m. cristina lucchetta
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venerdì 2 ottobre 2009
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una "melodia" che funziona!
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SCANZONATO E AMARO.... L'ironia al vetriolo dell'ultimo Woody Allen.
Una (tragi)commedia brillante! che ha per protagonista "un uomo con un ampia visone del mondo circondato da microbi!"che ha paura della morte e si da la pena di vivere.. per una fugace felicità che si offre al genere umano a dosi omeopatiche.Si ride e si sorride nell'ultimo film di Woody Allen mentre il suo alter ego cerca di negare senso della vita.Cinico e spietato.Filosofo.In bilico tra humor e disincanto.Ironico,e si sa l'ironia è segno di intelligenza e di attenzione alla realtà:una realtà che comprende l'uomo e il mondo o forse l'uomo nel "suo" mondo (microcosmo)contaminato dalla stupidità e dalla superficialità di chi spesso ci rende la vita "peggiore di quello che dovrebbe essere",un mondo in cui però c'è ancora spazio per il caso.
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SCANZONATO E AMARO.... L'ironia al vetriolo dell'ultimo Woody Allen.
Una (tragi)commedia brillante! che ha per protagonista "un uomo con un ampia visone del mondo circondato da microbi!"che ha paura della morte e si da la pena di vivere.. per una fugace felicità che si offre al genere umano a dosi omeopatiche.Si ride e si sorride nell'ultimo film di Woody Allen mentre il suo alter ego cerca di negare senso della vita.Cinico e spietato.Filosofo.In bilico tra humor e disincanto.Ironico,e si sa l'ironia è segno di intelligenza e di attenzione alla realtà:una realtà che comprende l'uomo e il mondo o forse l'uomo nel "suo" mondo (microcosmo)contaminato dalla stupidità e dalla superficialità di chi spesso ci rende la vita "peggiore di quello che dovrebbe essere",un mondo in cui però c'è ancora spazio per il caso.. o per il fato e la sua provvidenziale e disarmante Melody!
"Non è importante chiedersi cosa faccio per vivere ma perchè mi do la pena di vivere"si domanda il protagonista che, rivolgendosi a noi come a teatro, ci interpella.Eravamo stati avvertiti:se siamo gli idioti di turno che vogliono sentirsi bene ad ogni costo allora dobbiamo interrompere la visione. Un massaggio ai piedi è più gratificante,ci farà sentire meglio.Nel suo cupo cinismo e nella sua saggia avvertenza il vecchio Boris/Allen professa la sua fede in questa nostra "specie fallita"! Arriveremo ai titoli di coda... divertiti e interrogati! Si vive da vivi e si vive da morti! Forse da vivi si pena di meno! E' un protagonista con tante domande e con troppe risposte Boris ... Alcune vere, alcune false. E nonostante tutto ancora aperto alla melodia e alla sua grazia!
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(di josefina)
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peter wilson
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mercoledì 26 gennaio 2011
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esilarante con eleganza
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com'è possibile che si faccia una commedia che necessita per la sua stessa natura di parlare di sesso senza parlarne quasi mai e mai senza eleganza? chiedetelo a Woody Allen
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sofiefatale
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sabato 21 maggio 2011
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"l'orrore"!
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La storia è: basta che funzioni.Il sunto è questo, e sin dal principio,sin dal dialogo che inaugura la pellicola, traspare la bellezza di una mente raffinata, ed,estremamente,colta,di un uomo che ha realmente un'ampia visione del mondo:Woody Allen.
Uno dei suoi piccoli capolavori piu' belli.Come dice lo stesso protagonista questo non è un film da: "oh quanto mi sento bene!se siete di quegli idioti che devono setirsi bene fatevi fare semplicemente un massaggio ai piedi".ebbene si,tale film non è sicuramente di difficile interpretazione ma se nn si ha anche una certa sensibilita' culturale o un'attenzione particolare nell'ascoltare i dialoghi gravidi di intuizioni filosofiche lo spettatore potrebbe anche non apprezzarlo;in caso contrario uscirà dalla sala entusiasta.
