zenone
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martedì 13 marzo 2007
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quale chiesa per l'uomo
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Un film su due diverse di interpretazioni della spiritualità conventuale cristiana: una, istituzionale, basata su una severa ascesi e sull'annullamento della personalità per servire meglio la chiesa, una via priva di sentimenti e dubbi, che dissimula eventuali sofferenze dell'anima, l'altra, dei novizi ribelli, che si basa sulla forza dell'amore, sulla comprensione e sulla pietas provata nei confronti del sofferente (guarda caso solo i due novizi che abbandonano il convento assistono e condividono la sofferenza del morente in infermeria). Quale sarà la via migliore per arrivare a Dio? Quella che integra, dissolvendolo, l'individuo nella grande madre chiesa "che ha sempre un posto per ciascuno di noi", come ci dice nelle battute finali il protagonista che, con la metaforica scena della chiusura delle ante del portone della basilica, forse ci vuole anche dire che una siffatta chiesa è comunque chiusa nei confronti del mondo e vive nel suo continuo autorefenzialismo.
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Un film su due diverse di interpretazioni della spiritualità conventuale cristiana: una, istituzionale, basata su una severa ascesi e sull'annullamento della personalità per servire meglio la chiesa, una via priva di sentimenti e dubbi, che dissimula eventuali sofferenze dell'anima, l'altra, dei novizi ribelli, che si basa sulla forza dell'amore, sulla comprensione e sulla pietas provata nei confronti del sofferente (guarda caso solo i due novizi che abbandonano il convento assistono e condividono la sofferenza del morente in infermeria). Quale sarà la via migliore per arrivare a Dio? Quella che integra, dissolvendolo, l'individuo nella grande madre chiesa "che ha sempre un posto per ciascuno di noi", come ci dice nelle battute finali il protagonista che, con la metaforica scena della chiusura delle ante del portone della basilica, forse ci vuole anche dire che una siffatta chiesa è comunque chiusa nei confronti del mondo e vive nel suo continuo autorefenzialismo.
Oppure è più vera la via scelta da Zanna, che lascia il convento e si incammina in una direzione che "sarà sempre opposta alla chiesa" così come concepita (simbolica l'ultima scena che fa intravedere il "cupolone" da cui Zanna si allontana con il sottofondo di una canzone religiosa africana) che, nella piena realizzazione dell'individuo attraverso l'amore che prova nei confronti del prossimo e della vita, riesce (forse)ad incontare Dio.
Sembrerebbero questi temi già a lungo dibattutti e quindi vecchi e ripetuti, ma invece, alla luce delle recenti posizioni della Chiesa ufficiale, ritornano quanto mai attuali e controversi. Forse l'autore si domanda dove va oggi la Chiesa, è l'amore l'elemento principe ed assoluto che dovrebbe informare le azioni e le idee di ogni prete, dal novizio al Papa, o sono solo rimaste le vestiga di riti ormai svuotati di ogni reale valore? E' un bel sasso nello stagno che lancia Saverio Costanzo, che piuttosto che dimenarsi sui temi caldi che oggi le gerarchie ecclesiastiche stanno affrontando (dico, pacs, fecondazione assistita, etc.), vuole invece calarsi in quelle che sono le origini della formazione di un "soldato della chiesa", in quel mondo così lontano dai riflettori del mondo, dove si creano nuove coscienze, nuove concezioni, dove si tempera l'individuo in modo da affrontare ogni dubbio personale come una battaglia piuttosto che come un'occasione di crisi e di crescita.
Sarà forse questa la forza della chiesa, che chiede a ciascun sacerdote un addestramento psicologico degno del più intrepido corso di sopravvivenza. Una cosa fa riflettere più di tutto, è la forte tempra dei due padri ai vertici del seminario, gli sguardi duri ed inossidabili, quasi da marines veterani di tante battaglie, nei loro cuori non alberga comprensione ma durezza, le loro incitazioni sono volte alla delazione tra seminaristi piuttosto che ad cameratismo compassionevole, per loro chi lascia il convento non esiste più, deve essere più menzionato ne ricordato, non è stata una scelta, ma ha deciso la famiglia ....
