. Il canto della “donna che canta” per non ascoltare la sofferenza e per sottomettersi è di un’angosciante dissonanza.
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lars_42
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mercoledì 26 ottobre 2011
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lungo e noiosetto
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Il punto di forza di questo film è senza dubbio la trama, molto complessa e articolata. Quello che non funziona è tutto il resto: le musiche sono perlopiù assenti (tranne i Radiohead nella prima scena), la regia non coinvolge particolarmente e i dialoghi sono piuttosto scialbi. Il finale risulta piuttosto forzato, come se il regista avesse cercato a tutti i costi di inserire un colpo di scena magistrale. Nel complesso il film non è male, racconta uno spaccato di storia contemporanea interessante e crudo, ma la trasposizione in opera cinematografica risulta approssimativa, e non saranno rari gli sbadigli in sala.
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mik74
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lunedì 26 settembre 2011
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crudeltà e sofferenza, amore e perdono
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Sono questi gli ingredienti, di un piatto decisamente saporito, cucinato a fuoco lento, ma dall'aroma intenso e penetrante. Consiglio questo film a chiunque abbia voglia di emozioni che lascino il segno.
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