ele
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domenica 9 dicembre 2007
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bellissimo
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veramente stupendo...fa riflettere ma non è il solito film strappalacrime..
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nena
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martedì 20 novembre 2007
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e' stupendo
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io qst film"le chiavi di casa" l'ho visto precisamente in 3 media.. qnd vale a dire ben 2 anni fa.. mi e' rimasto impresso.. non ci sn parole.. e' stupendo , davvero stupendo
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albsorge@yahoo.it
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mercoledì 18 luglio 2007
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le chiavi di cosa?
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Sento, osservo e respiro quella frase che mi rimbomba nelle orecchie e mi produce fastidiosi pensieri di vendetta; "è uno di quei film che rimangono dentro"-dicono in molti.
Cosa vuol dire "è uno di quei film che rimangono dentro?". Anche 'Natale sul Nilo', 'Fusi di testa' e imbarazzanti opere di Muccino sono film che rimangono dentro...nel senso letterale del termine..rimangono dentro in quanto terribili ricordi di orrenda espressione di come non si fa il cinema.
Fatta questa doverosa (per me) premessa (rivolta a tutti quelli a cui "i film rimangono dentro") cercherò di analizzare il film di Amelio e di analizzare le mie discordanti reazioni.
Ritengo le mie impressioni molto contradittorie, come è contradditorio questo film, riuscito a metà.
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Sento, osservo e respiro quella frase che mi rimbomba nelle orecchie e mi produce fastidiosi pensieri di vendetta; "è uno di quei film che rimangono dentro"-dicono in molti.
Cosa vuol dire "è uno di quei film che rimangono dentro?". Anche 'Natale sul Nilo', 'Fusi di testa' e imbarazzanti opere di Muccino sono film che rimangono dentro...nel senso letterale del termine..rimangono dentro in quanto terribili ricordi di orrenda espressione di come non si fa il cinema.
Fatta questa doverosa (per me) premessa (rivolta a tutti quelli a cui "i film rimangono dentro") cercherò di analizzare il film di Amelio e di analizzare le mie discordanti reazioni.
Ritengo le mie impressioni molto contradittorie, come è contradditorio questo film, riuscito a metà.
Lo sappiamo che l'handicap fisico ci intenerisce, ci fa paura, ci fa riflettere..insomma ci smuove.
Sappiamo anche che vedere recitare un bambino con gravi disfunzioni fisiche e mentali non può lasciarci indifferenti,se non siamo 'mostri di Dusseldorf' o cinici e spietati uomini di pietra.
Grande, straordinario Andrea Rossi; penso alla sofferenza che abbia provato nel vedere una telecamera addosso, nell'essere sezionato senza pietà, nel provare e riprovare scene sbagliate, nel rendersi conto, una volta di più, di non potere essere come gli altri.
E'vero, questa è la realtà e Gianni Amelio lo sa. Un regista che ha fotografato e catturato la realtà in maniera magistrale in molti altri suoi film. Qua fa lo stesso,con una differenza però sostanziale: non c'è un filtro, una velatura (scelta voluta ovviamente) tra noi e la storia che ci è presentata; non voglio pensare che sia stata una scelta razionale e furba quella di giocare con i sentimenti e la pietà del pubblico, come non posso sottrarmi a una serie di domande che mi continuano a tempestare la testa.
Ci sono momenti di alto cinema, questo è indubbio; Kim Rossi Stuart è l'attore più bravo di quella generazione, questa pellicola è una consacrazione per lui, non certo una scoperta. E'un padre che si vergogna di farsi vedere con il figlio disabile, è un uomo che ha paura di quel ragazzo così "diverso".
Amare quel ragazzino sembra essere più un atto dovuto (l'ha abbandonato appena nato perchè dopo il parto è morta la sua compagna)che un reale slancio d'amore e questa è una straordinaria scelta da parte del regista per sconfiggere il luogo comune e non cadere in facili e patetiche redenzioni. E'indispensabile spendere almeno una parola per una Charlotte Rampling priva di speranze, che alle volte si augura la morte della figlia che non riesce neanche a parlare; una donna che riesce a trasmettere il calore materno e il mal celato desiderio di far scomparire tutto nella sua vita.
Ci sono silenzi che piacciono, frasi di Andrea che quasi non si capiscono, difficoltà anche di esprimersi (l'ospedale si trova a Berlino).
