Roberto Nepoti
La Repubblica
Vincent, saldatore di mezz'età, è oppresso dalla monotona vita d'ogni giorno: sveglia alle cinque per andare in fabbrica, impegni di routine con la famiglia, nemmeno il tempo di coltivare la sua passione per la pittura. Finché, all'improvviso, l'uomo decide di lasciare la provincia francese e di andarsene a vedere il mondo. Orso d'argento per la regia al Festival di Berlino, Lunedì mattina di Otar Iosseliani è una coproduzione franco-italiana che dura 120 minuti e non ne spreca neppure uno. All'opposto di quel che si dice un film "lento", è un film sulla lentezza: si prende tutto il tempo necessario per osservare ciò che vuole osservare, e per mostrarcelo. Antico e moderno senza contraddizione, Iosseliani mette in scena una storia semplice senza esibizionismi né voglia di stupire, ma con poesia, humour e pacato pessimismo. Nella prima parte, rappresenta mondi in via di estinzione - la campagna, la fabbrica - con un affetto critico che evita gli sconfinamenti nella nostalgia. Ambienti e personaggi sono rappresentati attraverso tocchi di comicità sottile (ciò che Jacques Tati chiamava il "comico di osservazione"): il postino di paese che legge le lettere altrui, il prete che sbircia le belle parrocchiane, gli innamorati che si scambiano "messaggini" non col cellulare, ma per telegrafo. Non mancano le gag di attualità, come il tormentone sul fumo. Scelta la fuga, Vincent si ritrova in una Venezia un po' alla Pane e tulipani, tra vecchi nobiluomini eccentrici (un cammeo del regista), gondole, pittori di strada, borsaioli. Salvo poi rendersi conto che Carlo, il suo nuovo amico italiano, fa il saldatore come lui e, all'alba, lascia quel paradiso artificiale per andare - come lui - in fabbrica.
Da La Repubblica, 3 marzo 2002
di Roberto Nepoti, 3 marzo 2002