oh dae soo
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mercoledì 24 marzo 2010
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erano solo bambini
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Il Nastro Bianco è un film dalla portata difficilmente calcolabile. Vincitore della Palma D'Oro, dell' EFA come miglior film europeo e del Golden Globe come miglior film straniero la nuova pellicola di Haneke si infila senza discussioni nella ristretta cerchia dei capolavori cinematografici, di quei film che sembrano uscire dalla pellicola e impiantarsi nelle coscienze,quei film in cui il significato, il messaggio è molto più forte del significante,le immagini (malgrado la superba fotografia in bianco e nero).
Paesino tedesco, anni 12/13 del '900. La tranquilla vita rurale e monotona del paese viene "movimentata" da uno strano incidente al dottore, disarcionato dal suo cavallo a causa di un filo teso tra 2 alberi.
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Il Nastro Bianco è un film dalla portata difficilmente calcolabile. Vincitore della Palma D'Oro, dell' EFA come miglior film europeo e del Golden Globe come miglior film straniero la nuova pellicola di Haneke si infila senza discussioni nella ristretta cerchia dei capolavori cinematografici, di quei film che sembrano uscire dalla pellicola e impiantarsi nelle coscienze,quei film in cui il significato, il messaggio è molto più forte del significante,le immagini (malgrado la superba fotografia in bianco e nero).
Paesino tedesco, anni 12/13 del '900. La tranquilla vita rurale e monotona del paese viene "movimentata" da uno strano incidente al dottore, disarcionato dal suo cavallo a causa di un filo teso tra 2 alberi. Piano piano, giorno dopo giorno, altri piccoli e grandi episodi si susseguono. I meno scossi sembrano i bambini del paese...
Siamo in un paesino all'inizio del Novecento, una di quelle realtà in cui il Sindaco ( qui il Barone), il Medico e il Prete ( o Pastore) sono le tre autorità riconosciute da tutti. Società ottocentesche in cui i Figli devono rispettare i Padri, rigorosamente dandogli del Voi, senza alcuna possibilità di replica.Padri per giunta violenti, stupratori, intimidatori, senza alcun senso della famiglia, dell'umanità e dell'amore. L'unica libertà per questi figli, peraltro limitata, è quella di stare e giocare insieme. E stando insieme, forse, iniziare una ribellione...
Qualcosa sta cambiando nel paese e nel Paese. Se anche il figlio del Barone è soggetto di violenza vuol dire che sta per crollare qualcosa, lo Status Quo autoritario e definito che da anni va avanti è pericolosamente minato da forze nuove. E intanto, in contemporanea, l'Arciduca Francesco Ferdinando è ucciso. L' Austria dichiara guerra alla Serbia scatenando una reazione a catena, la Prima Guerra. Niente sarà più come prima, nè al paesello contadino, nè nel resto del mondo. E questi bambini, oppressi e violentati a 8, 10, 12 anni ne avranno 30, 35 , 40 in anni ancora più bui, e saranno loro i nuovi padri, avranno loro quell'autorità subita in infanzia.
E, come in quella che forse è la scena madre del film, l'uccisione dell'uccellino in gabbia del padre da parte della figlia, forse quei bambini erano come quell'uccellino a cui il volo era vietato. Uccidere quel piccolo essere aveva un profondo significato: la vostra autorità è finita, preferiamo morire, ucciderci, non essere più bambini ma cominciare a diventare qualcos'altro. E il nastro bianco legato al braccio, simbolo imposto di una purezza da preservare, potrebbe diventare in futuro di un altro colore, questa volta nerissimo.
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kronos
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martedì 24 agosto 2010
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algido affresco d'epoca
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L'aspetto a mio avviso più interessante de "Il nastro bianco" è la puntigliosa ricostruzione della società d'inizio '900: il tessuto economico essenzialmente agreste e latifondista, la rigidissima educazione imposta ai figli, le regole di comportamento improntate a un formalismo ipocrita che oggi mette i brividi.
Un affresco sociale in cui, nonostante la lontananza geografica, si sarebbero identificati senza difficoltà i nostri nonni e bisnonni.