Quando ho assistito alla scena dell'umiliazione del novizio, dove ogni compagno criticava (per usare un eufemismo) il protagonista Andrea, per un momento il pensiero è andato ad un campo di rieducazione che si sarebbe potuto trovare in Cambogia, o in Cina o in qualsiasi posto maledetto di questo martoriato mondo, è capitato anche a voi?
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darko
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domenica 11 marzo 2007
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giovani allo sbando... in chiave spirituale
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Girato in modo impeccabile, "In Memoria di Me" ricava una potenza d'immagini da pochissimi elementi, fra l'altro ossesivamente ripetuti, che si muovono o non si muovono all'interno della Basilica veneziana in cui il film si svolge. Ci sono le regole severe dei padri superiori, ci sono le ubbidienze dei novizi servizievoli e taciturni e poi ci sono gli spiriti "ribelli" dei tre protagonisti. Andrea, Zanna e un terzo (di cui ora non ricordo il nome), che si sente all'inizio del film come presenza disturbante all'interno della comunità gesuitica. Il ragazzo prende di notte e scompare dal monastero, dopo aver sbattuto la testa (letteralmente) un po' dappertutto, deluso dalle ideologie che regnano in quel mondo.
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Girato in modo impeccabile, "In Memoria di Me" ricava una potenza d'immagini da pochissimi elementi, fra l'altro ossesivamente ripetuti, che si muovono o non si muovono all'interno della Basilica veneziana in cui il film si svolge. Ci sono le regole severe dei padri superiori, ci sono le ubbidienze dei novizi servizievoli e taciturni e poi ci sono gli spiriti "ribelli" dei tre protagonisti. Andrea, Zanna e un terzo (di cui ora non ricordo il nome), che si sente all'inizio del film come presenza disturbante all'interno della comunità gesuitica. Il ragazzo prende di notte e scompare dal monastero, dopo aver sbattuto la testa (letteralmente) un po' dappertutto, deluso dalle ideologie che regnano in quel mondo. Andrea fino a quel momento rimane testimone silenzioso, ma curioso. Infine viene messo sotto una cattiva luce quando uno dei padri superiori, il Maestro (interpretato dal sempre bravo Marco Baliani), capisce la sua anima rivoluzionaria. I compagni cominciano a guardarlo male. Andrea viene chiamato ad esporre le sue riflessioni e teorie, spiccatamente contrastanti con gli ideali dei superiori, e gli risponde a tono il compagno Zanna (il grande Filippo Timi, attore più che altro di teatro, visto in questi stessi giorni in un ruolo di sfondo nel film di Ozpetek), il quale vede benissimo la sua paura e incertezza e lo invita ad essere più "amorevole".
I due, seppur diversi, taciturnamente si inseguono e incontrano nei corridoi bui del monastero, di notte, per confidarsi le loro angosce esistenziali.
C'è poi la presenza misteriosa di un malato o una malata (non si capisce il sesso), di cui non viene assolutamente chiarita l'identità, che scuote Zanna al momento della sua morte.
Egli decide di andarsene, in seguito, completamente allo sbando, Andrea decide di seguirlo, stanco della finzione che gli sembra di aver messo in atto al momento della scelta monastica.
Nella penultima scena il Padre superiore ammonisce il novizio Zanna mettendo in risalto i pregi e, indirettamente, i difetti della vita religiosa, sopratutto quelli. Zanna se ne va comunque, zittendolo con un bacio sulla bocca, e fa il suo ritorno nel mondo.
Andrea, che ha assistito alla scena in disparte e segretamente, ha un'ulteriore ripensamento e forse la sua "illuminazione".
