elgatoloco
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martedì 15 ottobre 2019
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film romanticamente efficace quanto datato
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"Out of Africa"(1985, di Sydney Pollack, dal romanzo di Karen Blixen)è un film che, assieme alla descrizione, anche fotograficamente molto accurata, di un mondo(l'Africa è certamente tale)rappresenta un determinato contesto storico(siamo nell'epoca della Prima Guerra Mondiale), quando vigeva ancora un colonialism, quasi ai limiti dello schiavismo, ma anche la passione romantica"extra-coniugale"da parte di una donna, il che, anhce il più acceso romanticismo di orgine ottocentesca, anche in paesi più"evoluti"dell'Italia e/o della Spagna era difficilmente tollerabile o appena tollerato, dunque il film si inserisce nella trasposizione di classici letterati non in modo calligrafico, ma con l'attenzione decisiva verso varie tematiche, come del resto nellos stile di Pollack, uno degli autori cinematografici significativi del 1900.
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"Out of Africa"(1985, di Sydney Pollack, dal romanzo di Karen Blixen)è un film che, assieme alla descrizione, anche fotograficamente molto accurata, di un mondo(l'Africa è certamente tale)rappresenta un determinato contesto storico(siamo nell'epoca della Prima Guerra Mondiale), quando vigeva ancora un colonialism, quasi ai limiti dello schiavismo, ma anche la passione romantica"extra-coniugale"da parte di una donna, il che, anhce il più acceso romanticismo di orgine ottocentesca, anche in paesi più"evoluti"dell'Italia e/o della Spagna era difficilmente tollerabile o appena tollerato, dunque il film si inserisce nella trasposizione di classici letterati non in modo calligrafico, ma con l'attenzione decisiva verso varie tematiche, come del resto nellos stile di Pollack, uno degli autori cinematografici significativi del 1900.UNa storia complessa ma non certo indecifrabile, in cui, appunto, anche oltre l'interpretazione di Maryl Streep, che rappresenta-èeraltro in modo molto notevole, forse talora solo un po'"sopra le righe"(ma lo diciamo oggi, considerando una sensibilità diversa da quella dell'ambientazione del film e a fortiori, del romanzo da cui il film è tratto) un'eroina romantica oggi un po'"démodée"e quella comunque validissima di Klaus Maria Brandauer e di Robert Redford e di alcuni interpreti africani, vale la rappresentazione, appunto, complessiva, "sincretica", che sa tenere insieme aspetti anche diversi, dalla raffigurazione alla descrizione, appunto, alla riflessione(tuttavia non meramente"raziocinante", per fortuna) in una chiave di notevolissima apertura"corale", di capacità di farci entrare, anche se non abbiamo mai avuto la possibilità di visitarlo, in un mondo"altro", quale è comunque l'Africa, ben oltre e al di fuori delle mete turistiche, dove si fondono sensazioni e considerazioni necessarie rispetto a quanto perdiamo comunque nella"civiltà cementificata"e al tempo stesso esiste il rimpianto per le occasioni(teatrali, musicali, altre)che perdiamo o crediamo di perdere(si ricordi che all'epoca, oltre alla radio, non esisteva altro, in tali lande sperdute, dato che il cinema non era possibile come non lo erano altri"svaghi culturali". Si può "leggere"certamente anche solo o soprattutto in chiave romantico.amorosa, ma, indubbiamente, c'è dell'altro... El Gato
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marcobrenni
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lunedì 12 febbraio 2018
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spirito coloniale altoborghese in africa
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È un film decisamente romantico, forse troppo romantico per i nostri gusti postmoderni. Bellissime immagini dell'Africa, proprio come sarebbero piaciute ai romantici d'inizio Novecento, con tanto di glamour in "very gentlemen style" dei tempi che furono. Non credo che ai giovani d'oggi un film del genere piaccia più di quel tanto, perché non corrisponde più alla nostra sensibilità disincantata d'un era ormai abituata ai viaggi di massa low cost in resort banalizzati sparsi ovunque attorno al globo terracqueo. Ma poi pure il rapporto sempre idillico coi neri sa tanto di artificioso, persino stucchevole-irreale. Le relazioni fra bianchi dell'alta borghesia british sempre perfettamente in tiro, con la popolazione indigena povera ma fiera e soccorrevole verso il "buon badrone bianco" oggi può persino urtare la nostra sensiblità opposta a certo romanticismo fuorviante d'antan.
