paolo 67
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giovedì 15 marzo 2012
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il noir italiano maestro nel mondo
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Ferdinando Di Leo è uno di quei registi italiani, come Dario Argento e Lucio Fulci, oggetto di recente rivalutazione in seguito alla stima all'estero e alla riscoperta di nuovi critici. Di Leo, che ha ben imparato la lezione del noir francese e americano, inaugura con questo film un trittico (la cosiddetta “Trilogia del milieu”), una specie di rinnovata epica della malavita, tre film d'azione di altissimo livello di cui ne riconoscerà i debiti un regista come Tarantino. Dai racconti di Giorgio Scerbanenco, “Milano calibro nove” è un film grezzo ma a suo modo affascinante, brillante e avvincente, con una grande colonna sonora di Luis Bacalov che cattura l'atmosfera opprimente di una plumbea Milano.
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Ferdinando Di Leo è uno di quei registi italiani, come Dario Argento e Lucio Fulci, oggetto di recente rivalutazione in seguito alla stima all'estero e alla riscoperta di nuovi critici. Di Leo, che ha ben imparato la lezione del noir francese e americano, inaugura con questo film un trittico (la cosiddetta “Trilogia del milieu”), una specie di rinnovata epica della malavita, tre film d'azione di altissimo livello di cui ne riconoscerà i debiti un regista come Tarantino. Dai racconti di Giorgio Scerbanenco, “Milano calibro nove” è un film grezzo ma a suo modo affascinante, brillante e avvincente, con una grande colonna sonora di Luis Bacalov che cattura l'atmosfera opprimente di una plumbea Milano. La regia di Di Leo, accurata nella costruzione dell'immagine e nel disegno dei personaggi, che a nei suoi film assurgono a una dimensione statuaria, ha classe ed eleganza, è capace di sottigliezze e sfumature. Il film gira intorno al valore della lealtà. Splendida la Bouchet, grande Moschin, ma Adorf è ancora meglio. Il finale è magnifico.
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vinny d
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giovedì 7 marzo 2013
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poliziesco number one
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nel suo genere è un capolavoro uno dei più riusciti nell'intero filone.Ispirato a una serie di racconti di scerbanenco, è senz'altro anche il film più importante per cui viene ricordato il grande FERNANDO DI LEO insieme ad altri titoli non meno incisivi:la mala ordina,il boss,il poliziotto è marcio,la città sconvolta e il pulp la bestia uccide a sangue freddo poco amato dal regista(si veda l'intervista su dvd nocturno).L'amore del regista per il noir si capta già dal personaggio interpretato da moschin un criminale pieno di rancore senza redenzione e inoltre solo contro tutti, e il film è immerso in un clima più francese che italiano anche se si riscontrano i principali topoi che caratterizzano il poliziottesco all 'italiana(inseguimenti,sparatorie,commissario fascista ma non violento e "sparatutto" come farà dopo il buon MAURIZIO MERLI )ma in maniera del tutto autonoma e personale.
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nel suo genere è un capolavoro uno dei più riusciti nell'intero filone.Ispirato a una serie di racconti di scerbanenco, è senz'altro anche il film più importante per cui viene ricordato il grande FERNANDO DI LEO insieme ad altri titoli non meno incisivi:la mala ordina,il boss,il poliziotto è marcio,la città sconvolta e il pulp la bestia uccide a sangue freddo poco amato dal regista(si veda l'intervista su dvd nocturno).L'amore del regista per il noir si capta già dal personaggio interpretato da moschin un criminale pieno di rancore senza redenzione e inoltre solo contro tutti, e il film è immerso in un clima più francese che italiano anche se si riscontrano i principali topoi che caratterizzano il poliziottesco all 'italiana(inseguimenti,sparatorie,commissario fascista ma non violento e "sparatutto" come farà dopo il buon MAURIZIO MERLI )ma in maniera del tutto autonoma e personale.Molti dicono che i battibbecchi politici tra i due commissari, sia il risvolto meno azzeccato del film ma secondo me costituisce anche questo il marchio di fabbrica del regista, che poi riprenderà nel film la città sconvolta nel monologo di caprioli.Confezione di lusso (musiche grandiose di bacalov con gli osanna ,fotografia di franco villa ,montaggio amedeo giomini)e cast sensazionale :gastone moschin,mario adorf,barbara bouchet,frank wolff,philippe leroy,ivo garrani,luigi pistilli,lionel stander,mario novelli,giuseppe castellano,giorgio triestini,sergio serafini,alessandro tedeschi e omero capanna che si ritaglia ua gustosa parte nel prologo.Al di sopra di ogni aspettativa e lascerà stupiti chi non ama il genere e sbalorditi i fan.DA VEDERE
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gato7
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sabato 17 settembre 2011
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noir italo-francese di grande impatto
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A suo modo, un capolavoro. Film dove il senso del tempo(il coté francese, che individuavo), componente violenta, funzionale però alla rappresentazione dell'epoca in cui la vicenda si svolge, anche con attenzione agli anni Settanta in cui viene girato e alll'architesto letterario di Scerbanenco, plot e "pura visività"(lo"specifico filmico", con l'uso di ellissi, metafora(limitatissima, però)e altro si compongono in una sintesi, in cui l'interpretazione di Gastone Moschin, Mario Adorf e Luigi Pistilli, ma non solo, spiccano, in un cosiddetto"B-movie", con l'invettiva finale di Adorf. UN grido -rampogna disperato e "altissimo", pur se pronunciato da un gangster senza scrupoli.
