spike
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giovedì 28 gennaio 2010
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perdere lavoro e poi...
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Le aspettative erano forse troppo alte, e alla fine sono uscito dalla sala parzialmente deluso. Mi aspettavo un "film di sceneggiatura" e invece... il film è scritto bene ma non mi sembra approfondisca in modo adeguato il problema della perdita del lavoro da parte di migliaia di bravi professionisti. Sarebbe stato interessante indagare la vita di questi nuovi disoccupati e invece il regista si ferma alla ferale notizia della perdita del lavoro, filmata comunque in modo ironico, leggero e mai superficiale. Il giudizio è 'inquinato' dalla grande aspettativa (visto anche il precedente 'Juno'), andate a vederlo senza aspettarvi niente di più che una buona commedia americana e assisterete ad un ottimo spettacolo che vale comunque il prezzo del biglietto.
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Le aspettative erano forse troppo alte, e alla fine sono uscito dalla sala parzialmente deluso. Mi aspettavo un "film di sceneggiatura" e invece... il film è scritto bene ma non mi sembra approfondisca in modo adeguato il problema della perdita del lavoro da parte di migliaia di bravi professionisti. Sarebbe stato interessante indagare la vita di questi nuovi disoccupati e invece il regista si ferma alla ferale notizia della perdita del lavoro, filmata comunque in modo ironico, leggero e mai superficiale. Il giudizio è 'inquinato' dalla grande aspettativa (visto anche il precedente 'Juno'), andate a vederlo senza aspettarvi niente di più che una buona commedia americana e assisterete ad un ottimo spettacolo che vale comunque il prezzo del biglietto.
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(di francesco2)
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pgakapg
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giovedì 28 gennaio 2010
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e poi?
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Un tema poco trattato, una buona regia,il film è scorrevole. Clooney, la vecchia volpe, gioca nel ruolo di gigione (come faceva ai suoi tempi Cary Grant) e la Farmiga è brava ed ha un culo strepitoso, ma.......e poi? Dopo i 109 minuti in sala, quel che di divertimento, cosa ci resta di questo film? Purtroppo ben poco.
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marksnape
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giovedì 28 gennaio 2010
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un buon film
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Questo film è piacevole e molto carino.
Clooney mi è piaciuto e l'atmosfera "da crisi" fa davvero riflettere; quindi giudico questa pellicola buona e assolutamente piacevole da guardare: lo consiglio.
Il tutto è presentato molto bene e ben confezionato, facendogli riscuotere commenti positivi che secondp me sono abbastanza meritati.
Ma un'avvertimento: non aspettatevi qualcosa di molto impegnativo e da gran capolavoro.
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(di montecristo)
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marquise
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giovedì 28 gennaio 2010
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la teoria dello zaino
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commedia originale e brillante, con un meraviglioso G.Clooney. Ryan è un uomo affascinante,sicuro di sè e soddisfatto della propria vita. viaggia l'america per lavoro,ama la modernità ed è contro gli stereotipi della società. il suo zaino è sempre leggero:nessun legame,nè alle cose nè alle persone.Ma la sua sicurezza inizia a vacillare quando incontra Alex,viaggiatrice come lui. "pensa a me come se fossi te, ma con la vagina" e si sa, ad armi pari, è sempre lei ad avere la meglio. Rayan sentirà così il bisogno di amare e di essere amato,questa volta in modo "convenzionale".
Forse è meglio avere sempre qualcosa nello zaino:il peso è più sopportabile del vuoto.
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claudiorec
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giovedì 28 gennaio 2010
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buon film
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La commedia è gradevole, ma non certo quel capolavoro di cui tutti parlano...
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sassolino
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mercoledì 27 gennaio 2010
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in splendida sospensione
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Wichita, Omaha, Tulsa, Des Moines, Saint Louis, tutta l'america di provincia che non passano i telgiornali è il regno incontrastato di Ryan Bingham, abilissimo dismissore di lavoratori o se vogliamo essere più tranchants, notevolissimo tagliatore di teste.
