no_data
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martedì 7 marzo 2017
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melodramma molto ambizioso ma inverosimile
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Due fratelli gemelli scoprono, tramite il testamento della madre da poco morta, di avere un fratello e di non essere orfani di padre come credevano. Simon e Jeanne si trovano totalmente spiazzati dalla notizia, ma se il ragazzo in un primo tempo rifiuta di indagare sulla loro identità per consegnare loro una lettera ciascuno come richiesto da sua madre, Jeanne presto decide di mettersi in viaggio. Giunge così nel paese natale di sua madre, il Libano, alla ricerca di parenti che non sapeva di avere, ma soprattutto alla ricerca di sua madre, il cui passato le si svela a poco a poco e si rivela intriso di violenza, di sofferenza e di scelte opinabili ma coraggiose.
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Due fratelli gemelli scoprono, tramite il testamento della madre da poco morta, di avere un fratello e di non essere orfani di padre come credevano. Simon e Jeanne si trovano totalmente spiazzati dalla notizia, ma se il ragazzo in un primo tempo rifiuta di indagare sulla loro identità per consegnare loro una lettera ciascuno come richiesto da sua madre, Jeanne presto decide di mettersi in viaggio. Giunge così nel paese natale di sua madre, il Libano, alla ricerca di parenti che non sapeva di avere, ma soprattutto alla ricerca di sua madre, il cui passato le si svela a poco a poco e si rivela intriso di violenza, di sofferenza e di scelte opinabili ma coraggiose. In parallelo al viaggio di Jeanne ci viene svelato a poco a poco il passato della madre, Nawal Marwal, in un Libano in cui imperversano oscuri (quanto meno nel film) conflitti tra cristiani (maroniti) e musulmani. Il film parte in modo intrigante e fino a metà regge, ma da un certo punto in poi la verosimiglianza va via via sempre più sfaldandosi, fino a rendere un finale che si vorrebbe totalmente scioccante in realtà del tutto inverosimile e quindi assurdamente melodrammatico.
Oltre all'inverosimiglianza della coincidenza (gli eventi della piscina) che svela l'arcano, il film non sta letteralmente in piedi per molti altri motivi: il finale smentisce il fatto che abbia il benché minimo senso il fatto stesso che la madre abbia invitato i suoi figli ad andare altrove a cercare il padre e il fratello e a conti fatti le età dei personaggi non sono assolutamente compatibili con le vicende narrate. Il quadro storico, poi, resta del tutto nebuloso quando, vista la complessità della situazione libanese dell'epoca, avrebbe necessitato almeno di un minimo di spiegazioni.
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onufrio
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domenica 3 aprile 2016
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uno più uno può fare uno?
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E' la domanda che si pone un impietrito Simon davanti alla sorella Jeanne dopo aver scoperto la cruda verità che si cela dietro il mistero di un padre creduto morto da tempo e di un fratello che mai fino a quel momento ne conosceva l'esistenza. Il Tutto nasce da una lettera della defunta madre Nawal Marwan che invita i suoi due figli ad indagare nel suo passato per comprendere il loro presente. Ottima ricostruzione, peccato per il ritmo, a tratti troppo lento, ma il risultato finale ne vale davvero la pena.
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enzo70
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mercoledì 17 febbraio 2016
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film equilibrato ed intelligente
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Al momento della morte della madre in Canada i due figli scoprono di avere un fratello ed un padre a Beirut. E le disposizioni testamentarie della donna prevedono che i figli consegnino ai due una lettera. Deressa, la figlia femmina decide di partire per il Libano per ricostruire la storia della made, mentre Simon, il maschio rimane a casa.
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Al momento della morte della madre in Canada i due figli scoprono di avere un fratello ed un padre a Beirut. E le disposizioni testamentarie della donna prevedono che i figli consegnino ai due una lettera. Deressa, la figlia femmina decide di partire per il Libano per ricostruire la storia della made, mentre Simon, il maschio rimane a casa. La ricerca del fratello porterà prima Deressa e poi Simon a scoprire il vero passato di Nawal, per anni detenuta in una sorta di lager, e che ha sempre resistito alle violenze con il canto. Villeneuve dimostra di saper fare un cinema elegante ed intelligente, non provo di rischi in alcuni passaggi, rischi risolti sempre con grande equilibrio narrativo. L’ennesimo film sulla questione medio orientale, ma è necessario dare merito al regista di aver offerto un’inquadratura diversa.