Nel finale lo vediamo rientrare nella Basilica sul Lido veneziano dicendoci che ha deciso di portare avanti il suo progetto in cui sente di essersi imbarcato per una giusta causa e perchè ormai sente di aver stabilito un contatto diretto con Dio. Finale che suggerisce dunque un distaccamento spirituale dalla vita del monastero per favorire un avvicinamento alla vera essenza della fede, che si può avere o meno.
La fede è un po' come l'amore, quando te la ritrovi davanti non ci vedi più e ti affidi totalmente ad essa.Io credo che a suo modo questo film sia un film generazionale perchè racconta i giovani estremamente incerti di oggi e che vanno alla ricerca di qualcosa di estremo e assoluto, che li protegga e che allo stesso tempo li liberi. Impresa impossibile, ma del resto è questo che l'uomo è nato per fare.
Il film, come ha detto qualche critico o giornalista che ho letto, è asciutto, dunque efficace. Ambienti, fotografia e musiche sono puri, incontaminati, sacri, ma nel senso laico della parola. Il film è magnetico e coinvolgerà sicuramente quel pubblico in grado di ragionare, al di là della propria opinione in fatto di fede e religione.
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mamo62
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sabato 17 marzo 2007
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ottimo film
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Con questa bellissima pellicola Saverio Costanzo entra di diritto nella sfera del cinema italiano d’autore più considerevole, gia’ forte dell’opera prima “Private” e ulteriormente rafforzato da questa difficilissima prova di carattere etico-religioso con la quale si e’ cimentato. Il film (non breve, al limite delle due ore) offre un’atmosfera dilatata e intensissima insieme, un ritmo che, solo in apparenza molto lento, tiene continuamente tesi e sospesi, costantemente impegnati nello sforzo di inseguire le meditazioni, le tensioni interiori, le ragioni di ciascun personaggio. Ricco, ambizioso, quasi una tesi di laurea in teologia, il film propone innumerevoli spunti e personaggi calati nel marziale ambito dei padri gesuiti, veri soldati della fede forniti delle armi piu’ micidiali (disciplina di ferro, la delazione come carita’, la menzogna come atto di pietà, l’annullamento estremo dell’ego): Andrea, il protagonista (Hristo Jivkov), cerca di diventare “una persona” dopo che il successo mondano lo aveva lasciato svuotato di valori; Fausto, suo vicino di cella, mistico all’estremo, rasente alla follia, strabordante rispetto ad ogni regola ed a qualsiasi dottrina (spettacolare la scena della sua dipartita dal convento, realizzata sotto una luce surreale e fantascentifica); Zanna (Filippo Timi, straordinario come sempre), docile e impaurito, troppo innamorato dell’amore per sopportare la logica della fede militare imposta dal noviziato.
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Con questa bellissima pellicola Saverio Costanzo entra di diritto nella sfera del cinema italiano d’autore più considerevole, gia’ forte dell’opera prima “Private” e ulteriormente rafforzato da questa difficilissima prova di carattere etico-religioso con la quale si e’ cimentato. Il film (non breve, al limite delle due ore) offre un’atmosfera dilatata e intensissima insieme, un ritmo che, solo in apparenza molto lento, tiene continuamente tesi e sospesi, costantemente impegnati nello sforzo di inseguire le meditazioni, le tensioni interiori, le ragioni di ciascun personaggio. Ricco, ambizioso, quasi una tesi di laurea in teologia, il film propone innumerevoli spunti e personaggi calati nel marziale ambito dei padri gesuiti, veri soldati della fede forniti delle armi piu’ micidiali (disciplina di ferro, la delazione come carita’, la menzogna come atto di pietà, l’annullamento estremo dell’ego): Andrea, il protagonista (Hristo Jivkov), cerca di diventare “una persona” dopo che il successo mondano lo aveva lasciato svuotato di valori; Fausto, suo vicino di cella, mistico all’estremo, rasente alla follia, strabordante rispetto ad ogni regola ed a qualsiasi dottrina (spettacolare la scena della sua dipartita dal convento, realizzata sotto una luce surreale e fantascentifica); Zanna (Filippo Timi, straordinario come sempre), docile e impaurito, troppo innamorato dell’amore per sopportare la logica della fede militare imposta dal noviziato. E poi il Padre Superiore, scelta azzeccatissima dell’attore Andre’ Hennike il cui fortissimo accento tedesco così efficacemente lo rimanda alla voce ufficiale della chiesa oggi guidata da papa Ratzinger, e il Padre Maestro (Marco Baliani) la cui freddezza e risolutezza sfiorano il limite dell’irritazione.