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È un film decisamente romantico, forse troppo romantico per i nostri gusti postmoderni. Bellissime immagini dell'Africa, proprio come sarebbero piaciute ai romantici d'inizio Novecento, con tanto di glamour in "very gentlemen style" dei tempi che furono. Non credo che ai giovani d'oggi un film del genere piaccia più di quel tanto, perché non corrisponde più alla nostra sensibilità disincantata d'un era ormai abituata ai viaggi di massa low cost in resort banalizzati sparsi ovunque attorno al globo terracqueo. Ma poi pure il rapporto sempre idillico coi neri sa tanto di artificioso, persino stucchevole-irreale. Le relazioni fra bianchi dell'alta borghesia british sempre perfettamente in tiro, con la popolazione indigena povera ma fiera e soccorrevole verso il "buon badrone bianco" oggi può persino urtare la nostra sensiblità opposta a certo romanticismo fuorviante d'antan. La storia è sin troppo lunga con intrecci amorosi tanto/troppo romanzati, dove l'eroina (la scrittrice Karen Blixen) è incarnata da una strepitosa Meryl Streep che non perde mai le staffe, con impeccabile aplomb e vesti sempre da dama d'alto rango persino nelle lande desolate della terra dei Masai. Buono anche Robert Redford, che però come avventuriero convince poco con la sua coiffure da Dandy sempre perfetta e vestiti improbabili. Meglio Klaus Maria Brandauer, attore di grandissima bravura che rasenta sempre la perfezione in ogni recitazione: il suo mi pare il personaggio più riuscito, credibile. Tutto quanto è elegantemente patinato, troppo patinato; tuttavia le riprese dei paesaggi sono grandiose e bellissime. Insomma un bel polpettone romantico in salsa romantico-coloniale, che piace moltissimo agli anglosassoni (americani compresi) e che in parte spiega l'entusiasmo e i premi sin troppo generosi. Ad aumentare le azioni del film c'è la prestigiosa firma di Sidney Pollack che sicuramente influì moltissimo sulla critica. Per me oggi è solo un buon film con non più di tre stelle.
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alberto pezzi
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domenica 19 giugno 2016
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da vedere
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FILM BELLISSIMO. CHIARO. SETTE OSCAR NON LI VINCI A CASO. GRANDIOSO DA UN PUNTO DI VISTA FOTOGRAFICO, SCENOGRAFIA IMPERIALE, IL FILM RIESCE A COMUNICARE CON NITIDEZZA COS’E’ L’ AFRICA. IN QUESTA PELLICOLA TROVIAMO MOLTI INGREDIENTI: DRAMMATICITA’, AVVENTURA, AMORE, SOFFERENZA. PER ME MANCA UN OSCAR. NON E’ CHE ROBERT REDFORD SIA STATO INFERIORE ALL’ IMMENSA MERYL STREEP. DA UN PUNTO DI VISTA SENTIMENTALE IL FILM E’ EMOZIONANTE E COINVOLGENTE. LA REGIA DI SYDNEY POLLACK E’ MAGISTRALE. L’ IRONIA SI ALTERNA AL DRAMMA, L’ AMORE AL DOLORE. SI IDENTIFICANO DUE PERSONAGGI BEN DISTINTI E CARATTERIZZATI DA VALORI MOLTO PROFONDI. DUE COSE: LA PRIMA E’ CHE SICURAMENTE IN QUESTO FILM LA FIGURA DELLA DONNA E’ FINALMENTE PORTATA ALLA DIMENSIONE CHE MERITA, LA SECONDA E’ CHE NELLA PELLICOLA LA LIBERTA’ PERSONALE ASSUME UN RUOLO DA PROTAGONISTA.