Sempre in viaggio, sempre il più rapido a varcare il check-in, con una passione smodata per il collezionismo di tessere aeree, arriverà alle 10 milioni di miglia percorse e lungo la sua "nuvolosa" odissea troverà di tutto: una giovane e saccente psico/manager decisa a rimpiazzarlo, una calda amante de luxe e un vecchio "capitano di vascello" che come un Virgilio lo guiderà nell'infinito aere.
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Wichita, Omaha, Tulsa, Des Moines, Saint Louis, tutta l'america di provincia che non passano i telgiornali è il regno incontrastato di Ryan Bingham, abilissimo dismissore di lavoratori o se vogliamo essere più tranchants, notevolissimo tagliatore di teste.
Sempre in viaggio, sempre il più rapido a varcare il check-in, con una passione smodata per il collezionismo di tessere aeree, arriverà alle 10 milioni di miglia percorse e lungo la sua "nuvolosa" odissea troverà di tutto: una giovane e saccente psico/manager decisa a rimpiazzarlo, una calda amante de luxe e un vecchio "capitano di vascello" che come un Virgilio lo guiderà nell'infinito aere.
Un film complesso,originale, un grande film, dai dialoghi saturi d'intelligenza, dalle atmosfere stranianti ed evocative, recitato benissimo e ben altrettanto montato.
Una storia aperta a molte interpretazioni; la più plausibile e concreta riguarda il senso di vuoto che ci attraversa come una nuvola, che ci sospende, proprio nel momento in cui pensavamo d'avercela fatta ecco che piombiamo a picco, come un aereo durante una nevicata, come un inverno a Chicago.
Maledetta Chicago, il bel Clooney la dannerà per l'eternità e quando scoprirete il perché avrete voglia di schiaffeggiare il mondo, vi chiderete perché non si puo' amare tutti allo stesso modo.
La risposta ve la darà Jason Reitman, regista attento e calibrato, nei sorrisi contratti di Ryan, nella bionda e fatale chioma di Vera Famiga, qui quasi una dark Lady.
Ma c'e' ancora George, stavolta è bravo davvero bisogna dirlo! bravo a parlare, bravo a sognare, un po meno bravo a caprila fino in fondo una realtà che in fondo non esiste, è tra le nuvole.
Staccate il biglietto, saltate velocissimi il check in e preparatevi a volare, stasera vedrete il mondo dall'alto, piatto e bellissimo che vi sembrerà irreale.
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asterione
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mercoledì 27 gennaio 2010
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un po' troppo . . tra le nuvole
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Il fratello di Ivan Reitman (notissimo alla mia generazione - che negli anni 80 ha visto i film della prima adolescenza - per Un poliziotto alle elementari e Ghostbusters) continua con destrezza a prendere di mira – pur da angolature diverse - il fascino sulfureo del falso anti-conformista (o anticonformista-conformista, fate voi).
Dire che il fumo uccide, che l’aborto è un diritto alla salute della donna e che il lavoro è la forma di realizzazione più importante non è frutto di un mutamento culturale o di una riflessione autonoma dell’uomo moderno, bensì è il prodotto autentico, ne più e né meno, della moda del momento; il modello pubblicitario della società di fine millennio/inzio successivo ha ingenerato la convinzione che – nel caso di questo film – il maschio single in carriera, senza casa, dimora e memoria (storica, familiare e personale) dia un’immagine di sé molto più all’avanguardia rispetto a quello inserito nella famiglia tradizionale, circondato da pannolini sporchi e dal pensiero asfissiante del mutuo sulla casa.
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Il fratello di Ivan Reitman (notissimo alla mia generazione - che negli anni 80 ha visto i film della prima adolescenza - per Un poliziotto alle elementari e Ghostbusters) continua con destrezza a prendere di mira – pur da angolature diverse - il fascino sulfureo del falso anti-conformista (o anticonformista-conformista, fate voi).