Condito da una scelta sonora efficacissima(non solo musicale, i valzer e le polke diffusi duranti i pasti e così stridenti rispetto all’atmosfera iper-seriosa dell’ambiente, i cupi canti gregoriani, ma soprattutto e anche i lunghissimi silenzi che azzerano le pochissime parole che i protagonisti si scambiano tra loro), inscenato sulla metaforica isola di San Giorgio a Venezia (fortissima la sensazione di essere contemporaneamente isolati e addentrati nella mondanita’, vedasi la scena dei fuochi d’artificio, o l’inquietante ripetuto passaggio dell’immensa e assordante nave da crociera appena fuori dai vetri, feticcio di libertà imprigionante e imprigionata) in uno dei tanti splendidi monumenti architettonici della laguna veneta, il film raggiunge elevatissimi picchi di interiorità e misticismo (la presenza misteriosa nell’infermeria, mai disvelata, forse Cristo stesso, o la morte?) che scuotono notevolmente le menti e le sensibilita’ degli spettatori.
Presentato al Fesitval di Berlino del 2007 (unica presenza italiana), il film ha ricevuto critiche dozzinali da parte di coloro che hanno saputo vedervi solo l’ossessiva relazione e il deleterio rapporto (ma come dar torto a costoro?) degli italiani con la Chiesa cattolica, o riferimenti omof-ili/obi suggeriti dalla scena del bacio con cui Zanna si congeda dal Padre Superiore, dimenticando di vedervi la sublime lezione che quest’ultimo apprende dal suo “discepolo” e dimenticando la inestricabile complessita’ insita in ogni scelta estrema, sia essa di fede religiosa come di qualsiasi altra estrema scelta esistenziale.
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olga di comite
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giovedì 22 marzo 2007
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un tema d'attualità
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Senza essere irriverente definirei questo bellissimo film un thriller spirituale, anche se il racconto è complesso e a volte sfuggente, quindi difficile da definire. Allora perché tentare una formula? Perché, tra le molte facce, mi ha colpito la capacità dell’autore di tenere in tensione, di creare suspence con un’opera di pochissimi fatti. il diffuso desiderio di silenzio e meditazione che il correre caotico e competitivo delle vite reclama sempre più spesso. La bravura indiscussa di Saverio Costanzo sta nell’aver rappresentato in immagini concetti astratti e ardui, creando una suggestione profonda con la scelta del luogo. Siamo a San Giorgio Maggiore a Venezia, i muri conventuali sono a pelo d’acqua.