La vicenda raccontata da Haneke è variamente interpretabile: chi c'ha visto un pamphlet contro l'educazione bigotta e repressiva, chi (addirittura) uno studio psico-entomologico sulla generazione che, vent'anni dopo le vicende narrate, avrebbe alimentato l'ascesa del Nazismo.
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L'aspetto a mio avviso più interessante de "Il nastro bianco" è la puntigliosa ricostruzione della società d'inizio '900: il tessuto economico essenzialmente agreste e latifondista, la rigidissima educazione imposta ai figli, le regole di comportamento improntate a un formalismo ipocrita che oggi mette i brividi.
Un affresco sociale in cui, nonostante la lontananza geografica, si sarebbero identificati senza difficoltà i nostri nonni e bisnonni.
La vicenda raccontata da Haneke è variamente interpretabile: chi c'ha visto un pamphlet contro l'educazione bigotta e repressiva, chi (addirittura) uno studio psico-entomologico sulla generazione che, vent'anni dopo le vicende narrate, avrebbe alimentato l'ascesa del Nazismo.
Ma tutto questo si può leggere solo in filigrana e con una discreta dose di buona volontà: il film, nonostante il trionfo critico e festivaliero ottenuto, non decolla mai: perso in una fotografia in bianco e nero algida e di maniera si trascina blandamente verso un finale fiacco e irrisolto.
Oltretutto i tanti, troppi personaggi coinvolti nelle vicende frammentano e diluiscono la narrazione oltre il dovuto.
Tirando le somme, pur riconoscendo le evidenti doti realizzative, la più grande assente nel 'Nastro bianco' è l'unica qualità che rende il cinema grande, grande sul serio: l'emozione.
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omero sala
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venerdì 2 dicembre 2011
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tutti vittime, tutti carnefici
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Siamo nel 1913. In un villaggio di campagna sperduto nel nord della Germania accadono inspiegabili eventi: la caduta da cavallo del medico provocata da una corda tesa, la morte di una donna per un apparente incidente sul lavoro, i maltrattamenti inferti come per un rituale punitivo ad un bambino, un suicidio, le sevizie ad un piccolo disabile. Nella piccola comunità, rigorosamente retta dalla ferrea disciplina della fede e dai principi morali della tradizione, nascono sospetti, affiorano acredini, si manifestano atteggiamenti di implacabile disumanità, aleggia un livore amaro e penetrante; preme e trova sfoghi imprevedibili la violenza che nasce dalla repressione, dalle inibizioni, dai complessi di colpa, dal patologico bisogno di espiazione.
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Siamo nel 1913. In un villaggio di campagna sperduto nel nord della Germania accadono inspiegabili eventi: la caduta da cavallo del medico provocata da una corda tesa, la morte di una donna per un apparente incidente sul lavoro, i maltrattamenti inferti come per un rituale punitivo ad un bambino, un suicidio, le sevizie ad un piccolo disabile. Nella piccola comunità, rigorosamente retta dalla ferrea disciplina della fede e dai principi morali della tradizione, nascono sospetti, affiorano acredini, si manifestano atteggiamenti di implacabile disumanità, aleggia un livore amaro e penetrante; preme e trova sfoghi imprevedibili la violenza che nasce dalla repressione, dalle inibizioni, dai complessi di colpa, dal patologico bisogno di espiazione.
Il bianco e nero dai contrasti taglienti, quasi espressionista, ha un fascino spietato e restituisce spazi sospesi e freddi, interni da incubo, figure esangui ed irreali; il silenzio agghiacciante è appesantito dalle rare musiche di Schubert e dai canti sacri che aggiungono cupezza diabolica; la recitazione è asciutta fino allo spasimo: perfino la festa di fine raccolto è intrisa di inquietudine e angoscianti presagi; la regia è spezzata, distaccata, da entomologo che descrive ma non offre interpretazioni: la verità infatti non è mai rivelata, anche se la si può percepire negli interstizi, la si può cogliere nei silenzi. Modi, temi e andamento ricordano Murnau, Lang, Dreyer, il primo Bergman…
Il film non racconta – come tutti dicono – l’incubazione del Male che esploderà poi con la guerra ed il nazismo, ma mostra il male che agisce e si dispiega come in un incubo: il male malcelato sotto la zimarra del pastore fanatico e repressivo, riconoscibile dietro la camicia candida del dottore misogino e violento, evidente perfino nei giochi dei bambini, manichini sadici e malvagi. I “cattivi”, padri e figli, sono qui presenti ed in azione, tutti disumanizzati, tutti vittime e tutti carnefici.