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La storia è: basta che funzioni.Il sunto è questo, e sin dal principio,sin dal dialogo che inaugura la pellicola, traspare la bellezza di una mente raffinata, ed,estremamente,colta,di un uomo che ha realmente un'ampia visione del mondo:Woody Allen.
Uno dei suoi piccoli capolavori piu' belli.Come dice lo stesso protagonista questo non è un film da: "oh quanto mi sento bene!se siete di quegli idioti che devono setirsi bene fatevi fare semplicemente un massaggio ai piedi".ebbene si,tale film non è sicuramente di difficile interpretazione ma se nn si ha anche una certa sensibilita' culturale o un'attenzione particolare nell'ascoltare i dialoghi gravidi di intuizioni filosofiche lo spettatore potrebbe anche non apprezzarlo;in caso contrario uscirà dalla sala entusiasta.Com'è tipico,in ogni film di woody allen, e in ogni suo protagonista, c'è lo stesso woody allen. la sua autobiografia,infatti, possiamo estrapolarla dai suoi preziosi film.In basta che funzioni il protagonista è
boris yelnikoff,un misantropo,paranoico,ipocondriaco,disulluso,pessimista cosmico e trabboccante di cultura e la somiglianza non puo' essere che quella con il regista.L'arte di woody allen va compresa. Cio' che rende straordinario il suo cinema sono le continue riflessioni che il regista ci propone e anche in questo film egli non si smentisce.Allen si sofferma su temi e contenuti di grande importanza. Con l'umorismo e il sarcasmo,attraverso la bocca del suo protagonista, ci parla di religione e dei suoi errori di fondo,gli stessi che sono ravvisabili nella teoria marxiana,buona nei propositi ma fallace nell'applicazione,ci parla di amore,di vite,di persone,uomini,donne,che ricercano qualcosa,forse se stessi,e che spesso intrappolati nell'inibitorio provincialismo e moralismo credono di aver trovato la loro strada,vivendo infelici nell'inconsapevolezza o forse nella consapevolezza di aver fatto le scelte sbagliate. Boris yelnicoff riveste metaforicamente il ruolo di giudice,ma al tempo stesso d'imputato e testimone. È consapevole della mancanza di un ordine razionale e del caos che domina il mondo,del dolore essenza della vita e della malvagita' dell'uomo,e per quanto condanni e cerchi di rifuggire tutto cio' anche lui ne è sopraffatto,sentendosi talvolta parte di questo crudele homo homini lupus,inutile buio caos che è la vita.Nel corso del film i personaggi che popolano la storia,per una serie di fattori e cirostanze,ritrovano pian piano se stessi,riescono a comprendere i propri desideri e cio' che vogliono. All'improvviso è come se si forssero svegliati,come se la loro vita fosse cominciata proprio da quel punto,perchè la vita vera comincia nel momento in cui capisci chi sei e cosa vuoi,e allora,forse,ecco che puo' trovare spazio quello a cui noi tutti aneliamo:la felicita',o per lo meno quella serenita' che riesca a contrastare “L'orrore”,di cui parla Kurtz.Woody allen è un pessimista;questo è chiaro,ma con questo messaggio,a dispetto di cio' che predica il protagonista e di cio' che si potrebbe capire all'inizio,lascia intravedere un raggio di luce,un filo di speranza per noi uomini,la speranza di poter vivere un'esistenza che abbia un significato per noi,se solo riusciamo a trovare la nostra strada.il che non è semplice,perchè,come si dice anche nel film,l'uomo rende le cose peggiori e piu' complicate di come sono.e bhe' questa purtroppo è una nostra prerogativa.
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trimegisto85
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domenica 21 aprile 2013
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il fato è, dio forse
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Boris Yelnikoff è un fisico, un tempo di fama mondiale, che si è ritirato in se stesso: detestando il mondo con il suo cinismo frutto del suo genio, essendo in pochi ad avere la visione d'insieme, tenta un suicidio che uccide solo il suo matrimonio e la sua vecchia vita. Da allora si rintana nel suo piccolo mondo a New York, passando le giornate a impartire lezioni di schacci a "bambini stupidi", che non riescono a imparare, e a filosofeggiare con i suoi amici della vita e dell'uomo.
