Nel solco della grande tradizione letteraria della storie delle famiglie ebree nel corso del XX secolo, da Singer a Feuchtwanger, Szabo propone un lungo film in cui racconta la saga della famiglia Sonnenschein in Ungheria; dalla gloria di un giovane e responsabile giudice durante l’impero austro ungarico, ai primi segnali di intolleranza razziale, per passare al delirio nazista e, infine, al dominio sovietico. La costante è la peculiarità della cultura ebraica, i suoi valori, cui si contrappone la diffidenza del popolo ungherese che esplode con le prime vittorie di Hitler. Il senso del film è nella scelta del nonno di modificare il nome ebraico in uno ungherese per accedere alle alti corti della giustizia ungherese; e dell’ultimo erede che nel 1956 richiede all’ufficio anagrafe di Budapest di tornare al vecchio nome Yiddish.
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Nel solco della grande tradizione letteraria della storie delle famiglie ebree nel corso del XX secolo, da Singer a Feuchtwanger, Szabo propone un lungo film in cui racconta la saga della famiglia Sonnenschein in Ungheria; dalla gloria di un giovane e responsabile giudice durante l’impero austro ungarico, ai primi segnali di intolleranza razziale, per passare al delirio nazista e, infine, al dominio sovietico. La costante è la peculiarità della cultura ebraica, i suoi valori, cui si contrappone la diffidenza del popolo ungherese che esplode con le prime vittorie di Hitler. Il senso del film è nella scelta del nonno di modificare il nome ebraico in uno ungherese per accedere alle alti corti della giustizia ungherese; e dell’ultimo erede che nel 1956 richiede all’ufficio anagrafe di Budapest di tornare al vecchio nome Yiddish. Un lungo film che cerca di avere il ritmo di un lungo romanzo, ma proprio in questo soffre il diverso strumento narrativo. E indubbiamente la carta stampata in questo è infungibile. Ottimi gli interpreti, straordinario, al solito, Ralph Finnies.
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