C'è un'incomunicabilità di fondo che, a sua volta, lascia noi senza parole.
D'altro canto c'è un viaggio in Finlandia che sa tanto di fiaba buttata lì, c'è un padre che ritrova la voglia di ridere e lancia la stampella del figlio nel mare (adesso Andrea camminerà? non scherziamo..).
In questo ondeggiare tra cose riuscite, cose meno riuscite e cose da tralasciare si arriva al viaggio di ritorno che intraprendono padre e figlio in macchina(il momento più poetico). Andrea prima canta, poi suona il clacson, lo risuona, muove il volante, suo padre gli dice di smetterla, lui continua, continua all'infinito. Il padre si ferma a piangere.
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mary92
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martedì 30 gennaio 2007
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la dura realtà
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Una capolavoro, un film che fa commuovere, mette di fronte ai brutali problemi veri, in alcune parti addirittura commovente.
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the kontestator
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giovedì 25 gennaio 2007
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solidarietà di cartone...
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...e belle parola:null'altro in questo film!
Gianni Amelio è sempre stato considerato da me come un ottimo regista:film quali "Porte Aperte" e "Lamerica" sono davvero molto ben fatti e realisti.
Ma questo film abassa tutta la stima che provavo nei suoi confronti.
Prima di tutto alcune scene le trovo solo ed esclusivamente come una polpetta di buonismo e romanticume.
Per lo più il film è composto da un insieme di dialoghi sentimentali tra il padre e il figlio.
Veramente orribile e anche poco rispettoso nei confronti dei menomati a mio giudizio! 1 su 5
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joefrost
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mercoledì 20 settembre 2006
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impariamo ad amare
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Gianni Amelio ci regala il suo film più bello, più intenso. La storia di un padre (Rossi Stuart, ottimo attore drammatico e vincitore meritato di un globo d'oro) che decide di incontrare per la prima volta il suo primo figlio, portatore di handicap (uno straordinario Andrea Rossi). Insieme fanno un viaggio che li porterà fino ai fiordi della Norvegia, e nonostante anni di silenzio assoluto, Gianni imparerà ad amare quel figlio abbandonato in fasce dopo la morte della compagna durante il parto.
Il film è intenso, per niente retorico, le musiche accompagnano in maniera impeccabile il dipanarsi della vicenda, Charlotte Rampling regala la sua classe e la sua intensità al film, Pierfrancesco Favino lascia il segno (e conquista un ciak d'oro) pur restando in scena pochi minuti.
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Gianni Amelio ci regala il suo film più bello, più intenso. La storia di un padre (Rossi Stuart, ottimo attore drammatico e vincitore meritato di un globo d'oro) che decide di incontrare per la prima volta il suo primo figlio, portatore di handicap (uno straordinario Andrea Rossi). Insieme fanno un viaggio che li porterà fino ai fiordi della Norvegia, e nonostante anni di silenzio assoluto, Gianni imparerà ad amare quel figlio abbandonato in fasce dopo la morte della compagna durante il parto.
Il film è intenso, per niente retorico, le musiche accompagnano in maniera impeccabile il dipanarsi della vicenda, Charlotte Rampling regala la sua classe e la sua intensità al film, Pierfrancesco Favino lascia il segno (e conquista un ciak d'oro) pur restando in scena pochi minuti.
Amelio ci insegna a voler bene a chi è diverso da noi, la vergogna a volte ci rende egositi, intolleranti, ma non dimentichiamo che intorno a noi c'è tanta gente che ha bisogno di una mano, per quanto tempo saremmo disposti a far finta di nulla, a pensare solo a noi stessi?
Ognuno di noi ha diritto di vivere il più a lungo possibile, certo, mi rendo conto che non sempre sia facile vivere accanto a chi ha dei problemi fisici e/o mentali, ma queste persone ci possono insegnare tanto, a volte ci fanno paura, ma non ci rendiamo conto dell'amore che possono e che devono trasmettere!
La pellicola avrebbe meritato un bel premio a Venezia nel 2004, ma purtroppo è andata male (come quest'anno a "La stella che non c'è"), peccato, comunque resta un piccolo garnde film, un gioiello che può impreziosire la nostra vita in senso mentale e spirituale.
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gianpaolo
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mercoledì 9 novembre 2005
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gianni amelio
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Attraverso una sottile chiave anticonvenzionale ed intimista,.. Amelio affronta una tematica tanto delicata quanto complicata,....evidenziando in modo asciutto la struggente ambivalenza da cui sono afflitti i personaggi.
