La sconosciuta |
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Un film di Giuseppe Tornatore.
Con Ksenia Rappoport, Michele Placido, Claudia Gerini, Clara Dossena, Pierfrancesco Favino.
continua»
Drammatico,
durata 118 min.
- Italia 2006.
uscita venerdì 20 ottobre 2006.
MYMONETRO
La sconosciuta
valutazione media:
3,25
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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A TRADIMENTOdi XFeedback: 0 |
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lunedì 23 ottobre 2006 | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Ne La sconosciuta, il film con cui Giuseppe Tornatore torna in sala dopo cinque anni di silenzio, le sequenza più strazianti sono quelle dove una bambina viene legata, spintonata a terra e costretta a rialzarsi dalla sua giovane tata: pura malvagità o amore spinto all’estremo? In realtà la scena ricorda uno dei capolavori del verismo italiano, la novella Rosso Malpelo di Verga, in cui un povero e disprezzato garzone di miniera tormenta in vari modi, e picchia con sempre maggior accanimento un ragazzino gracile, chiamato significativamente Ranocchio, a cui è affezionato dicendogli” Bestia! Bestia sei! Se non ti senti l’animo di difenderti da me che non ti voglio male, vuol dire che ti lascerai pestare il viso da questo e da quello!”. In una società fatta ancora di schiavi e padroni, in cui è inevitabile far torto o patirlo, l’educazione non passa attraverso i libri e le belle parole, ma attraverso la strada e i suoi crudi metodi: l’unico modo per sopravvivere è difendersi con i pugni e persino prendere il coltello ed uccidere, se necessario, solamente una morale ipocrita e anacronistica impone di porgere l’altra guancia. Ne La sconosciuta la storia di formazione si sviluppa gradualmente secondo una triplice prospettiva: la giovane protagonista cerca nel presente le traccia di un passato di atrocità che la ossessiona, la sua intrusione in un ambiente borghese benestante ne fa implodere egoismi e fragilità, la sua sconfitta sarà dolorosamente formativa per la bambina affidatale sofferente e patologicamente inerme per via di una strana malattia. A una conclusione l’intreccio così arriva e l’enigma si risolve. Peccato però, perché in realtà non dovrebbe essere affatto sciolto il nodo: come sognare colori e luce e cestelli di fragole rosse in mezzo a tanti incubi, quale spazio resta all’amore in un universo spietato che si insinua subdolamente nell’animo corrompendolo? Il lungometraggio recuperando con maestria le atmosfere algide alla Chabrol lascia percepire sotto pelle l’inquietudine della metropoli operosa e claustrofobica, la simbolica Velarchi( Trieste) popolata dagli orefici e dalle loro abitazioni opprimenti, invasa dai diseredati assetati di una vita migliore. Una macchina da presa che obbliga a centellinare con lo sguardo i forellini invisibili a occhio nudo nel tappeto pulito è la prerogativa di un noir esistenziale riuscito: il vaso di fiori in bilico sulla finestra, la scala a chiocciola, l’allarme della cassa al supermercato, chiavi e casseforti, scaffali e porte serrate sono i segni di una realtà ostile ed impenetrabile. Poi parole e spiegazioni neutralizzano la forza perturbante di immagini e gesti e il rebus si stempera in dramma patetico, a tradimento.
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