Un giorno (...c'è sempre un giorno) la sua routine viene infranta dall'incontro con Melody, giovane, ingenua e bella ragazza di provincia che è scappata da un mondo troppo chiuso per cercare spazio nella Grande Mela: convince Boris ad ospitarla per una notte, per qualche tempo e, infine, si sposano: Boris creerà una nuova routin con Lei.
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Boris Yelnikoff è un fisico, un tempo di fama mondiale, che si è ritirato in se stesso: detestando il mondo con il suo cinismo frutto del suo genio, essendo in pochi ad avere la visione d'insieme, tenta un suicidio che uccide solo il suo matrimonio e la sua vecchia vita. Da allora si rintana nel suo piccolo mondo a New York, passando le giornate a impartire lezioni di schacci a "bambini stupidi", che non riescono a imparare, e a filosofeggiare con i suoi amici della vita e dell'uomo.
Un giorno (...c'è sempre un giorno) la sua routine viene infranta dall'incontro con Melody, giovane, ingenua e bella ragazza di provincia che è scappata da un mondo troppo chiuso per cercare spazio nella Grande Mela: convince Boris ad ospitarla per una notte, per qualche tempo e, infine, si sposano: Boris creerà una nuova routin con Lei.
Ma Allen non demorde e introduce in modo molto teatrale sempre nuovi inconveniente nella vita di Boris, anche perché ora è la Loro vita e la variabile Melody sembra instabile: arriveranno a bussare come il Fato (...annunciato da Beethoven) i genitori della sua sposa, portatori di idee incomprensibili a Boris e di inconvenienti continui fino a portare il nostro fisico al secondo tentativo di suicidio; ma in questo caso il Fato gli offrirà una nuova vita, dimostrandogli/ci che non opera solo in negativo.
Allen riesce nuovamente a descriverci alcuni aspetti dell'uomo e della nostra posizione nel mondo: ci sono i temi a lui più cari come i dogmatismi culturali (sociali e religiosi), uomini piccoli al confronto del suo genio, Fato e Dio; lo fa con una commedia che scorre veloce, molto leggera e divertente ma meno acida del solito: pensate a "Herry a pezzi" e coglierete una differenza abissale. Allen passa con il tempo dall'altro lato del ponte, rimane nella stessa città (non lesina battute ai bacchettoni, ai gretti e alla gente semplice colpevole di affrontare la vita in modo semplicistico, affidandosi a Dio, al Lavoro, al Fato o a qualche Star dello sport) ma è meno intransigente, cerca di istruire gli ingenui più che demolire le mura che chiudono il loro mondo ( è mentore di Melody e dei bambini) e a volte si compiace anche dei piccoli risultati che questi raggiungono, accettando il fatto che in un modo o nell'altro tutti prendono la loro strada, anche se questa è lontana dal genio che rivela.
Per faer ciò sceglie una regia semplice e molto da teatro: si svolge tutto in piccoli ambienti, i personaggi entrano in scena all'improvviso, inspiegabilmente, bussando alla porta e quasi presentando se stessi; inoltre c'è la rottura dello schermo all'inizio e alla fine, solo Boris riesce a vedere il pubblico in sala ed è a loro che si rivolge quando introduce la sua tesi e tira le conclusioni, perché solo il Genio (Allen) ha quella visione del tutto che permette di cogliere la realtà oltre la finzione fenomenica del mondo.
Una riflessione particolare che ci lascia questa pellicola è quella sul Fato, il vero protagonista con cui Boris/Allen deve confrontarsi: il Fato non è Dio, non porta verso l'integralismo e non condiziona il modo in cui scegliamo di vivere ma incide in modo imparziale sulle nostre vite; in tale ottica noi siamo come delle formiche che affrontano il Vento e non come formiche che subismono "un bambino dispettoso seduto sul formicaio". Un modo di vedere l'esistenza umana completamente diversa, che cambia la nostra mappa mentale e induce il nostro caro Woody a dare consigli su come affrontare questa nuova entità, da sempre esistita ma con la quale non abbiamo mai fatto bene i conti: già in Match Point viene tirato in ballo in modo molto più duro e cupo, come una forza che non ha morale, che non esiste per dispensare premi e punizioni ma semplicemente agisce con forza sulla nostra vita.