Dire che il fumo uccide, che l’aborto è un diritto alla salute della donna e che il lavoro è la forma di realizzazione più importante non è frutto di un mutamento culturale o di una riflessione autonoma dell’uomo moderno, bensì è il prodotto autentico, ne più e né meno, della moda del momento; il modello pubblicitario della società di fine millennio/inzio successivo ha ingenerato la convinzione che – nel caso di questo film – il maschio single in carriera, senza casa, dimora e memoria (storica, familiare e personale) dia un’immagine di sé molto più all’avanguardia rispetto a quello inserito nella famiglia tradizionale, circondato da pannolini sporchi e dal pensiero asfissiante del mutuo sulla casa. Tutto ciò è fuorviante, sembra dire il regista, poichè chi trascorre tutta la propria esistenza recitando il personaggio del politically uncorrect, finisce per cadere in un clichè di pari grado a quello che voleva evitare e, al peggio, rimane inesorabilmente solo (emblema di questa semplificazione forzata ben impersonata da Clooney, la risposta all’accusa di razzismo mossa dalla sua adepta: “non sono razzista, uso gli stereotipi come mia madre, si fa prima!!).
Sennonché, in questo film siamo ben lontani non solo dalla sprezzante acutezza di Thank you for smoking, ma anche dalla sana e bruciante cattiveria di Juno (film molto bello e per niente incline a diventare la bandiera di certa bigotta politica conservatrice). Qui il nostro Jason perde decisamente i colpi. Di certa passata qualità nemmeno l'ombra, anzi: serpeggia una marcata sensazione da predica pastorale e moraleggiante. Addirittura oscena, poi, l'immagine dei lavoratori licenziati che, per riprendersi dalla perdita subita, si riscattano con il pensiero dei propri cari e della propria famiglia; se i messaggi di speranza non si reggono ad un minimo di realismo, diventano puerili..
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laulilla
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mercoledì 27 gennaio 2010
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dentro lo zaino niente
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Che cos'è la libertà? una risposta facile potrebbe essere questa: rompere ogni vincolo con le cose e le persone che ci tengono legati a terra, che ci impediscono di spiccare il volo verso lidi dove contiamo solo noi, dove nulla ci impedirà di di affermarci realizzando i nostri sogni.
Ryan è l'uomo che nel bel film di J. Reitman, interpreta l'aspirazione a vivere sciolto da ogni legame, per realizzare la quale si è scelto un lavoro terribile, quasi una scommessa con se stesso: annunciare, senza turbamenti a ignari, e a lui sconosciuti, lavoratori di aziende in crisi, il loro licenziamento. In questo compito è diventato così abile che l'agenzia per la quale opera lo invia continuamente, da una città all'altra degli Stati Uniti, presso le ditte che hanno bisogno di lui.
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Che cos'è la libertà? una risposta facile potrebbe essere questa: rompere ogni vincolo con le cose e le persone che ci tengono legati a terra, che ci impediscono di spiccare il volo verso lidi dove contiamo solo noi, dove nulla ci impedirà di di affermarci realizzando i nostri sogni.
Ryan è l'uomo che nel bel film di J. Reitman, interpreta l'aspirazione a vivere sciolto da ogni legame, per realizzare la quale si è scelto un lavoro terribile, quasi una scommessa con se stesso: annunciare, senza turbamenti a ignari, e a lui sconosciuti, lavoratori di aziende in crisi, il loro licenziamento. In questo compito è diventato così abile che l'agenzia per la quale opera lo invia continuamente, da una città all'altra degli Stati Uniti, presso le ditte che hanno bisogno di lui. I suoi perpetui spostamenti gli impediscono una sistemazione stabile in un luogo: la sua vita si svolge fra aeroporti e voli; il suo bagaglio è quello, contenuto in un piccolo zaino, strettamente necessario alle occorrenze quotidiane; gli alberghi sono i luoghi del suo rapido e fugace soggiorno. Sembra perciò che la vita di RyanI proceda proprio secondo i suoi desideri: affermazione di sé, indipendenza dai bisogni, dominio delle emozioni, anestetizzazione degli affetti. Il problema nasce quando Ryan, innamorandosi di Alex, donna che sembra condividere la sua stessa visione del mondo, scoprirà che il rapporto fra loro, fatto da occasionali e troppo rapidi incontri, non è così soddisfacente, che gli piacerebbe dargli una continuità, renderlo più stabile. Libertà e felicità non coincidono, dunque: la solitudine pare essere il destino di chi non ha costruito legami affettuosi nella sua vita, e sarà anche il suo destino, mentre il suo crudele lavoro, che un tempo sembrava adattarsi perfettamente ai suoi desideri di affermazione di sé, diventerà la sua condanna.