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amaiasq
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mercoledì 30 dicembre 2015
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non è palestina ma lebanon
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Sono veramente stupita dalla incorretezza della recensione. Prima cosa non accade in palestina ma in lebanon durante la guerra civile fra cristiani e musulmani. Seconda cosa il palestinese cha lascia in cinta la donna è un refugiato e in quel tempo, e ancora ora, i palestinesi non erano considerati benvenuti in Lebanon e rimanevano in campi di refugiati. Come si fa a fare il critico di cinema e non capire nulla del film che si ha visto?
Assurdo e incredibile come certa gente pensa di essere capace di scrivere su cinema quando di cultura e conoscenze varie è limitato.
Vabbè, amen...
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stefano capasso
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martedì 14 aprile 2015
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bene e male, due facce della stessa medaglia
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La donna che canta è un film di Denis Villeneuve, ambientato tra Canada, Libano e Palestina. All’apertura del testamento di Nawal, il notaio comunica ai due figli gemelli, Jeanne e Simon chela madre ha lasciato un incarico. I due ragazzi dovranno trovare il loro padre ed un fratello, le quali esistenze erano state ignorate fino a quel momento. Cosi Jeanne parte per la terra d’origine e comincia a scavare nel passato, portando alla luce drammi inattesi fino alla scoperta finale.
Raccontato su due piani paralleli, quello della ricerca di Jeanne e quello della ricostruzione dei fatti che visse la madre, il film è costruito su una sceneggiatura davvero efficace e coinvolgente.
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La donna che canta è un film di Denis Villeneuve, ambientato tra Canada, Libano e Palestina. All’apertura del testamento di Nawal, il notaio comunica ai due figli gemelli, Jeanne e Simon chela madre ha lasciato un incarico. I due ragazzi dovranno trovare il loro padre ed un fratello, le quali esistenze erano state ignorate fino a quel momento. Cosi Jeanne parte per la terra d’origine e comincia a scavare nel passato, portando alla luce drammi inattesi fino alla scoperta finale.
Raccontato su due piani paralleli, quello della ricerca di Jeanne e quello della ricostruzione dei fatti che visse la madre, il film è costruito su una sceneggiatura davvero efficace e coinvolgente. Nell’emozionante viaggio alla scoperta delle proprie origine viene raccontato l’orrore della guerra che vide coinvolti cristiani e musulmani con le sue vendette interminabili. E la scoperta finale che in un crescendo di suspance si rivela nelle ultime battute del film apre il discorso al tema secondo me più importante. Nella verità che i due ragazzi trovano, e che la madre stessa aveva appena scoperto, c’è insieme l’amore e l’odio, l’origine di tutto il travaglio. Accettando il fatto che il bene e il male sono due facce della stessa medaglia diventa importante scegliere a quale dare maggiore importanza così da allineare l’altra di conseguenza.
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no_data
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martedì 25 novembre 2014
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bel film
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gran bel film, che descrive orrori e situazioni paradossali cui noi e i nostri figli siamo esenti, per grazia ricevuta dal destino. Il film risulta intenso, probabile, e umano. meriterebbe di girare in prima serata su rai1 al posto di altri programmi improbabili che vi programmano.
[+] thriller dell'anima
(di clara1944)
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darkglobe
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mercoledì 1 ottobre 2014
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l'orrore della guerra civile
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È all’omonima opera teatrale del 2003, scritta dall’icona Wajdi Mouawad, libanese emigrato a 10 anni in Bretagna e di seguito in Canada, dove si è diplomato presso la Scuola nazionale di teatro, che fa riferimento questo inquietante film sul dolore e le crudeltà umane. Presentato nel 2010 al Festival del Cinema di Venezia (Menzione 27 volte cinema), premio come miglior film canadese al Toronto International Film Festival e candidato per il Canada al premio Oscar 2011, è stato diretto dal regista canadese Denis Villeneuve.