Di fronte a questa asettica ma tangibile realtà il consiglio è di prendere a pieno la vita, viverla e non pensarla secondo parametri morali in modo molto epicureo: "qualunque felicità riusciate a rubacchiare o a procurare...basta che funzioni! E non vi illudete, non dipende per niente dal vostro ingegno umano più di quanto non vogliate accettare; è la Fortuna a governarvi".
Meglio impotenti di fronte alla Fortuna che schiavi di noi stessi.
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andrea d
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domenica 20 settembre 2009
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ha funzionato, eccome
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Dopo una vacanza europea di quattro film (il sopravvalutato "Match Point", l'inutile "Scoop", il sufficiente "Sogni e Delitti" e il più riuscito "Vicky Cristina Barcelona"), era ora che il regista newyorkese tornasse in patria. Il film comincia con un'esplosione atomica di scrittura cinematografica, un lungo e intelligentissimo monologo sull'esistenza pronunciato dal protagonista interpellando il pubblico in sala, cioè guardando la macchina da presa: una perfetta introduzione metafilmica ci dà, così, il benvenuto, o meglio, il bentornato, nelle strade di New York, nelle sue strade di Manhattan, di cui avevamo sentito la mancanza negli ultimi anni. Un ritorno nel proprio habitat comporta, dunque, una serie di altri ritorni, dal jazz alla psicoanalisi, e così via, nella cornice di quello che è Woody Allen allo stato puro, nella sua espressione più classica e sincera, a dispetto di quei critici che continuano a scambiare per ripetitività una coerenza stilistica (i titoli di testa sempre uguali e l'audio rigorosamente mono) e contenutistica (l'imperterrita ricerca di un significato) che dura ormai da quarant'anni.
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Dopo una vacanza europea di quattro film (il sopravvalutato "Match Point", l'inutile "Scoop", il sufficiente "Sogni e Delitti" e il più riuscito "Vicky Cristina Barcelona"), era ora che il regista newyorkese tornasse in patria. Il film comincia con un'esplosione atomica di scrittura cinematografica, un lungo e intelligentissimo monologo sull'esistenza pronunciato dal protagonista interpellando il pubblico in sala, cioè guardando la macchina da presa: una perfetta introduzione metafilmica ci dà, così, il benvenuto, o meglio, il bentornato, nelle strade di New York, nelle sue strade di Manhattan, di cui avevamo sentito la mancanza negli ultimi anni. Un ritorno nel proprio habitat comporta, dunque, una serie di altri ritorni, dal jazz alla psicoanalisi, e così via, nella cornice di quello che è Woody Allen allo stato puro, nella sua espressione più classica e sincera, a dispetto di quei critici che continuano a scambiare per ripetitività una coerenza stilistica (i titoli di testa sempre uguali e l'audio rigorosamente mono) e contenutistica (l'imperterrita ricerca di un significato) che dura ormai da quarant'anni. A dialogare con noi sulla vita è Boris, un geniale ex professore di fisica sui sessanta che ora vive solo tra le sue nevrosi e i suoi dilemmi esistenziali, e che rimarrà scosso dall'incontro, avvenuto per una coincidenza dovuta al caso (elemento determinate nella poetica alleniana), con Melody, una ragazza del sud degli Stati