Franck Vestiel ha ridotto all'infinitesimo una sceneggiatura minimale, gia' di per se' ai minimi termini, costruendo un film fatto esclusivamente di elementi espressivi accessori. La scena del film sembra subito quella claustofobica di "Cube", ma in pochi istanti si trasforma in un ambiente sinistro e decadente che ben si ispira all'archeologia postindustriale. In questi indecifrabili ambienti, lo spettatore si aggira alle spalle di un protagonista inizialmente uomo e poi sempre piu' animale, nelle reazioni e nei suoni: 100 minuti alla ricerca di un perche' su cio' che si vede, che ben presto muta in una scarna domanda esistenziale: "perche' esisto?". Punti di forza di questa performance quasi-teatrale, totalmente fisica e priva di recitato, sono la luce in assenza di colore ed il suono in assenza di musica.
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Franck Vestiel ha ridotto all'infinitesimo una sceneggiatura minimale, gia' di per se' ai minimi termini, costruendo un film fatto esclusivamente di elementi espressivi accessori. La scena del film sembra subito quella claustofobica di "Cube", ma in pochi istanti si trasforma in un ambiente sinistro e decadente che ben si ispira all'archeologia postindustriale. In questi indecifrabili ambienti, lo spettatore si aggira alle spalle di un protagonista inizialmente uomo e poi sempre piu' animale, nelle reazioni e nei suoni: 100 minuti alla ricerca di un perche' su cio' che si vede, che ben presto muta in una scarna domanda esistenziale: "perche' esisto?". Punti di forza di questa performance quasi-teatrale, totalmente fisica e priva di recitato, sono la luce in assenza di colore ed il suono in assenza di musica. Suono e luce bersagliano lo spettatore attraverso un continuo ricorso a selvagge riprese in shaky-cam. Sorprendente la scena dove il protagonista letteralmente "costruisce" un'immagine proiettata sul nulla, fermando frammenti di luce sugli oggetti piu' disparati: una efficace trasposizione post-moderna di archeologia, che rimette insieme frammenti di cultura digitale. Il dubbio resta fino all'ultima scena, catartica, che risolve istantaneamente il dubbio in modo disarmante e tragico. Quest'opera di Vestiel non e' piu' un film e richiede allo spettatore uno sforzo di connessione personale ed una personale partecimazione fisica: dire che questo film abbaglia la vista o crea frastuono nelle orecchie, senza raccontare nulla, vuol dire non capirlo, chiamandosi fuori e "disconnettendosi". Forse questo "film" sarebbe stato ideale per una sperimentazione in 3D, che avrebbe permesso l'immersione dello spettatore nella scena, ma a quel punto avrebbe avuto ancora piu' valenza una trasposizione in performance di teatro totale (in stile Fura del Baus). So di esagerare con 5 stelle, ma preferisco premiare il coraggio della proposta indipendente, per di piu' in un contesto di cinema europeo. Non un capolavoro quindi, ma una grande prova di coraggio e di capacita' tecnica di controllare suono ed inmmagine senza avere a disposizione elementi narrativi. Scontato un rifiuto sicuro da parte del pubblico che cerchera' in questa performance tracce di genere horror o di fantascienza.
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