Si tratta di un film coraggioso per due motivi: in primo luogo portare un’opera teatrale al cinema è sempre una scelta rischiosa, se la trasposizione non riesce a sfruttare le potenzialità spazio-temporali offerte dal mezzo cinematografico; in secondo luogo non è semplice ambientare una storia così dolorosamente intima in un contesto complicato e per certi versi criptico quale quello delle vicende storico-politiche libanesi relative alla guerra civile degli anni 70, che ha trasformato un paese in cui regnavano tolleranza e multi-etnie in un luogo di dolorose nefandezze umane.
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È all’omonima opera teatrale del 2003, scritta dall’icona Wajdi Mouawad, libanese emigrato a 10 anni in Bretagna e di seguito in Canada, dove si è diplomato presso la Scuola nazionale di teatro, che fa riferimento questo inquietante film sul dolore e le crudeltà umane. Presentato nel 2010 al Festival del Cinema di Venezia (Menzione 27 volte cinema), premio come miglior film canadese al Toronto International Film Festival e candidato per il Canada al premio Oscar 2011, è stato diretto dal regista canadese Denis Villeneuve.
Si tratta di un film coraggioso per due motivi: in primo luogo portare un’opera teatrale al cinema è sempre una scelta rischiosa, se la trasposizione non riesce a sfruttare le potenzialità spazio-temporali offerte dal mezzo cinematografico; in secondo luogo non è semplice ambientare una storia così dolorosamente intima in un contesto complicato e per certi versi criptico quale quello delle vicende storico-politiche libanesi relative alla guerra civile degli anni 70, che ha trasformato un paese in cui regnavano tolleranza e multi-etnie in un luogo di dolorose nefandezze umane. Eppure Villeneuve ci riesce, senza la necessità di soffermarsi visivamente su tutte le atrocità raccontate, molte volte lasciandole semplicemente intuire.
Tutto inizia con la strana fine di Nawal Mawal (Lubna Azabal, attrice già nota per aver interpretato il film politico palestinese del 2006 Paradise Now), già morta all'inizio del film, il cui testamento viene letto, nello studio del notaio Jean Lebel (Rémy Girard), ai due figli canadesi Jeanne (bravissima Mélissa Désormeaux-Poulin) e Simon (Maxim Gaudette). Si comprende da subito che i figli sanno poco del passato della madre e nulla del proprio padre; ma se da un lato Jeanne sembra interessata a capirne di più, l’atteggiamento del fratello è di profondo rifiuto e disprezzo per una madre che è sempre stata assente. Il notaio annuncia loro che il padre è ancora vivo e che hanno anche un fratello di cui ignoravano, del tutto stupiti, l'esistenza. Ai due figli la madre chiede, tramite il notaio per cui ha fatto per vent'anni da segretaria, di cercare i parenti prossimi - forse sono ancora in Libano - e consegnare singolarmente due lettere da lei scritte: solo se i due figli riusciranno a trovare i propri parenti, allora Nawal potrà essere seppellita in cimitero con una lapide che ricordi il suo nome. Jeanne decide di partire per il Libano con una foto della madre che pare riferirsi ad un luogo del sud del paese. Le indagini scorrono ed il regista sfrutta un incalzante e riuscito gioco di presente e flashback, lungo il quale dipanare una storia traumatica, da un lato di ricerca di una verità intesa come liberazione dagli incubi del passato incombente e di anelito verso un sentimento universale di pacificazione e tolleranza; dall’altro di un travagliato e dolorosissimo percorso di trasformazione di una donna cristiana in una dissidente politica, la quale, dopo aver assistito a sconfinati episodi di crudeltà, si ribellerà nel più duro dei modi, subendone poi gravi conseguenze con la carcerazione, a cui farà orgogliosa resistenza nonviolenta col suo canto, e le relative violenze, solo al termine delle quali potrà scappare in Quebec.
Durante la sua ricerca in Libano Jeanne chiede al fratello di raggiungerla e con quest’ultimo arriverà anche il notaio Lebel che li aiuterà nella scoperta finale della sconvolgente verità che ha causato alla madre un ictus e la succesiva morte.