Uniti, deliziosamente ingenua e di scarsa erudizione, la quale sarà ospitata in casa sua, portando con sé un grosso bagaglio di credenze, luoghi comuni e superstizioni (per il principio secondo cui la religiosità e la superstizione sono inversamente proporzionali alla cultura). L'unione tra i due, costretti alla conoscenza reciproca da una permanenza prolungata della ragazza ospite, sembra inconcepibile, eppure Boris finirà per esserne attratto e sposarla, pur di trovare un barlume di senso da dare a una vita che di per sé non ne ha, a meno che non si voglia credere in consolatori disegni provvidenziali. Boris va avanti nel suo incerto cammino nell'indifferenza dell'universo attaccandosi a qualsiasi cosa funzioni ("whatever works", appunto), anche quando a scuotere la situazione arrivano i genitori di Melody, ognuno di loro con le proprie peculiarità opposte a quelle del fisico (sopra tutte la fede in Dio e nella sua provvidenza, ricollegabile al credere nel destino, che è l'opposto del sentirsi in preda al caso e alla vanità dell'essere). Sorprendente è la solita leggerezza con la quale il regista riesce ad affrontare tematiche filosofiche di grande spessore, tematiche che, come ammette lo stesso Boris/Allen nel corso della pellicola, fanno visita solo nei pensieri di chi ha una grande mente, che permette di avere la cosiddetta "visione di insieme", un'inquadratura totale che prescinde dai punti di vista, dalle ideologie, dalle confessioni, e dalle convinzioni soggettive che noi passeggeri abitanti del pianeta ci siamo appositamente costruiti, e che rende consapevoli della incredibile piccolezza nei confronti del resto e di tutto. E allora non rimane che riuscire a cogliere quell'attimo di piacere, di gioia, in qualunque situazione ci venga offerta dall'andamento casuale delle cose, anche adeguandosi alla combinazione più paradossale, purché funzioni. Aver passato novanta minuti nella visione di questo film, ad esempio, è stato un ottimo modo per afferrare quel tipo di felicità. E ha funzionato, eccome.
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ilpredicatore
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mercoledì 31 marzo 2010
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basta che sia di woody allen
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Non è un caso se il nuovo film del regista più prolifico d'America sia il migliore degli ultimi anni. Woody torna nella sua New York, una città, una metropoli, il suo universo, dopo una manciata di titoli ambientati in Europa e girati senza mordente, ironia e senza quella ipocondria e quella tipica (auto) analisi che lo avevano reso grande. Ed eccoci qui, proprio a New York, con il suo alter ego Boris, genio fisico, misantropo, misogino, sociopatico e perfino ansiolitico, che guarda tutti dall'alto in basso e che si sveglia la notte con gli attacchi di panico. Il personaggio interpretato da Larry David è impagabile, grande mattatore dell'ultima fatica del regista newyorchese, autentico fanale di tutta la storia, capace di alzarsi e di rivolgersi direttamente allo spettatore con lo scopo di disilluderlo, di rendere le cose come stanno senza giri di parole (“Ve lo dico subito, okay? Io non sono un tipo simpatico”), di deprimerlo, di fargli aprire gli occhi proprio come fa con la ragazza sbandata che finisce per ospitare a casa sua.