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FILM BELLISSIMO. CHIARO. SETTE OSCAR NON LI VINCI A CASO. GRANDIOSO DA UN PUNTO DI VISTA FOTOGRAFICO, SCENOGRAFIA IMPERIALE, IL FILM RIESCE A COMUNICARE CON NITIDEZZA COS’E’ L’ AFRICA. IN QUESTA PELLICOLA TROVIAMO MOLTI INGREDIENTI: DRAMMATICITA’, AVVENTURA, AMORE, SOFFERENZA. PER ME MANCA UN OSCAR. NON E’ CHE ROBERT REDFORD SIA STATO INFERIORE ALL’ IMMENSA MERYL STREEP. DA UN PUNTO DI VISTA SENTIMENTALE IL FILM E’ EMOZIONANTE E COINVOLGENTE. LA REGIA DI SYDNEY POLLACK E’ MAGISTRALE. L’ IRONIA SI ALTERNA AL DRAMMA, L’ AMORE AL DOLORE. SI IDENTIFICANO DUE PERSONAGGI BEN DISTINTI E CARATTERIZZATI DA VALORI MOLTO PROFONDI. DUE COSE: LA PRIMA E’ CHE SICURAMENTE IN QUESTO FILM LA FIGURA DELLA DONNA E’ FINALMENTE PORTATA ALLA DIMENSIONE CHE MERITA, LA SECONDA E’ CHE NELLA PELLICOLA LA LIBERTA’ PERSONALE ASSUME UN RUOLO DA PROTAGONISTA. NON E’ UN FILM PER TUTTI. E’ UN FILM CHE VA VISTO CON CALMA, CON SERENITA’, SENZA PRETESE DI RITMO. E’ UN FILM DA ANALIZZARE IN MODO LUCIDO ED INTELLIGENTE. COMUNQUE SIA, CHIUNQUE AMI IL CINEMA NON PUO’ NON TENERLO NELLA PROPRIA VIDEOTECA PERSONALE. DA VEDERE.
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ludwig1889
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giovedì 24 settembre 2015
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una stella sulla savana
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Maryl Streep si erge come un colosso micenico in questo classico anni ’80 firmato Sidney Pollack. Film che alterna il serio e il faceto, dalle atmosfere incantevolmente sospese fra storico e fiabesco, lascia estasiati per il rapsodico andirivieni tra pesante e leggero, scanzonato e concettuale, scherzoso e moralistico.
È ispirato alla storia (vera; la sceneggiatura è tratta dall’autobiografia della protagonista) di Caren Blixen (Streep), giovane nobildonna danese che, stanca delle buona società europea, decide di andare in Africa per celebrare un matrimonio di interesse con un amico (Brandauer).
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Maryl Streep si erge come un colosso micenico in questo classico anni ’80 firmato Sidney Pollack. Film che alterna il serio e il faceto, dalle atmosfere incantevolmente sospese fra storico e fiabesco, lascia estasiati per il rapsodico andirivieni tra pesante e leggero, scanzonato e concettuale, scherzoso e moralistico.
È ispirato alla storia (vera; la sceneggiatura è tratta dall’autobiografia della protagonista) di Caren Blixen (Streep), giovane nobildonna danese che, stanca delle buona società europea, decide di andare in Africa per celebrare un matrimonio di interesse con un amico (Brandauer). L'unione, benché fallimentare, si rivelerà veicolo di un duplice amore, tanto inatteso quanto dirompente. Da una parte, la passione per Denys Finch-Hatton (Redford), avventuriero britannico dai modi seducenti e lo sguardo deciso; e dall’altra, soprattutto, l’infatuazione per un intero continente, l’Africa, assurta abilmente da Pollack a idealizzato tessuto di simbologie significanti stili di vita, mondi, e umanità altre.
La mia Africa è un biopic e, come tutti i biopic ben fatti, si tratta di una pellicola solo apparentemente corale. Infatti, mentre decine di maschere sfilano inquadratura dopo inquadratura, è sempre lei, la Streep, a dettare legge. Gli altri attori (persino un peraltro ottimo Redford) le si muovono attorno come oggetti di scena, miseri satelliti nell’orbita di una grande stella (anche fuor di metafora). Eppure la sua performance riesce ad essere maestosa senza schiacciare, senza annichilire. È come se la Streep fosse l’unica a splendere di luce propria. Gli altri personaggi si limitano a giovare dei riflessi da lei elargiti, senza tuttavia uscirne sminuiti ma, al contrario, nobilitati. Essere protagonisti assoluti senza relegare gli altri al ruolo di comprimari è una delle lezioni impartiteci dalla diva di Summit in questa pellicola.