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Senza essere irriverente definirei questo bellissimo film un thriller spirituale, anche se il racconto è complesso e a volte sfuggente, quindi difficile da definire. Allora perché tentare una formula? Perché, tra le molte facce, mi ha colpito la capacità dell’autore di tenere in tensione, di creare suspence con un’opera di pochissimi fatti. il diffuso desiderio di silenzio e meditazione che il correre caotico e competitivo delle vite reclama sempre più spesso. La bravura indiscussa di Saverio Costanzo sta nell’aver rappresentato in immagini concetti astratti e ardui, creando una suggestione profonda con la scelta del luogo. Siamo a San Giorgio Maggiore a Venezia, i muri conventuali sono a pelo d’acqua. Fuori si svolge la vita della città lagunare. Frammenti di essa passano dietro i vetri dell’ampio corridoio su cui danno le stanzette dei novizi, con effetti stranianti sottolineati dal rigore della fotografia e dalla altrettanto rigida osservanza delle regole monastiche, musicalmente sottolineate da rapide incursioni nella melodica ossequiosità dei valzer viennesi. Dentro, soprattutto la sera, in quegli ambienti tirati a lucido, quasi scivolano senz’altro peso che non sia quello dei loro dubbi, le figure dei protagonisti. Il mistero la fa da padrone. I drammi rimangono intuiti ma non dichiarati. Parlano le citazioni tratte dai libri sacri e i pochi dialoghi sostenuti di volta in volta dal fuoco freddo della ragione o dalla passione di chi ha avuto d’istinto la rivelazione dell’amore del Cristo. Il racconto si dipana tra questi due modi di vivere la fede. A rappresentarli, l’impassibile, ma non troppo, Andrea (Cristo Jivkov, già visto nel Mestiere delle armi di Olmi), e l’inquieto e ardente Zanna (Filippo Timi). Aleggia anche una rarefatta omosessualità che sfiora un altro tormentato personaggio. C’è poi l’ascetico e machiavellico Padre superiore (André Hennike) che, insieme al Padre maestro (Marco Baliani), rappresenta tutta la tradizione gesuitica degli esercizi spirituali, della ricerca di una specie di atarassia rispetto al terreno, dell’arte della dissimulazione e del silenzio imposto. Alla chiarezza, anche se non rigida e inumana, del loro credo, si contrappone il mistero che aleggia nel convento, sia che abbia come sfondo l’abbagliante chiarore delle soste nel chiostro, sia il buio interrotto da riflessi di luce nel corridoio. L’impossibilità di capire fino in fondo la realtà è simboleggiata anche da un giovane morente nell’infermeria del convento (imitazione del Cristo o immagine della sofferenza umana?) che Zanna assiste amorevolmente di notte.
La morale del film emerge nelle belle e coinvolgenti sequenze finali: la libertà di scegliere il proprio destino è il dono più grande fatto da Cristo all’umanità. Per Andrea, consapevole di non essere capace d’amore, ma che si sente predestinato dalle sue scelte razionali a rimanere nel convento, il portone sull’acque della laguna si chiude; per Zanna si riapre, per tornare all’amore del mondo. Allo spettatore resta l’invito alla meditazione, la più profonda possibile, e l’eco dei canti mistici e gregoriani, frutto di una scelta precisa e personalissima dell’autore.
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gigi
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mercoledì 21 marzo 2007
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lucidi pavimenti dell'anima
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i lucidi pavimenti del corridoio ora lunghissimo e infinito ora ristretto e claustrofobico rispecchiano non solo le ombre dei corpi che si muovono nel silenzio ma anche quelle delle anime o degli animi per usare un termine più laico. è tutto li. su quel pavimento. che rispecchia la fredda passione di andrea, quella tiepida di zanna, quella calda che fa sbattere la testa al muro. quella contrita e indifferente degli altri che non hanno voce per un silenzio nè imposto nè scelto. semplicemente perchè non hanno niente da dire. i lucidi pavimenti rispecchiano la fede anch'essa a temperature progressive. non emerge dalle freddure dei marmi nè la falsa passione ad un cristo percepito come sposo o compagno o dio-a-cui-tutto-l'essere-è votato, nè ad un cristo-dio-austero-e-giudice.