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Non è un caso se il nuovo film del regista più prolifico d'America sia il migliore degli ultimi anni. Woody torna nella sua New York, una città, una metropoli, il suo universo, dopo una manciata di titoli ambientati in Europa e girati senza mordente, ironia e senza quella ipocondria e quella tipica (auto) analisi che lo avevano reso grande. Ed eccoci qui, proprio a New York, con il suo alter ego Boris, genio fisico, misantropo, misogino, sociopatico e perfino ansiolitico, che guarda tutti dall'alto in basso e che si sveglia la notte con gli attacchi di panico. Il personaggio interpretato da Larry David è impagabile, grande mattatore dell'ultima fatica del regista newyorchese, autentico fanale di tutta la storia, capace di alzarsi e di rivolgersi direttamente allo spettatore con lo scopo di disilluderlo, di rendere le cose come stanno senza giri di parole (“Ve lo dico subito, okay? Io non sono un tipo simpatico”), di deprimerlo, di fargli aprire gli occhi proprio come fa con la ragazza sbandata che finisce per ospitare a casa sua. Il film nasce proprio dal loro rapporto che, nonostante i due si trovino agli estremi opposti, non dovrebbe avere inizio ma che finisce (causa di forza maggiore) per unirli. Lui, egocentrico e fin troppo intellettuale, lei, ingenua e spesso ai limiti della stupidità, che la renderà succube dei pensieri di lui, ma al contempo dolce, semi innocente e spensierata. A tenere testa Larry David c'è però una scatenata Patricia Clarkson, madre divorziata che riscopre nuovi orizzonti. Woody Allen, attraverso la misantropia del suo protagonista, pone un nuovo giudizio sul mondo, un giudizio pessimista per un mondo sempre più matto e stupido, abitato da esseri umani allo sbando, spesso ultra conservatori e tradizionalisti eppure in continuo mutarsi e sotto sotto progressisti, o personaggi attraversati da una profonda crisi esistenziale. Ma attenzione però, il regista non è così scettico come fa sembrare nell'incipit, perché la possibilità di raggiungere in ogni caso una qualche forma di felicità è spiegata fin dal titolo. Qualunque amore riusciate a dare e ad avere, qualunque felicità riusciate a rubacchiare... basta che funzioni. Tutto il resto è futile. Così come l'ultimo film del regista di Hannah e le sue sorelle. Parte in quarta, decolla, si perde un po' per strada, ma non abbandona mai il suo grande tocco di humour nero e raffinato che rende preziosa questa pellicola. Basta che sia di Woody Allen.
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fab_y
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sabato 14 aprile 2012
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il male di vivere...
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Film "filosofico" impegnato nella ricerca costante di un significato dell'umana esistenza, ricerca che però viene continuamente interrotta e disillusa dalla consapevolezza dell'indigenza e della precarietà della natura dell'uomo. Woody Allen percorre e ci fa percorrere questo intricato itinerario tramite il protagonista, Boris, vecchio genio e mente brillante che riesce a stento a sopravvivere ai suoi pensieri e alle sue convinzioni circa il non-senso della vita umana, appigliandosi un po' a quel suo crudo sarcasmo , un po' alle situazioni e alle persone alle quali si rapporta sempre con distacco e con commiserazione per quel comune destino che porta ogni essere vivente ad essere nient'altro che il nulla nell'assurdo caos della vita.
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Film "filosofico" impegnato nella ricerca costante di un significato dell'umana esistenza, ricerca che però viene continuamente interrotta e disillusa dalla consapevolezza dell'indigenza e della precarietà della natura dell'uomo. Woody Allen percorre e ci fa percorrere questo intricato itinerario tramite il protagonista, Boris, vecchio genio e mente brillante che riesce a stento a sopravvivere ai suoi pensieri e alle sue convinzioni circa il non-senso della vita umana, appigliandosi un po' a quel suo crudo sarcasmo , un po' alle situazioni e alle persone alle quali si rapporta sempre con distacco e con commiserazione per quel comune destino che porta ogni essere vivente ad essere nient'altro che il nulla nell'assurdo caos della vita. Film non adatto a tutti, richiede costante attenzione nello scorrere degli ininterrotti e logorroici momenti di riflessione in cui anche anche la domanda più irrilevante o la conversazione più superficiale si trasformano in una riflessione filosofica sulla condizione umana. In questo labirinto di parole e pensieri, il ruolo del protagonista diviene necessario, perchè funge da guida allo spettatore e lo aiuta a cogliere il senso dei disordinati e velati messaggi che il film va costruendo, ed è un interprete distaccato dalle dinamiche che coinvolgono i personaggi del film e strumento pronto a smorzare ogni barlume di ottimismo e positività in modo che anche le leggere e divertenti vicende che li coinvolgono, perdono ai nostri occhi ogni motivo di umorismo e ironia. E percepiamo solo una magra consolazione e una leggera speranza quando, riflettendo sulla futilità delle vicende umane, siamo spinti dalla voce di Boris a capire che, nello scorrere senza pietà e senza senso a noi noto della vita su questa terra, qualsiasi religione abbracciamo, qualsiasi compagno amiamo, qualsiasi vita scegliamo...basta che funzioni!