Poi, per essere un classico, La mia Africa è povero di inquadrature eccezionali. Non che manchino sequenze notevoli. I campi lunghi sulla sterminata terre africana sono splendidi, e la sequenza della leonessa a inizio film, con quella bellissima successione di soggettive e oggettive montate a puntino, non è da meno. Latita però la sequenza originale, mai vista, sperimentale, d’avanguardia. La ragione è che ne La mia Africa lo stile è esasperatamente accademico. Non c’è niente di nuovo. Ogni inquadratura è vista e rivista, ma comunque ripetuta dal regista statunitense con maestria da cineasta consumato. È tutto intriso di una straordinaria ordinarietà. Lo stile di regia è calmo, senza stacchi o movimenti bruschi, quasi documentaristico; il che in un film biografico è senza dubbio un pregio. Naturalisticamente, Pollack mira ad immergere lo spettatore in un’atmosfera intrisa di realismo, dandogli l’impressione di aver vissuto perennemente al fianco della Blixen, a osservarne i sussulti e ascoltarne i sussurri. Personalmente, credo che un biopic si debba girare proprio così e va reso quindi merito a Pollack di aver innalzato, come gli artisti migliori, un insieme di norme più o meno tecniche a strumento di genio creativo.
Una nota di merito spetta poi alle musiche di John Barry che, col loro mix di classico ed etnico (da Mozart ai cori africani), rendono perfettamente la sensazione di incontro-scontro tra culture che Pollack vorrebbe trasmettere.
Volendo infine fare un rilievo critico, va detto che, come in gran parte del western filo-indiano, l’immagine dei cosiddetti “selvaggi” è eccessivamente semplicistica, troppo appiattita su una manciata di stereotipi buonistici ai quali, quando si parla di Africa, è arduo sfuggire. Karen Blixen altri non è che l’alter ego di John Dunbar. Certo manca lo spessore drammatico della vicenda degli indiani d’America raccontata in Balla coi lupi ma, in compenso, la figura della Blixen è più sfaccettata, più complessa, più autentica.
Non c’è molto altro da aggiungere. Regia, sceneggiatura, scenografie, interpretazioni e musiche di altissimo livello. Da evitare se si cerca qualcosa di molto innovativo o sperimentale, ma in linea di massima indubbiamente meritevole.
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gimbola
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domenica 28 giugno 2015
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un film che ti trapassa il cuore
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Un film che ha vinto molti premi Oscar, a ragione. Un bellissimo sogno in Africa, una storia vera, un insegnamento per le donne, che non devono appoggiarsi ad un uomo, per esistere, ma devono cercare la loro via, in modo indipendente, senza dipendere dal lavoro del marito e farsi mantenere come "belle statuine" a casa.
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Un film che ha vinto molti premi Oscar, a ragione. Un bellissimo sogno in Africa, una storia vera, un insegnamento per le donne, che non devono appoggiarsi ad un uomo, per esistere, ma devono cercare la loro via, in modo indipendente, senza dipendere dal lavoro del marito e farsi mantenere come "belle statuine" a casa.
I dialoghi sono dei concentrati di saggezza e insegnamenti di vita.
Musiche e paesaggi meravigliosi.
Una sempre bravissima Meryl Streep.
Un concentrato di coraggio, saggezza e amore vero.