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A suo modo, un capolavoro. Film dove il senso del tempo(il coté francese, che individuavo), componente violenta, funzionale però alla rappresentazione dell'epoca in cui la vicenda si svolge, anche con attenzione agli anni Settanta in cui viene girato e alll'architesto letterario di Scerbanenco, plot e "pura visività"(lo"specifico filmico", con l'uso di ellissi, metafora(limitatissima, però)e altro si compongono in una sintesi, in cui l'interpretazione di Gastone Moschin, Mario Adorf e Luigi Pistilli, ma non solo, spiccano, in un cosiddetto"B-movie", con l'invettiva finale di Adorf. UN grido -rampogna disperato e "altissimo", pur se pronunciato da un gangster senza scrupoli. Eugen Galasso
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iuriv
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sabato 30 giugno 2018
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la milano di un futuro passato.
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Mi rendo perfettamente conto che parlare di Milano Calibro 9 nel 2018 rischia di essere un esercizio poco utile.
L'opera di Di Leo rappresenta una vetta talmente alta nella cinematografia di genere italiana degli anni settanta da non avere nemmeno bisogno di presentazioni.
In un epoca in cui le produzioni gradivano infarcire le sale di ogni tipo di film, questo lavoro, costato il giusto e messo insieme in maniera magistrale, sta li a dirci di quanto dalle nostre parti erano bravi nel mestiere.
Eppure, vista oggi, questa pellicola è talmente affascinante da non poter essere lasciata li, senza nemmeno due parole.
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Mi rendo perfettamente conto che parlare di Milano Calibro 9 nel 2018 rischia di essere un esercizio poco utile.
L'opera di Di Leo rappresenta una vetta talmente alta nella cinematografia di genere italiana degli anni settanta da non avere nemmeno bisogno di presentazioni.
In un epoca in cui le produzioni gradivano infarcire le sale di ogni tipo di film, questo lavoro, costato il giusto e messo insieme in maniera magistrale, sta li a dirci di quanto dalle nostre parti erano bravi nel mestiere.
Eppure, vista oggi, questa pellicola è talmente affascinante da non poter essere lasciata li, senza nemmeno due parole. Quindi, abbiate pazienza e andiamo:
Ugo Piazza è appena uscito di galera che già gli vogliono fare la festa. L'Americano lo sospetta di essersi intascato dei soldi e il buon Ugo dovrà fare di tutto per scagionarsi.
Perché Milano calibro 9 è un gangster movie in piena regola, di quelli che all'epoca andavano parecchio. Ma a differenza di tanta produzione americana, il film di Di Leo si ambienta per le strade di una città viva e pulsante, che, tra bassifondi e zone pregiate, si mostra allo spettatore bene in ghingheri, come una donna che si appresta a diventare importante.
La Milano degli anni settanta si stava imponendo come capitale economica del paese e voleva a tutti i costi essere modernissima e in linea con le grandi città europee.
Di Leo ce la fa vedere così, ricca e appariscente, ma anche subdola e criminale. Una criminalità lontana da certe mitizzazioni dei tempi moderni, quanto piuttosto tratteggiata con brutalità, piena di personaggi dal fascino minimo e dalla crudeltà massima.
Una cosa che colpisce di questa pellicola è la totale assenza di figure positive. Tutti nella trama hanno qualcosa di marcio, compreso Ugo. Tutti cercano di fregare tutti. Non esistono eroi ne antieroi.