Il tema è quello dell’orrore della guerra civile fra etnie, nel quale non esiste alcuno spazio per la pietà ed in cui perfino i bambini sono annichiliti da colpi di pistola o addestrati come macchine di violenza pura. E su tutto domina il ritratto di una donna coraggiosa, simbolo di umiliazione e ribellione ad un mondo disintegrato da una crudeltà cieca ed inumana che non risparmia nessuno e non lascia spazio alcuno alla pietà o al riconoscimento del prossimo e del suo diritto ad una esistenza indipendentemente dal proprio credo e dal proprio luogo di nascita.
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sissio78
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sabato 30 agosto 2014
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sorprendente e sconvolgente. da vedere.
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Un film che sembra una tragedia greca ma che si basa su una storia vera. All'inizio un pò confusionario e non si capisce dove vuole andare a parare la storia ma piano piano che i pezzi del puzzle vanno al loro posto il film si scioglie fino ad arrivare ad un finale per niente scontato, angosciante, sin troppo chiaro e sconvolgente che non lascia per niente indifferenti. Per me un capolavoro.
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no_data
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sabato 30 agosto 2014
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ma chi è becattini?
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Ma veramente! Mi era già successo di non essere d'accordo con una recensione di mymovie ma almeno si era trattato di recensioni scritte bene da persone che avevano visto il film con attenzione e, pur non condividendo il giudizio complessivo, spesso mi hanno dato nuove chiavi di lettura.
Perché pubblicare Becattini, che non si è neppure accorto che Daresh e Deressa sono due città, fittizie, ma diverse, che vi è raccontata una tragedia personale sullo sfondo della guerra civile libanese e poi, tutta questa enfasi sulla formula... Se Becattini ha dato uno sguardo al film mentre seguiva la partita di champions league, perché non ci fa un bell'articolo sportivo?
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sverin
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sabato 30 agosto 2014
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film di propaganda filoislamico
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Guarda caso, Rai 3 propone un film dove i "cattivi" sono i cristiani, quando proprio in questi mesi, in questi giorni, i cristiani sono perseguitati, bruciati vivi, mutilati, torturati ed uccisi in mezzo mondo dalla furia islamiche!! La facciatosta dei militanti politici di Rai 3 non conosce limiti!!In questi giorni sarebbe stato più appropriato un film sulle malvagità e decapitazioni dei terroristi islamici.....ma purtroppo non esistono film del genere.....Ed il regista come è stato bene attento a creare la scena nella quale si vede il santino della Madonna sul mitra dei militanti cristiani mentre sparano sul pullmann per incendiarlo, dopo aver massacrato i passeggeri!!Insomma un film contro i cristiani è merce corrente, uno contro i mussulmani ancora si deve vedere.
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Guarda caso, Rai 3 propone un film dove i "cattivi" sono i cristiani, quando proprio in questi mesi, in questi giorni, i cristiani sono perseguitati, bruciati vivi, mutilati, torturati ed uccisi in mezzo mondo dalla furia islamiche!! La facciatosta dei militanti politici di Rai 3 non conosce limiti!!In questi giorni sarebbe stato più appropriato un film sulle malvagità e decapitazioni dei terroristi islamici.....ma purtroppo non esistono film del genere.....Ed il regista come è stato bene attento a creare la scena nella quale si vede il santino della Madonna sul mitra dei militanti cristiani mentre sparano sul pullmann per incendiarlo, dopo aver massacrato i passeggeri!!Insomma un film contro i cristiani è merce corrente, uno contro i mussulmani ancora si deve vedere...ci ha provato Teo Van Gog, il povero regista olandese ma è stato "punito" con lo sventramento da un "angelo" islamico. Insomma difendere le nefandezze islamiche , nonostante in questi giorni L'Isis abbia invaso 2 nazioni ed ammazzato tutti quelli che non si volevano sottomettere ad allah, è concesso, ma condannare queste nefandezze nessuno ci prova! E se qualcuno ci provasse sarebbe dileggiato dalla critica che è proverbialmente filo musulmana, filo araba, filopalestinese. Siamo anni luce lontano da un' obiettiva interpetazione della realtà, gli islamici si fanno sempre più violenti, ed io temo per il futuro dei miei figli, considerato che dal 700 d.C. i musulmani, esortati da Maometto, seminano morte e distruzione in nome di allah! Questa non è altro che una riedizione delle tante avute nel passato..... e l'11 settembre non è la fine ma l'inizio! Nessuna stella per un film di propaganda.
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