Pur non toccando i livelli di "Porte-aperte",..il regista allestisce una messinscena laica piuttosto convincente,..al cui epilogo fa da sfondo il pianto discreto e disperato del protagonista, dal quale affiora un sottile ed inesorabile senso di assenza.
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ciclope strabico
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giovedì 27 ottobre 2005
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il peggio
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"Guardate questo bambino, poverino..." Questa è la trama del film. Centocinque minuti interminabili; i film lenti possono essere tranquillamente bellissimi, ma questo è tedioso, assolutamente poco significativo, una miseria. Nel cinema si può cercare di solleticare ogni sentimento, qua si cerca di colpire solo attraverso la pietà, c'è nulla di peggio. Questo è il mio parere: evitatelo.
Saluti.
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david
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lunedì 4 aprile 2005
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clamoroso passo falso di gianni amelio
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"Le chiavi di casa" è un film incoerente, incontrollato, sfuggito di mano al suo stesso artefice. Regia e recitazione vanno ognuna per conto proprio: l'esemplare asciuttezza dello sguardo, indurita dalla secchezza del montaggio e illividita dalla fotografia plumbea di Luca Bigazzi, contrasta violentemente con la stucchevolezza di una recitazione plateale, vistosa, sguaiata. Il rigore dell'impostazione semidocumentaristica è letteralmente disintegrato dal forte sapore di artificio che abita ogni spaesamento catatonico di Kim Rossi Stuart, ogni severo cipiglio di Charlotte Rampling, ogni battuta imboccata di Andrea Rossi. Per due terzi del film l'impietoso "primopianismo" di Amelio non lascia scampo agli attori, facendo precipitare ogni sequenza in una ricerca di intensità che sbanda, tanto involontariamente quanto inesorabilmente, in un'affettuosità artefatta, in un'emotività posticcia, in un calore affettato.
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"Le chiavi di casa" è un film incoerente, incontrollato, sfuggito di mano al suo stesso artefice. Regia e recitazione vanno ognuna per conto proprio: l'esemplare asciuttezza dello sguardo, indurita dalla secchezza del montaggio e illividita dalla fotografia plumbea di Luca Bigazzi, contrasta violentemente con la stucchevolezza di una recitazione plateale, vistosa, sguaiata. Il rigore dell'impostazione semidocumentaristica è letteralmente disintegrato dal forte sapore di artificio che abita ogni spaesamento catatonico di Kim Rossi Stuart, ogni severo cipiglio di Charlotte Rampling, ogni battuta imboccata di Andrea Rossi. Per due terzi del film l'impietoso "primopianismo" di Amelio non lascia scampo agli attori, facendo precipitare ogni sequenza in una ricerca di intensità che sbanda, tanto involontariamente quanto inesorabilmente, in un'affettuosità artefatta, in un'emotività posticcia, in un calore affettato. Il sentimento paterno deraglia immancabilmente nel paternalismo e un reale contatto tra i due corpi, per quanto sempre attorcigliati, non si verifica mai, comunicando una sgradevole sensazione di estraneità sul set. Il viaggio in Norvegia respira maggiormente, allargandosi la scala dell'inquadratura e la fotografia di Bigazzi indovinando toni cinerei di grande suggestione atmosferica. Ma il finale, versione riveduta e (s)corretta di quello assai più trattenuto e sassoso de "Il ladro di bambini", getta nuovamente - e definitivamente - sulla pellicola la luce sinistra dell'inautenticità, soltanto in parte riscattata dai titoli di coda, che valgono da soli più di tutte le bobine precedenti. Senz'altro la cosa migliore del film, insieme al suono in presa diretta.
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edoardo
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domenica 23 gennaio 2005
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importante!!bellissimo!!!!
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Bellissimo!!! Non mi va di scrivere una recensione ma non posso non dire che questo è un film importante,tecnicamente eccellente, spietatamente realistico ed insieme ricco secondo me di simbolismi (le stazioni...),visivamente appagante,mi è piaciuto in ogni suo aspetto e sono uscito dal cinema profondamente commosso,pensieroso,anche un po' bastonato,toccato da questi persone,da questa storia! Suonerà pure retorico,infantile ma devo ringraziare il regista per aver creato un'opera tanto forte,spietata,importante.
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