19/novembre/2014
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enzo70
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sabato 27 settembre 2014
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una lunga magia
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La mia Africa è una sorta di compendio del lavoro di un grande regista, Sydney Pollack, un grande attore, Robert Redford e della più straordinaria attrice contemporanea, Meryl Streep. E poi, a latere, Klaus Maria Brandauer. Bene regia straordinaria ed attori fantastici non bastano per dare il senso di ampiezza di questo film, uno dei pochi casi in cui il cinema riesce a rendere merito ad un bel libro, in questo caso quello di Karen Blixen. Ma la protagonista assoluta di questo film non è ancora stata citata, mentre è lei, si proprio lei, l’Africa, terra di tutti e di nessuno, di grandezze e di miserie, ultimo orizzonte per la civiltà, dove la natura trionfa.
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La mia Africa è una sorta di compendio del lavoro di un grande regista, Sydney Pollack, un grande attore, Robert Redford e della più straordinaria attrice contemporanea, Meryl Streep. E poi, a latere, Klaus Maria Brandauer. Bene regia straordinaria ed attori fantastici non bastano per dare il senso di ampiezza di questo film, uno dei pochi casi in cui il cinema riesce a rendere merito ad un bel libro, in questo caso quello di Karen Blixen. Ma la protagonista assoluta di questo film non è ancora stata citata, mentre è lei, si proprio lei, l’Africa, terra di tutti e di nessuno, di grandezze e di miserie, ultimo orizzonte per la civiltà, dove la natura trionfa. E la sfida tra la Streep e la leonessa rappresenta quasi in segno simbolico il continuo confronto dell’uomo con se stesso. Che sia un capolavoro lo conferma l’intensità con cui ogni volta si rivede questo film.
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great steven
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mercoledì 30 luglio 2014
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m. streep in un'africa ludica, magica e orgogliosa
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LA MIA AFRICA (USA/GB, 1985) diretto da SYDNEY POLLACK. Interpretato da MERYL STREEP – ROBERT REDFORD – KLAUS MARIA BRANDAUER – MICHAEL KITCHEN – MALICK BOWENS § Intelligente e romantico film che ripercorre la vita della danese Karen Blixen, futura scrittrice, che arriva a Nairobi dalla penisola natia per un matrimonio di convenienza con un barone tedesco rozzo e fatuo che la trascura. Tra le foreste tropicali e i deserti torridi e stepposi del Kenya si innamora di un avventuriero britannico idealista. Intanto conosce l’Africa e poco a poco matura, e il continente finora sconosciuto e inesplorato le offrirà alterne fortune e drammi reconditi e profondi.
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LA MIA AFRICA (USA/GB, 1985) diretto da SYDNEY POLLACK. Interpretato da MERYL STREEP – ROBERT REDFORD – KLAUS MARIA BRANDAUER – MICHAEL KITCHEN – MALICK BOWENS § Intelligente e romantico film che ripercorre la vita della danese Karen Blixen, futura scrittrice, che arriva a Nairobi dalla penisola natia per un matrimonio di convenienza con un barone tedesco rozzo e fatuo che la trascura. Tra le foreste tropicali e i deserti torridi e stepposi del Kenya si innamora di un avventuriero britannico idealista. Intanto conosce l’Africa e poco a poco matura, e il continente finora sconosciuto e inesplorato le offrirà alterne fortune e drammi reconditi e profondi. Pollack apre agli spettatori con l’immagine di un’Africa patinata e affascinante, pervasa da atmosfera d’epoca perfettamente ricostruite e splendidamente fotografata. Qualche lungaggine sparsa tra le sequenze ma soprattutto una superlativa prova di recitazione e ben sette premi Oscar: film, regia, musica, scenografie, sceneggiatura, suono, fotografia. Tra i film del regista è probabilmente quello più accademico: prolisso, un po’ leccato, romanticissimo, quasi un fotoromanzo. Ma denota un lirismo autentico di fondo che lo riscatta. M. Streep (felicemente doppiata da Maria Pia Di Meo) regala una delle interpretazioni più commisurate e commensurabili del suo repertorio cinematografico, incidendo con grazia ed eleganza una nobildonna aperta a nuove culture che non indietreggia di fronte ai pericoli naturali o alle incombenze di popoli ignoti tutti da scoprire; R. Redford (con la voce del proteiforme Cesare Barbetti) è un esploratore audace, spregiudicato, amabile e dotato di innegabile carisma che non ricicla affatto gli amori raccolti durante i viaggi e i cammini e sa amare