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i lucidi pavimenti del corridoio ora lunghissimo e infinito ora ristretto e claustrofobico rispecchiano non solo le ombre dei corpi che si muovono nel silenzio ma anche quelle delle anime o degli animi per usare un termine più laico. è tutto li. su quel pavimento. che rispecchia la fredda passione di andrea, quella tiepida di zanna, quella calda che fa sbattere la testa al muro. quella contrita e indifferente degli altri che non hanno voce per un silenzio nè imposto nè scelto. semplicemente perchè non hanno niente da dire. i lucidi pavimenti rispecchiano la fede anch'essa a temperature progressive. non emerge dalle freddure dei marmi nè la falsa passione ad un cristo percepito come sposo o compagno o dio-a-cui-tutto-l'essere-è votato, nè ad un cristo-dio-austero-e-giudice. è tutto un noviziato. un noviaziato del proprio sè prima che del proprio sè-in-rapporto-al-dio. il dio è ancora troppo nel fondo, come afferma il superiore, e aspetta solo un silenzio assoluto per emergere. il dio è ancora in là. e questo dio-sospeso è, secondo me la sensazione più mistica che saverio abbia potuto rappresentare. un dio-sospeso che per motivi diversi interroga e promuova riflessioni. un dio che "sta alla porta e bussa" che non è ancora entrato nè nelle menti nè negli animi, nè è percepibile sui pavimenti lucidi. via immagini di santi e dei, via preghiere, via candele. sobrio. per lasciare spazio a sguardi che rispecchiano animi, sensazioni, pensieri. ancora troppo umani. contrapposti non a quelli di icone o statue, ma a quelli freddissimi di un superiore che non riesce a mostrare neanche lui la passione del dio in cui crede, preso comè a barrica tra i suoi muscoli (quelli del viso specialmente) i suoi di timori e di paure che l'hanno consumato. è un incontro freddo quello dei novizi con il dio loro proposto. non serio. freddo. e nel caso in cui quell'immagine riflessa corrisponde e placa timori e paure, ecco l'incantesimo di sorrisi che appiono su volti rilassati e chiusure di portoni di chiese alle spalle. ma nel caso in cui a rispecchiarsi è un dio-lontano dalle paure e dai timori, ecco l'allontanamento e la provocazione. nè l'uno nè l'altro modo rappresenta quel "rinnegare sè stesso" quel costante dimenticare sè stesso con lo sgurado rivolto non troppo in alto, ma affianco.
meriti a costanzo per aver proposto una lettura laica degli animi, anzi no, semplicemente umana. perchè umano, squisitamente umano è il modo che dio sceglie per chiamare. perchè nessuno se non il dio saprebbe spiegare i movimenti degli animi che si aggirano in quei corridoi. e il senso e il significato degli allontanamenti e degli avvicinamenti, degli sguardi e dei moti delle viscere sono in tutto che è difficile da cogliere in un momento storico quando la storia è ancora in movimento.
meriti a costanzo per l'elogio della sospensione del dio, degli animi, del giudizio. per avere descritto uomini che hanno vissuto se stessi muovendosi in lucidi pavimenti dell'anima.
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giorgio camisani
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domenica 11 novembre 2007
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indagini sul senso della fede
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Il film, liberamente ispirato al romanzo Il gesuita perfetto di Furio Monicelli e rieditato con il titolo Lacrime impure, racconta la storia di una vocazione o, più precisamente, è un’indagine sui concetti di vocazione e di fede. Attraverso le vicende interiori del protagonista, un novizio che entra in seminario, si pongono allo spettatore alcune domande ed alcuni dubbi e lo si lascia padrone di trovare una propria personale risposta. L’impostazione del film è di una vera e propria investigazione morale, dove le contrastanti interpretazioni sul senso della fede cristiana rientrano comunque in uno sguardo autoriale metafisico, che afferma in ogni caso la fede in una trascendenza, attraverso un linguaggio cinematografico freddo e rigoroso.