Certo, in qualche aspetto il film fa sentire il peso degli anni. Penso ai dialoghi specialmente, spesso poco interessanti quando non addirittura forzati. L'intero scambio di battute nel commissariato sembra più una manifestazione del desiderio di Di Leo di dire la sua sui temi caldi che il paese stava vivendo più che essere figlio di una scrittura organica che segue la vicenda.
Però sono stonature che non piegano la potenza dell'opera. Perché il montaggio è intrigante e in alcuni punti si respira l'ansia dello scorrere degli avvenimenti.
Gastone Moschin è semplicemente perfetto nei panni di Ugo Piazza e riesce a scivolare dentro un personaggio lontanissimo dalle commedie a cui l'attore ci ha abituati. Barbara Bouchet è bellissima e azzeccata nel ruolo di femme fatale tipico del noir. Mario Adorf è un Rocco Musco sporco e violento, credibilissmo nel momento di mostrare la propria morale.
Insomma, difficilmente si può trovare qualcosa di davvero sbagliato qui. Perché Milano Calibro 9 è una pellicola immortale, che a distanza di quarantacinque anni sa ancora coinvolgere lo spettatore.
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no_data
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lunedì 12 ottobre 2015
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la visione del genere
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Sono passati 43 anni dall'uscita al cinema di Milano Calibro 9, ma il tempo che passa sembra non aver intaccato alla base della potenza del cinema di genere italiano degli anni '70.
Perché, davanti a pellicole come Milano calibro 9, non si può non notare quanto allora tale modello cinematografico era profondamente radicato nella sensibiltà di quell'epoca: la sceneggiatura ben incarna tensioni e osservazioni sociali, descrivendo uno spaccato sociale senza mai farlo in maniera apertamente didascalica; la regia è ispirata e d'avanguardia, con la composizione di sequenze puramente affidate alla potenza delle immagini.
Insomma, rappresentativo di un genere e di un epoca.
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parsifal
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venerdì 8 ottobre 2021
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malavita e nebbia
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Ferdinando di Leo porta a compimento il primo capitolo della trilogia del milieu, composta successivamente da La Mala ordina e IL Boss.
La sceneggiatura è tratta da un’antologia di racconti di G. Scerbanenco.
Il protagonista della vicenda è Ugo Piazza, interpretato dal magnifico G. Moschin, attore di talento e notevole statura professionale.
Ugo esce dal carcere, dopo aver scontato alcuni anni per rapina.
Essendo un malavitoso vecchio stile, non ha parlato e non ha fatto nomi. Ma c’è qualcuno che non crede alla sua buona fede e lo ritiene responsabile di un ammanco cospicuo di denaro ai danni di un boss, l’Americano ( L.
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Ferdinando di Leo porta a compimento il primo capitolo della trilogia del milieu, composta successivamente da La Mala ordina e IL Boss.
La sceneggiatura è tratta da un’antologia di racconti di G. Scerbanenco.
Il protagonista della vicenda è Ugo Piazza, interpretato dal magnifico G. Moschin, attore di talento e notevole statura professionale.
Ugo esce dal carcere, dopo aver scontato alcuni anni per rapina.
Essendo un malavitoso vecchio stile, non ha parlato e non ha fatto nomi. Ma c’è qualcuno che non crede alla sua buona fede e lo ritiene responsabile di un ammanco cospicuo di denaro ai danni di un boss, l’Americano ( L. Stander) e lo pedina senza dargli tregua, rendendogli la vita molto difficile. Si tratta di Rocco Musco ( M. Adorf doppiato da S.S. Flores) un tirapiedi del Boss, zelante , ambizioso e viscido. Oltre a lui c’è anche il Commissario , un poliziotto vecchio stampo schematico ed arrogante, che lo assilla di continuo affinchè parli e dica quel che vuole sentirsi dire. Ma Ugo è una roccia ed è abituato a navigare in acque tempestose e sa fare di necessità virtù. Troverà l’appoggio di una donna , per la quale prova un affetto sincero, non immaginando quel che accadrà di lì a poco. La vicenda si dipana in maniera sempre più intricata, su più piani narrativi, diventando sempre più avvincente e stringe lo spettatore in una spirale continua di colpi di scena e sorprese inattese. Si arriverà al tutti contro tutti, come spesso accade e non ci saranno vincitori. Memorabile la contrapposizione ideologica tra il poliziotto vecchio stampo, nato per reprimere e schiacciare al suolo gli avversari e il collega progressista, che antepone una visione sociologica avanzata del contesto sociale ai rigidi schematismi mentali dell’antiquato commissario. Ottima testimonianza cinematografica di un momento difficile della nostra nazione.
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