con visceralità e in modo sincero e sanguigno; K. M. Brandauer, infine, è un nobiluomo seccato, irritabile e menefreghista che passa il suo tempo fra bicchieri di whisky e partite a biliardo, ignorando consapevolmente e volutamente i doveri coniugali e infischiandosene dei sentimenti puri e del gusto per l’avventura. Bravo anche M. Bowens (doppiato dal simpatico Piero Tiberi) a impersonare la paziente e risoluta guida per la protagonista attraverso i passaggi intricati e gli scenari selvaggi del Kenya alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. La sceneggiatura, scritta da Kurt Luedtke e basta sul libro omonimo (1937) di memorie di Isak Denesen, pseudonimo di K. Blixen (1885-1962), è composta di dialoghi vivaci, spunti interessanti, botta e risposta vitalmente efficaci e lunghe digressioni che offrono uno squarcio storico del periodo che non manca di dipingere con una tinta fosca e barocca l’aristocratico modo di vivere dei nobili europei nelle colonie del continente nero quando l’epoca dell’imperialismo volgeva tragicamente e inesorabilmente al termine. Il film evita comunque di scivolare nello storicismo accademico, per sua fortuna, e non pensa minimamente di trasformare un’opera pregna di un romanticismo poetico e di un equilibrio piuttosto realista e per nulla manierista in un indiscriminato documentario che snocciola uno dopo l’altro i problemi, le difficoltà e le contraddizioni di un mondo popolato tanto da uomini giusti e risorse indelebili quanto da brutalità aggressive e mutevolezze pericolose. La colonna sonora accompagna la recitazione degli attori principali con leggiadria e soavità, colpendo al cuore gli spettatori (in senso positivo, beninteso) che, forse con qualche forzatura ma certamente senza convenzionalità, sognano sulle ali della cinepresa che, con una fotografia a colori carezzevole e indaffarata, ritrae i verdeggianti paesaggi africani con tutte le diverse specie animali che li abitano senza contaminarli né distruggerli. Le scene migliori: all’inizio il treno fermato per far passare la mandria di cavalli e dove Karen incontra i vagabondi; l’arrivo alla stazione di Nairobi, col carretto che accompagna la donna alla casa colonica; la visita al villaggio Masai con tutti gli sfavillanti e luccicanti colori che caratterizzano l’umoristica e godibile scena; l’orologio a cucù osservato con curiosità dal nero interprete e quasi con timore dai bambini del villaggio; la sosta notturna nella savana con i carri e le mucche e il successivo attacco delle leonesse; i gran galà con spiegamento di calici, festoni e piastrelle splendenti in occasione dei ricevimenti speciali; il giro in aereo sopra le lussureggianti colline e le svettanti montagne; l’elogio mortuario della protagonista addolorata al funerale dell’avventuriero, cui partecipano molte persone. Un film, in definitiva, che resterà nella memoria e nell’immaginario collettivo di spettatori giovani e vecchi per la descrizione originale e meticolosa di un’Africa vista con uno sguardo insolito e innovativo, per le preziose e mirabolanti interpretazioni (la coppia Streep-Redford è senz’altro ben assortita e funziona col puntiglio di un macchinario a viti e bulloni) e per gli elementi tecnici che hanno indubbiamente contribuito a dare la spannata risolutiva a un’opera forse non eccessivamente invidiabile ma certamente autentica e veridica.
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goldy
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lunedì 14 ottobre 2013
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il film della vita
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Se ogni volta che mi capita di intercettare la proiezione saltabellando con il telecomando e non tiesco poi più a staccarmene vuol dire che il film è straordinario. Mi capia solo con pochi altri, Il teatro di Eduardo e certe commedie all'italiana.. E mi succede da quasi trent'anni!!!!
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starbuck
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sabato 15 giugno 2013
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mi inchino
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Siamo di fronte al film perfetto. Che altro dire...
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claemarco
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lunedì 3 gennaio 2011
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noiosissimo
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A PARTE IL PAESAGGIO......TUTTO IL RESTO è NOIA....................MAMMA CHE NOIA...CHE SECCATURA.....
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