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Il film, liberamente ispirato al romanzo Il gesuita perfetto di Furio Monicelli e rieditato con il titolo Lacrime impure, racconta la storia di una vocazione o, più precisamente, è un’indagine sui concetti di vocazione e di fede. Attraverso le vicende interiori del protagonista, un novizio che entra in seminario, si pongono allo spettatore alcune domande ed alcuni dubbi e lo si lascia padrone di trovare una propria personale risposta. L’impostazione del film è di una vera e propria investigazione morale, dove le contrastanti interpretazioni sul senso della fede cristiana rientrano comunque in uno sguardo autoriale metafisico, che afferma in ogni caso la fede in una trascendenza, attraverso un linguaggio cinematografico freddo e rigoroso. Il tema del film è lo stesso trattato da Ermanno Olmi in Centochiodi, ma se là non si riesce ad andare oltre alla spettacolarità della rappresentazione dei libri inchiodati e dei paesaggi, qui con In memoria di me si scava nei contenuti, ci si interroga, ed anche visivamente il film risulta maestoso ed intenso, appunto perché filtrato da un occhio metafisico.
Un giovane uomo, come folgorato da un’illuminazione, non si riconosce più nel modello umano nel quale si è sempre identificato: sente la necessità di aprirsi alla trascendenza, a Dio, ad punto di riferimento assoluto per la propria vita. Fa così richiesta di entrare in convento, che si presume sia un seminario di gesuiti e che si scoprirà essere situato sull’isola di San Giorgio a Venezia.
La giornata dei novizi è strutturata rigidamente, scandita da una sequenza di azioni ritualizzate, incentrate sulla meditazione, la preghiera ed una severa disciplina di vita fatta di abnegazione, solitudine, essenzialità, silenzio, ma non di quiete. Infatti, all’interno del convento si respira un’atmosfera sinistra, dove prevale il sospetto tra i superiori ed i novizi, tra i novizi stessi e soprattutto tra il protagonista (Andrea) e lo spazio, fisico e spirituale, del convento...
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riccardo
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sabato 4 agosto 2007
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in memoria di dostoevskij
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il protagonista Andrea sta leggendo 'i fratelli karamazov'(edizione einaudi) prima di coricarsi a letto, in una parte iniziale del film. Non si vede abbastanza chiaramente il titolo ma, dal momento che anch'io sto leggendo quel libro, posso assicurare che si tratta di dostoevskij. Inoltre la conversazione finale richiama alcune tematiche trattate nel capitolo 'il grande inquisitore'. Il capitolo si conclude con il bacio improvviso di alesa verso il fratello scettico ivan, e ha valenza di una dimostrazione pratica e attiva di cosa sia l'amore. Alla luce di questa citazione da parte di costanzo va, a mio parere, letto quel bacio finale che ha colpito tutti a giudicare dall'importanza che in ogni sinossi o recensione gli si attribuisce.
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il protagonista Andrea sta leggendo 'i fratelli karamazov'(edizione einaudi) prima di coricarsi a letto, in una parte iniziale del film. Non si vede abbastanza chiaramente il titolo ma, dal momento che anch'io sto leggendo quel libro, posso assicurare che si tratta di dostoevskij. Inoltre la conversazione finale richiama alcune tematiche trattate nel capitolo 'il grande inquisitore'. Il capitolo si conclude con il bacio improvviso di alesa verso il fratello scettico ivan, e ha valenza di una dimostrazione pratica e attiva di cosa sia l'amore. Alla luce di questa citazione da parte di costanzo va, a mio parere, letto quel bacio finale che ha colpito tutti a giudicare dall'importanza che in ogni sinossi o recensione gli si attribuisce.
Belle immagini, la decisione finale del protagonista mi è apparsa poco comprensibile, immediata e improvvisa, come una folgorazione. Ma poco chiara. Chissà,alla fine probabilmente è proprio questa l'espressione della fede...
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roberto
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lunedì 20 agosto 2007
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preti e marines
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In memoria di me" di Saverio Costanzo è il film più kubrickiano che mi sia mai capitato di vedere e non solo nel cinema italiano e nonostante i temi trattati siano più affini a Bergman che a Kubrick. E' kubrickiano nella struttura (tutta la prima parte mi ha fatto fortissimamente pensare alla prima parte di Full Metal Jacket), nell'uso della macchina da presa (movimenti di macchina, inquadrature, l'uso geometrico dello spazio), nel montaggio e nell'uso delle musiche. Durante la visione la gioia che provano gli occhi ed il cervello è tale che le aspettative sono altissime; forse è per questo che quando giunge il finale nasce un po' di delusione. Non perchè il finale sia brutto, anzi; è solo che l'impressione è che sia un po' facile e consolatorio.