E non ci consoli il pensiero che questa sia l’istantanea di un popolo e di un paese in un’epoca storica circoscritta: l’angoscia che ci assale nel vedere il dispiegarsi di tanta fredda violenza è data dalla consapevolezza che, anche se le circostanze sono mutate, le condizioni che hanno originato quel male – il fanatismo, la violenza, la morale repressiva – sono ancora presenti e stanno ancora distillando veleni e generando mostri.
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brando fioravanti
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mercoledì 17 dicembre 2014
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molto bello ma niente di nuovo
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Haneke ripropone un film inquietante e pessimista. Stile eccelente, storia ben curata. Il problema è che si cade continuamente nel gia visto. Persone oppresse possono diventare perverse, padri che sono disposti a mentire per salvare i figli, scontri fra classe sociali, gialli risolti solo in parte, violenza ai limiti della sopportazione.Poco convincente l'allusione al nazismo
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filippo catani
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sabato 9 luglio 2011
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laboratorio nazista
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Un piccolo villaggio rurale tedesco a cavallo degli anni della Prima Guerra Mondiale viene sconvolto da eventi misteriosi e violenti. Il maestro del paese cercherà di fare luce sulla vicenda tenendo in conto di scontrarsi con diversi personaggi del luogo.
Un film sicuramente angosciante ma che lascia una vivissima traccia interiore dopo averlo visto. Il film può essere una delle chiavi di lettura della domanda che tutti noi almeno una volta ci siamo posti: come è stato possibile l'avvento e il successo del nazismo?. In questo film abbiamo alcune risposte che ci vengono dalle descrizioni dei personaggi principali. Un burbero proprietario terriero che non esita a calare la scure della vendetta quando serve.
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Un piccolo villaggio rurale tedesco a cavallo degli anni della Prima Guerra Mondiale viene sconvolto da eventi misteriosi e violenti. Il maestro del paese cercherà di fare luce sulla vicenda tenendo in conto di scontrarsi con diversi personaggi del luogo.
Un film sicuramente angosciante ma che lascia una vivissima traccia interiore dopo averlo visto. Il film può essere una delle chiavi di lettura della domanda che tutti noi almeno una volta ci siamo posti: come è stato possibile l'avvento e il successo del nazismo?. In questo film abbiamo alcune risposte che ci vengono dalle descrizioni dei personaggi principali. Un burbero proprietario terriero che non esita a calare la scure della vendetta quando serve. Un terrificante, chiuso e ottuso pastore protestante che non esita a incatenare il figlio a letto in quanto reo di masturbarsi. Un dottore dalla vita privata tutt'altro che irreprensibile. E soprattutto loro: i terribili ragazzini che non esitano a prendersela con i "diversi". Ed ecco quà un terribile spaccato di una Germania che già si presentava in queste condizioni alla guerra e che ne sarebbe uscita con un profondo senso di umiliazione e spirito di rivincita. Purtroppo il terreno migliore in cui è potuta germogliare la pianta nazista. Pregevole anche la scelta di girare in bianco e nero e una menzione speciale per tutto il cast. Purtroppo quel nastro bianco segno di purezza venne per tanti e troppi anni relegato in un cassetto buio della storia.
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estonia
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giovedì 4 settembre 2014
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le radici della violenza
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La riduzione dell’individuo, fin dalla più tenera età, alla condizione disumana di totale obbedienza a regole rigide e inflessibili crea i futuri carnefici dei poteri forti.
