La mia Africa |
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Un film di Sydney Pollack.
Con Meryl Streep, Robert Redford, Klaus Maria Brandauer, Michael Kitchen, Malick Bowens.
continua»
Titolo originale Out of Africa.
Drammatico,
Ratings: Kids+16,
durata 160 min.
- USA 1985.
MYMONETRO
La mia Africa
valutazione media:
3,80
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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M. Streep in un'Africa ludica, magica e orgogliosadi Great StevenFeedback: 70023 | altri commenti e recensioni di Great Steven |
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mercoledì 30 luglio 2014 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
LA MIA AFRICA (USA/GB, 1985) diretto da SYDNEY POLLACK. Interpretato da MERYL STREEP – ROBERT REDFORD – KLAUS MARIA BRANDAUER – MICHAEL KITCHEN – MALICK BOWENS § Intelligente e romantico film che ripercorre la vita della danese Karen Blixen, futura scrittrice, che arriva a Nairobi dalla penisola natia per un matrimonio di convenienza con un barone tedesco rozzo e fatuo che la trascura. Tra le foreste tropicali e i deserti torridi e stepposi del Kenya si innamora di un avventuriero britannico idealista. Intanto conosce l’Africa e poco a poco matura, e il continente finora sconosciuto e inesplorato le offrirà alterne fortune e drammi reconditi e profondi. Pollack apre agli spettatori con l’immagine di un’Africa patinata e affascinante, pervasa da atmosfera d’epoca perfettamente ricostruite e splendidamente fotografata. Qualche lungaggine sparsa tra le sequenze ma soprattutto una superlativa prova di recitazione e ben sette premi Oscar: film, regia, musica, scenografie, sceneggiatura, suono, fotografia. Tra i film del regista è probabilmente quello più accademico: prolisso, un po’ leccato, romanticissimo, quasi un fotoromanzo. Ma denota un lirismo autentico di fondo che lo riscatta. M. Streep (felicemente doppiata da Maria Pia Di Meo) regala una delle interpretazioni più commisurate e commensurabili del suo repertorio cinematografico, incidendo con grazia ed eleganza una nobildonna aperta a nuove culture che non indietreggia di fronte ai pericoli naturali o alle incombenze di popoli ignoti tutti da scoprire; R. Redford (con la voce del proteiforme Cesare Barbetti) è un esploratore audace, spregiudicato, amabile e dotato di innegabile carisma che non ricicla affatto gli amori raccolti durante i viaggi e i cammini e sa amare con visceralità e in modo sincero e sanguigno; K. M. Brandauer, infine, è un nobiluomo seccato, irritabile e menefreghista che passa il suo tempo fra bicchieri di whisky e partite a biliardo, ignorando consapevolmente e volutamente i doveri coniugali e infischiandosene dei sentimenti puri e del gusto per l’avventura. Bravo anche M. Bowens (doppiato dal simpatico Piero Tiberi) a impersonare la paziente e risoluta guida per la protagonista attraverso i passaggi intricati e gli scenari selvaggi del Kenya alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. La sceneggiatura, scritta da Kurt Luedtke e basta sul libro omonimo (1937) di memorie di Isak Denesen, pseudonimo di K. Blixen (1885-1962), è composta di dialoghi vivaci, spunti interessanti, botta e risposta vitalmente efficaci e lunghe digressioni che offrono uno squarcio storico del periodo che non manca di dipingere con una tinta fosca e barocca l’aristocratico modo di vivere dei nobili europei nelle colonie del continente nero quando l’epoca dell’imperialismo volgeva tragicamente e inesorabilmente al termine. Il film evita comunque di scivolare nello storicismo accademico, per sua fortuna, e non pensa minimamente di trasformare un’opera pregna di un romanticismo poetico e di un equilibrio piuttosto realista e per nulla manierista in un indiscriminato documentario che snocciola uno dopo l’altro i problemi, le difficoltà e le contraddizioni di un mondo popolato tanto da uomini giusti e risorse indelebili quanto da brutalità aggressive e mutevolezze pericolose. La colonna sonora accompagna la recitazione degli attori principali con leggiadria e soavità, colpendo al cuore gli spettatori (in senso positivo, beninteso) che, forse con qualche forzatura ma certamente senza convenzionalità, sognano sulle ali della cinepresa che, con una fotografia a colori carezzevole e indaffarata, ritrae i verdeggianti paesaggi africani con tutte le diverse specie animali che li abitano senza contaminarli né distruggerli. Le scene migliori: all’inizio il treno fermato per far passare la mandria di cavalli e dove Karen incontra i vagabondi; l’arrivo alla stazione di Nairobi, col carretto che accompagna la donna alla casa colonica; la visita al villaggio Masai con tutti gli sfavillanti e luccicanti colori che caratterizzano l’umoristica e godibile scena; l’orologio a cucù osservato con curiosità dal nero interprete e quasi con timore dai bambini del villaggio; la sosta notturna nella savana con i carri e le mucche e il successivo attacco delle leonesse; i gran galà con spiegamento di calici, festoni e piastrelle splendenti in occasione dei ricevimenti speciali; il giro in aereo sopra le lussureggianti colline e le svettanti montagne; l’elogio mortuario della protagonista addolorata al funerale dell’avventuriero, cui partecipano molte persone. Un film, in definitiva, che resterà nella memoria e nell’immaginario collettivo di spettatori giovani e vecchi per la descrizione originale e meticolosa di un’Africa vista con uno sguardo insolito e innovativo, per le preziose e mirabolanti interpretazioni (la coppia Streep-Redford è senz’altro ben assortita e funziona col puntiglio di un macchinario a viti e bulloni) e per gli elementi tecnici che hanno indubbiamente contribuito a dare la spannata risolutiva a un’opera forse non eccessivamente invidiabile ma certamente autentica e veridica.
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