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In memoria di me" di Saverio Costanzo è il film più kubrickiano che mi sia mai capitato di vedere e non solo nel cinema italiano e nonostante i temi trattati siano più affini a Bergman che a Kubrick. E' kubrickiano nella struttura (tutta la prima parte mi ha fatto fortissimamente pensare alla prima parte di Full Metal Jacket), nell'uso della macchina da presa (movimenti di macchina, inquadrature, l'uso geometrico dello spazio), nel montaggio e nell'uso delle musiche. Durante la visione la gioia che provano gli occhi ed il cervello è tale che le aspettative sono altissime; forse è per questo che quando giunge il finale nasce un po' di delusione. Non perchè il finale sia brutto, anzi; è solo che l'impressione è che sia un po' facile e consolatorio. Avesse avuto un finale aperto e geniale come quello di "Luci d'inverno" di Bergman il 10 e lode se lo sarebbe meritato tutto.
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stefano capasso
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lunedì 6 luglio 2015
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il mistero come istanza suprema
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Andrea ha una vita agiata, ha tutto ma sente che gli manca la capacità di amare. Entra in un seminario gesuita su in isolotto di Venezia e li comincia a confrontarsi con se stesso con i superiori e con gli altri novizi
In memoria di me di Saverio Costanzo è un film austero come è richiesto dal tema trattato. Ambientato tutto negli interni del convento affronta il tema della spiritualità e della fede con lo spessore di un occhio esperto della materia. Si respira dal principio e per tutta la durata del film un aria di mistero: tutti scrutano gli altri cercando di capirne le motivazioni, possibilmente i segreti e fanno, allo stesso tempo, i conti con i propri dubbi.
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Andrea ha una vita agiata, ha tutto ma sente che gli manca la capacità di amare. Entra in un seminario gesuita su in isolotto di Venezia e li comincia a confrontarsi con se stesso con i superiori e con gli altri novizi
In memoria di me di Saverio Costanzo è un film austero come è richiesto dal tema trattato. Ambientato tutto negli interni del convento affronta il tema della spiritualità e della fede con lo spessore di un occhio esperto della materia. Si respira dal principio e per tutta la durata del film un aria di mistero: tutti scrutano gli altri cercando di capirne le motivazioni, possibilmente i segreti e fanno, allo stesso tempo, i conti con i propri dubbi. Ed è proprio il mistero che il superiore del convento rivela nel finale come motivo fondamentale al dubbioso Andrea. Il mistero è l’istanza primaria, precedente alla capacità di amare, e provare un sentimento reale. E’ l’atto di fede supremo che accetta il proprio destino, dato dalle proprie capacità e inclinazioni. Questo permette il compimento della propria vita in modo completo, che è quello per cui ognuno è stato chiamato all’esistenza.
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stefania muzio
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giovedì 3 maggio 2007
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il tormento interiore
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Nonostante i tanti difetti, come una sceneggiatura fragile, una certa presunzione, ed un finale affrettato, il film resta una pellicola affascinante, coinvolgente ed a tratti ipnotica.
Efficace la cifra stilistica "Bressoniana" che fa del silenzio l'elemento di lettura chiave di tutto il film. Forte l'eloquenza dei volti e degli sguardi e degli oggetti ripresi magnificamente. Bellissimi i giochi di ombre e di luci, per nulla gratuiti. Il tema è difficile, e a tratti la presunzione di Costanzo secondo me è tanta, ma il tentativo di dare voce al tormento interiore è comunque forte e autentico.
Peccato il finale così affrettato!
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