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nino pell.
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lunedì 21 settembre 2009
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woody allen e la sua filosofia della vita
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Quest'ultima pellicola di Woody Allen non lascia spazio a mezze misure nell'essere giudicata. La filosofia di vita che il regista intende esprimere con questa sua ultima fatica raggiunge un considerevole livello di espressività. Gli uomini ("zombi senza cervello", "primitivi", come ironicamente vengono definiti da Boris, protagonista della storia) sono troppi legati alle aspirazioni, a rincorrere gli evanescenti obiettivi di felicità ed, in genere, a tutto ciò è circoscritto nell'esistenza vitale in quanto tale, per fermarsi a meditare e cogliere il vero senso della vita. Il saggio Boris tutto questo l'ha capito da tempo ed è per questo che la sua visione della vita è profondamente riflessiva, realistica, ma non per questo da definirsi cinica o distaccata.
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Quest'ultima pellicola di Woody Allen non lascia spazio a mezze misure nell'essere giudicata. La filosofia di vita che il regista intende esprimere con questa sua ultima fatica raggiunge un considerevole livello di espressività. Gli uomini ("zombi senza cervello", "primitivi", come ironicamente vengono definiti da Boris, protagonista della storia) sono troppi legati alle aspirazioni, a rincorrere gli evanescenti obiettivi di felicità ed, in genere, a tutto ciò è circoscritto nell'esistenza vitale in quanto tale, per fermarsi a meditare e cogliere il vero senso della vita. Il saggio Boris tutto questo l'ha capito da tempo ed è per questo che la sua visione della vita è profondamente riflessiva, realistica, ma non per questo da definirsi cinica o distaccata. Lui ci appare come una persona particolare ( non sono riuscito a capire bene il perché egli indossasse pantaloni corti sotto maglioni o giubbini), pieno di manie, tic, eppure in grado di cogliere la dimensione dell'animo umano in maniera acuta, sorprendente. Il personaggio di Boris/Allen ironizza sottilmente sui personaggi della storia descrivendone le debolezze umane, le vicissitudini e conseguenti cambiamenti di opinioni, se non addirittura di identità (come nel caso del suocero che scopre ad un certo punto di essere omosessuale) ma poi sembra compenetrarvi se non addirittura giustificarli(Boris stesso a seguito di un ennesimo tentativo di suicidio alla fine trova la sua serenità incontrando finalmente la donna della sua vita) perché pedine di un universo esistenziale che sebbene destinato a finire, va vissuto per la speranza di essere almeno felici (per volontà propria o perché è spesso il destino a determinare gli eventi) purché naturalmente ciò che si riesce ad ottenere...basta che funzioni.
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federicarlo
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giovedì 24 settembre 2009
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boris allen..?
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“Basta che funzioni” si sarà detto fra se e se Woody Allen prima che uscisse il suo ultimo film. In effetti ha funzionato: tutti gli spettatori si saranno divertiti passando una serata davanti ad una simpatica e divertente commedia americana. In realtà io mi permetterei di definirla una tragedia alleniana, il coronamento di una carriera volta a descrivere e ironizzare sull’ inettitudine umana. Parlo di coronamento non perché ritenga questo il più bel film di Woody Allen, ma il più tragico. Mentre in altri film il finale aperto spesso lasciva un velo di speranza, in “Basta che funzioni” il finale aperto in realtà è chiuso. Il protagonista (Boris Yelnikoff) sembra essere l’alter ego del regista americano: una persona che crede nella scienza e odia la religione, paranoica, che ha paura del buio (forse il buio rappresenta ciò che è estraneo alla ragione), che si interroga continuamente sui problemi esistenziali, che si rivolge al pubblico (come in “Amore e guerra”), che all’ improvviso incontra una giovane e affascinante ragazza… Fin qua sembra tutto visto e rivisto, ma in realtà il protagonista si rivela completamente diverso dal vero Woody Allen, come se fosse un Allen invecchiato: non prova attrazione fisica verso la ragazza, ripudia il sesso, è deciso e fermo nei suoi ideali e non è più un caos mentale in continuo mutamento, non va dallo “strizzacervelli”.