In un remoto “Villaggio dei dannati” posto nel nord della Germania durante gli anni che precedono la prima guerra mondiale, nel silenzioso candore reso abbagliante dalla neve che tutto copre e nasconde, le giovani vittime di un sistema educativo estremamente repressivo e autoritario imparano presto ad adeguarsi a una disciplina aberrante fatta di minacce psicologiche e di feroci punizioni corporali e, apprendendo loro malgrado il distaccato disprezzo per la vita umana, acquisiscono l’impassibilità necessaria per essere a loro volta perpetratori di malvagità.
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La riduzione dell’individuo, fin dalla più tenera età, alla condizione disumana di totale obbedienza a regole rigide e inflessibili crea i futuri carnefici dei poteri forti.
In un remoto “Villaggio dei dannati” posto nel nord della Germania durante gli anni che precedono la prima guerra mondiale, nel silenzioso candore reso abbagliante dalla neve che tutto copre e nasconde, le giovani vittime di un sistema educativo estremamente repressivo e autoritario imparano presto ad adeguarsi a una disciplina aberrante fatta di minacce psicologiche e di feroci punizioni corporali e, apprendendo loro malgrado il distaccato disprezzo per la vita umana, acquisiscono l’impassibilità necessaria per essere a loro volta perpetratori di malvagità. Un nastro bianco, dal valore simbolico ambiguo, viene loro appuntato come monito, affinché mantengano intatte la purezza e l’innocenza, asservite però a una morale distorta che dietro la facciata apparentemente disciplinata e perbenista di severissime norme sociali e religiose dissimula una natura fondamentalmente ipocrita e corrotta, in cui il trattamento riservato ai più deboli, donne e bambini soprattutto, assume le tristissime connotazioni del sopruso.
Strutturato quasi come un giallo dai tempi assai lenti e dilatati, e ambientato in un clima gelido e opprimente di sospetti reciproci, il film si apre con una serie di episodi inspiegabili e violenti narrati dalla voce fuori campo dell’insegnante del posto, dolente ma soprattutto inconsapevole testimone dei fatti, e si sviluppa in modo lucido e asettico sospendendo ogni tipo di giudizio. Viene lasciato alle splendide immagini rigorosamente in B/N e prive di colonna sonora , e a una narrazione di scarna efficacia, in cui la violenza non è mai esplicitamente visibile, il compito di illustrare quale sia stato il meccanismo complesso e perverso che ha favorito la genesi del nazismo e in generale di ogni dittatura.
L’arte spiazzante del depistaggio, già sperimentata dal regista nei suoi film precedenti, caratterizza un finale assai poco consolatorio che contiene in sé le fosche prospettive di uno dei periodi più neri della storia contemporanea.
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sassolino
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sabato 31 ottobre 2009
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un incubo in bianco e nero
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C'e' un bellissimo inizio nel film di Haneke, o forse dovremmo dire nell'infanzia di Haneke; un cavallo che corre soave e leggiadro in una gelida campgna austriaca, d'improvviso una fune invisibile ne rompe l'incanto, interrompendone la cavalcata felice e dando inizio a un vero e proprio incubo in bianco e nero.
A poco a poco, nella neve agghiacciante e perenne si sbroglia la matassa di moralismi e perbenismi, si scopre che nel piccolo villaggio di fede luterana tutto non è come sembra.
A partire dal subdolo dottore, padre incestuoso e amante cinico, proseguendo con il barone, incapace in tutta la sua aristocratica ricchezza di dare un affetto vero a moglie e figlio.
Ma la figura più inquietante sembra essere quella del pastore, uomo complesso, costretto a una rigidità permanente, forse per nascondere problemi più grossi.
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C'e' un bellissimo inizio nel film di Haneke, o forse dovremmo dire nell'infanzia di Haneke; un cavallo che corre soave e leggiadro in una gelida campgna austriaca, d'improvviso una fune invisibile ne rompe l'incanto, interrompendone la cavalcata felice e dando inizio a un vero e proprio incubo in bianco e nero.