Il film segue le avventure di Ryan (un magnifico George Clooney) con ritmo veloce e incalzante, che rende bene il senso del suo velocissimo spostarsi, senza avere il tempo per riflettere e "radicarsi" in qualche luogo, ma le pagine più belle del film sono quelle in cui appare l'umanità umiliata e ferita di quegli uomini e di quelle donne licenziatti dopo il lavoro di una vita, senza colpe e senza prospettive di un futuro. Il regista si è avvalso di lavoratori veri, che hanno raccontato le loro vere storie di dolore e di impotenza, per i quali, come diranno alla fine del film, solo una presenza affettuosa al loro fianco ha permesso di continuare a vivere e sperare. La libertà non può essere solitudine, quindi.
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olgadik
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martedì 26 gennaio 2010
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perdere il lavoro come perdere vita e dignità
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Il film drammatico, ma non angoscioso, scivola via su battute intelligenti nella prima parte, sul versante amaro nella seconda, seguendo lo sguardo con cui il regista abilissimo concilia la storia di una crisi individuale con quella globale di cui gli Usa sono autori e vittima insieme. Autore giovanissimo ma già determinato nelle scelte, “ho deciso di realizzare solo film in cui credo”, (i due precedenti sono Thank you for smoking e Juno), Reitman si è ispirato a un romanzo di Walter Kirn, ma alla fine di un lavoro di sei anni ne ha fatto una sceneggiatura quasi riscrivendolo. Via via che la storia cresceva tra le sue mani, montava anche la depressione economica mondiale che, pur non essendone il centro, ne ha condizionato in qualche modo la stesura.
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Il film drammatico, ma non angoscioso, scivola via su battute intelligenti nella prima parte, sul versante amaro nella seconda, seguendo lo sguardo con cui il regista abilissimo concilia la storia di una crisi individuale con quella globale di cui gli Usa sono autori e vittima insieme. Autore giovanissimo ma già determinato nelle scelte, “ho deciso di realizzare solo film in cui credo”, (i due precedenti sono Thank you for smoking e Juno), Reitman si è ispirato a un romanzo di Walter Kirn, ma alla fine di un lavoro di sei anni ne ha fatto una sceneggiatura quasi riscrivendolo. Via via che la storia cresceva tra le sue mani, montava anche la depressione economica mondiale che, pur non essendone il centro, ne ha condizionato in qualche modo la stesura. Non a caso i lavoratori licenziati che vi compaiono sono “veri”, i dialoghi sono ciò che hanno detto o avrebbero voluto dire al datore di lavoro, la canzone che chiude i titoli di coda è stata scritta da un disoccupato sulla cinquantina. E veniamo al resto, non prima di un cenno al titolo, metafora di tutto il racconto. Dove “nuvole” è la realtà della vita del protagonista che per lavoro viaggia in aereo circa 320 giorni l’anno ed ha come massimo obiettivo il record di dieci milioni di miglia aeree per essere uomo simbolo delle American Airlines. Ma nuvole significano anche altezza, solitudine, bellezza suggerita da questi morbidi e mobili arredi celesti. Tra di esse si muove come a casa propria il protagonista. Questa è l’unica dimora che ha, il non-luogo degli aeroporti, terminal lussuosi, grandi alberghi, ascensori e parcheggi. Questo cinico dei giorni nostri con valigia incorporata, carte di credito e non di tutti i tipi, tecnologie a portata di mano, è preparatissimo nell’ottimizzare i tempi e le operazioni di imbarco ed è un professionista di ferro nel suo lavoro che svolge con rodata competenza… Salvo che il suo compito è quello di licenziare personale per conto di aziende in crisi i cui manager non vogliono sporcarsi le mani personalmente. Ryan Bingham (Gorge Clooney) si muove per