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“Basta che funzioni” si sarà detto fra se e se Woody Allen prima che uscisse il suo ultimo film. In effetti ha funzionato: tutti gli spettatori si saranno divertiti passando una serata davanti ad una simpatica e divertente commedia americana. In realtà io mi permetterei di definirla una tragedia alleniana, il coronamento di una carriera volta a descrivere e ironizzare sull’ inettitudine umana. Parlo di coronamento non perché ritenga questo il più bel film di Woody Allen, ma il più tragico. Mentre in altri film il finale aperto spesso lasciva un velo di speranza, in “Basta che funzioni” il finale aperto in realtà è chiuso. Il protagonista (Boris Yelnikoff) sembra essere l’alter ego del regista americano: una persona che crede nella scienza e odia la religione, paranoica, che ha paura del buio (forse il buio rappresenta ciò che è estraneo alla ragione), che si interroga continuamente sui problemi esistenziali, che si rivolge al pubblico (come in “Amore e guerra”), che all’ improvviso incontra una giovane e affascinante ragazza… Fin qua sembra tutto visto e rivisto, ma in realtà il protagonista si rivela completamente diverso dal vero Woody Allen, come se fosse un Allen invecchiato: non prova attrazione fisica verso la ragazza, ripudia il sesso, è deciso e fermo nei suoi ideali e non è più un caos mentale in continuo mutamento, non va dallo “strizzacervelli”. Alla fine tutto sembra rientrare nella norma: Boris pare riuscire ad innamorarsi e ad accettare molto di ciò che ripudiava e in cui prima non credeva, ma anche gli altri personaggi sembrano avvicinarsi al mondo un tempo tanto lontano del protagonista. Tutto è apparentemente in perfetto equilibrio e il film lascia fra gli spettatori pareri contrastanti fra chi si è divertito di più e chi meno nel vedere una semplice, carina e originale commedia americana. Ma in realtà non credo che Woody Allen avesse in mente proprio questo, o meglio, sapeva che la gente avrebbe reagito così, forse voleva tale reazione; per me il film ha tutt’altro significato. Ho precedentemente parlato di un finale chiuso: in effetti è la prima volta che il protagonista di un film di Allen esce completamente sconfitto: Boris, prima ostile e arrabbiato nei confronti dell’ umanità, sembra rassegnarsi del tutto e calarsi nella parte dell’ uomo che vive per propria volontà nel falso, nell’ assurdo. Perdono le sue catastrofiche teorie e vince la fortuna; ed è proprio la fortuna che lo spinge ad innamorarsi di una maga (antitesi di razionalità, di scienza)... Perde l’umanità, la ragione, il senso di vivere la vita: non ha più senso scervellarsi per anni in chissà quali assurde teorie esistenziali, meglio lasciare vivere la gente nella totale ignoranza e alla fine “basta che funzioni”... Perde soprattutto l’alter ego di Allen. È forse per questo che il film non è stato interpretato proprio da Woody? È come se il regista americano facesse scendere in campo la sua parte dionisiaca ed è come se non se la fosse sentita di interpretarla, o forse non l’avesse ancora del tutto riconosciuta. Insomma non mi sorprende che Allen non abbia scelto Brad Pitt nel ruolo di protagonista: meglio un Larry David zoppo e vestito male, uno che sappia perdere.
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ipno74
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mercoledì 11 maggio 2011
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l'amore nel suo intero
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Allen ci regala un film che appena finito si ha voglia di rivederlo per le frasi stupende e le genialità ironiche descritte.Tutti ci sforziamo di essere delle buone persone ma alla fine è il nostro istinto a prevaricare.
Il film oltre ad essere divertente e con una sceneggiatura che spiazza, ci fa pensare sulla nostra piccola vita e ci dice di godercela perchè alla fine, dopo la morte, dall'altra parte non c'è nessuno, quindi facciamo festa finchè si può.
Allen è ritornato alla grande
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