A poco a poco, nella neve agghiacciante e perenne si sbroglia la matassa di moralismi e perbenismi, si scopre che nel piccolo villaggio di fede luterana tutto non è come sembra.
A partire dal subdolo dottore, padre incestuoso e amante cinico, proseguendo con il barone, incapace in tutta la sua aristocratica ricchezza di dare un affetto vero a moglie e figlio.
Ma la figura più inquietante sembra essere quella del pastore, uomo complesso, costretto a una rigidità permanente, forse per nascondere problemi più grossi. Il mio sospetto, e mi accompagnerà per tutto il film, è che sia lui il vero mostro dei bambini torturati, colui che cerca di moralizzare l'innocenza che in qualche modo ha perso, a dimostrarlo basterebbe il simbolismo del'uccellino infilzato con una forchetta o la reticenza nell'accettare gli istinti umani che sembrano soggiogati, anche qui da un simbolismo, l'uccellino in gabbia. Viene da pensare che quel giovane maestro innamorato della badante del barone sia proprio lo stesso Haneke, un uomo distrutto dalla sua infanzia, talmente traumatizzato da voler cercare di fuggire da quel villaggio, rincorrendo un sogno d'amore che rischiari l'orizzonte e spenga le neve.
Splendidamente fotografato, di un rigore Bressoniano, è un violentissimo atto d'accusa verso tutte le intolleranze, verso i cattivi padri e la falsa morale. Ha il merito di contenere veri momenti di poesia, penso alle continue ribellioni dei bambini che non accettano una realtà priva d'innocenza, al corteggiamento assiduo della giovane cameriera da parte del maestro, che si muove come un personaggio di Flaubert.
Fa venire in mente un bellissimo film degli anni 40, "la morte corre sul fiume" anche per le scene dal taglio impressionistico; li' c'era un senso del fantastico difficilmente raggiungibile ma c'e' qualcosa di simile anche qui, in un finale memorabile in cui una dissolvenza sembra cancellare tutto il mostruoso passato.
Impegnativo, ma per chi va oltre la mezzora straordinario.
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daniela
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venerdì 6 novembre 2009
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il bene e il male.
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Una violenza misteriosa s'insinua nelle casette del villaggio, levita nei cortili spogli e aleggia nelle radure, sale fino a lambire le fronde di alberi generosi, che incorniciano stupendamente un paesaggio luminoso e raggelato. Il film è tutto percorso da questa minaccia vibrante, gravida nelle premesse e con precisione matematica risolta in ogni scena. Poichè nessuna relazione umana all'interno del perimetro dato è esente da paure, rivalsa e sordida acquiescenza. Tutti, tranne il giovane maestro e la sua promessa sposa, recano i germi di una sopraffazione antica, che nasce solo in parte dalla necessità. Haneke ci dice che il male ed il bene, per quanto a volte difficili da distinguere, allignano nell'essere umano fin dalla primissima infanzia e sono un dato ontologico prima che ambientale.
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Una violenza misteriosa s'insinua nelle casette del villaggio, levita nei cortili spogli e aleggia nelle radure, sale fino a lambire le fronde di alberi generosi, che incorniciano stupendamente un paesaggio luminoso e raggelato. Il film è tutto percorso da questa minaccia vibrante, gravida nelle premesse e con precisione matematica risolta in ogni scena. Poichè nessuna relazione umana all'interno del perimetro dato è esente da paure, rivalsa e sordida acquiescenza. Tutti, tranne il giovane maestro e la sua promessa sposa, recano i germi di una sopraffazione antica, che nasce solo in parte dalla necessità. Haneke ci dice che il male ed il bene, per quanto a volte difficili da distinguere, allignano nell'essere umano fin dalla primissima infanzia e sono un dato ontologico prima che ambientale. Ma è certo che l'asfittica educazione e la legge delle apparenze, ancorate agli stereotipi che reggono la comunità, ne amplificano la portata e ne distorcono in modo aberrante le conseguenze. Haneke ci dice che ogni gruppo stabile di umani, a partire dalla famiglia, è una miscela esplosiva, un coacervo di aggressività e nefandezze. Ci dice che l'uomo è un animale sociale ad alto rischio di aberrazione, che l'esistenza è disseminata di trappole e che una società conservatrice e perbenista cela ed alimenta in pari misura fantasmi spaventevoli. Ci dice che la paura, di un tipo o di un altro, è una costante e determina i comportamenti interagendo con l'esattezza di un enzima. Ci dice che i mostri non nascono dall'oggi al domani, ma sono embrioni che allignano ed evolvono in specifici brodi di coltura e la responsabilità è collettiva non meno che individuale.