questo da un luogo all’altro degli States là dove c’è bisogno (soprattutto di questi tempi) di procedere al più lacerante dei compiti: privare qualcuno della sopravvivenza e della dignità. Ma Ryan lo fa con stile, con formule che attutiscono l’impatto e costituiscono quello che nella sua filosofia da venditore egli definisce il “limbo” dove si accompagna la vittima prima della voragine. Tutto va finché una giovane rampante non trova che si può licenziare facendolo in video-conferenza perché si risparmia tempo e si spende meno. Come dire che i tagliatori di teste sono troppo umani per il nostro futuro assetto. Nel frattempo l’ideologia del viaggiar leggeri senza casa, senza affetti, senza relazioni se non occasionali, va in crisi per Ryan perché gli sporadici incontri con Alex (la fascinosa Vera Farmiga) si stanno trasformando in qualcosa di serio. In occasione del matrimonio della sorella rispuntano anche i familiari (la parte più debole, quasi risibile, come sceneggiatura, del film). Ma a parte queste cadute ingenuamente schematiche all’americana maniera, c’è il bravo Clooney che con qualche piega in più sul bel viso e al di fuori di ogni gigioneria da strapazzo ci regala un personaggio di forte espressività. Mai sopra le righe, il giusto tocco di cinismo mescolato alla classe naturale si unisce alla bontà dello sguardo che nemmeno il ruolo di tagliatore di teste riesce ad eliminare.
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alberto berardi ***/°°
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martedì 26 gennaio 2010
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il test(o) dello zainetto
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Il licenziatore volante Ryan/Clooney e la sua inarrivabile metafora dello zainetto: immaginate tutto quello a cui siete affezionati e mettetelo nello zainetto, immaginate la vostra casa, e mettetela nello zainetto, immaginate tutte le persone a cui tenete di più e mettetele nello zainetto. Ora mettete lo zainetto sulle spalle, riuscireste a camminare?
Per il pubblico della convention è qualcosa di formidabile.
Applicate il concetto al film. Immaginate un regista proveniente da un successone come Juno, e delle aspettative di un certo livello al seguito. Immaginate un attore dal carisma ingombrante, le beau George, e un ruolo troppo su misura - quello del cinico e della sua eventuale conversione - che parrebbe il sostitutivo di una terapia psicanalitica per annoiate star di hollywood.
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Il licenziatore volante Ryan/Clooney e la sua inarrivabile metafora dello zainetto: immaginate tutto quello a cui siete affezionati e mettetelo nello zainetto, immaginate la vostra casa, e mettetela nello zainetto, immaginate tutte le persone a cui tenete di più e mettetele nello zainetto. Ora mettete lo zainetto sulle spalle, riuscireste a camminare?
Per il pubblico della convention è qualcosa di formidabile.
Applicate il concetto al film. Immaginate un regista proveniente da un successone come Juno, e delle aspettative di un certo livello al seguito. Immaginate un attore dal carisma ingombrante, le beau George, e un ruolo troppo su misura - quello del cinico e della sua eventuale conversione - che parrebbe il sostitutivo di una terapia psicanalitica per annoiate star di hollywood. Immaginate poi una sceneggiatura, che sembra andare da una parte e poi vira completamente, quasi a tradimento. Immaginate delle persone realmente licenziate mescolate con attori che fanno la parte dei licenziati. Infilate tutto in 109 minuti di pellicola.
Ora spegnete le luci. Con quanta disinvoltura ci scorreranno davanti agli occhi le immagini sullo schermo?
Eppur (miracolosamente) si muove, direbbe qualcuno.
Forse perché la maggior parte di noi, quando va al cinema, lo lascia a casa, lo zainetto.
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