Ineccepibili il cast e la fotografia, superbo il taglio delle inquadrature, meno riuscita la sceneggiatura nella parte finale. Risolve troppo velocemente il mistero, che naturalmente non ammette spiegazioni facili, ma che proprio per questo avrebbe dovuto essere tenuto con una nota alta e lunga e non precipitare in un baleno.
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paride86
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lunedì 28 dicembre 2009
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ottimo
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Il colpo grosso di Michael Haneke. Oltre ad essere un ottimo ritratto della società del tempo, è un affresco generale sulle peggiori pulsioni umane. Il regista sa mettere a nudo il male che alberga negli uomini e la sua origine, e lo fa con precisione aritmetica, senza risparmiare nulla allo spettatore.
I personaggi del medico e della sua giovane fidanzata evitano il pessimismo cosmico.
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angelo48
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mercoledì 30 dicembre 2009
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il villaggio dei dannati
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Le vicende narrate nel film di Haneke sono lo spunto per una riflessione sul male, sulle sue cause ed effetti. Nel villaggio prussiano vive una società dove, tra le quattro mura di casa o nei rapporti sociali, dominano gerarchie definite dal tempo e dalla storia. Il più forte impone il suo credo e la sua volontà al più debole. Nella fattispecie è soprattutto il dominio dei padri sui figli, esercitato anche con la forza, a scatenare una serie di reazioni violente, volte per lo più a colpire i soggetti maggiormente indifesi (l'uccellino nella gabbia, ed il bimbo handicappato assurgono a simbolo di questo fenomeno). Quel modello sociale fortemente gerarchico e repressivo, peraltro ampiamente diffuso in quel periodo storico, è tra i motori, non l'unico, delle immani tragedie che hanno caratterizzato la storia del secolo appena trascorso.
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Le vicende narrate nel film di Haneke sono lo spunto per una riflessione sul male, sulle sue cause ed effetti. Nel villaggio prussiano vive una società dove, tra le quattro mura di casa o nei rapporti sociali, dominano gerarchie definite dal tempo e dalla storia. Il più forte impone il suo credo e la sua volontà al più debole. Nella fattispecie è soprattutto il dominio dei padri sui figli, esercitato anche con la forza, a scatenare una serie di reazioni violente, volte per lo più a colpire i soggetti maggiormente indifesi (l'uccellino nella gabbia, ed il bimbo handicappato assurgono a simbolo di questo fenomeno). Quel modello sociale fortemente gerarchico e repressivo, peraltro ampiamente diffuso in quel periodo storico, è tra i motori, non l'unico, delle immani tragedie che hanno caratterizzato la storia del secolo appena trascorso. In quei bambini dallo sguardo che talora appare gelido ed inespressivo (mi ricorda quello dei bimbi posseduti dagli alieni in un celebre film di fantascienza, "Il villaggio dei dannati", di qualche decennio fa) si può intravedere il germe di tutto questo male. Purtroppo la storia ci ha insegnato che il destino dell'uomo è comunque segnato dall'innato desiderio di imporre il proprio credo e la propria forza sugli altri ed ogni epoca, ogni modello sociale, devono prima o poi confrontarsi con esso ( I quattro Cavalieri dell'Apocalisse sono sempre pronti a risvegliarsi). La forza espressiva raggiunta da Haneke nel mostrarci uno squarcio su questa angosciante realtà è a mio avviso straordinaria, anche grazie all'uso sapiente del bianco e nero. Concordo con chi considera questo film un capolavoro.
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