fedeleto
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sabato 12 novembre 2011
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kinski ,furore di dio
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Dopo una serie di corti e documentari(ultime parole,fata morgana) e due lungometraggi(segni di vita e anche i nani hanno cominciato da piccoli),Werner Herzog dipinge il suo capolavoro ovvero AGUIRRE,FURORE DI DIO..Girato in Peru',dove il senso della natura e' titanico nel suo splendore visivo,Aguirre e' uno dei personaggi che affronta il terribile Rio delle amazzoni straripante e minaccioso,dove indios nascosti dalla foresta li uccideranno gradualmente e nemmeno alla fine ,quando verra' ucciso tutto il suo esercito e la figlia,si arrendera' per il suo desiderio di potere.Film di grande impatto visivo,circondato da musiche epiche ,ma Kinski e' il vero perno centrale del film ,e come sempre ci regala un'interpretazione unica,ma il merito va anche ad Herzog che fin dalla prima scena iniziale(dall'alto scendono tutti i personaggi come se stessero andando verso un inevitabile declino) ci affascina e stupisce.
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Dopo una serie di corti e documentari(ultime parole,fata morgana) e due lungometraggi(segni di vita e anche i nani hanno cominciato da piccoli),Werner Herzog dipinge il suo capolavoro ovvero AGUIRRE,FURORE DI DIO..Girato in Peru',dove il senso della natura e' titanico nel suo splendore visivo,Aguirre e' uno dei personaggi che affronta il terribile Rio delle amazzoni straripante e minaccioso,dove indios nascosti dalla foresta li uccideranno gradualmente e nemmeno alla fine ,quando verra' ucciso tutto il suo esercito e la figlia,si arrendera' per il suo desiderio di potere.Film di grande impatto visivo,circondato da musiche epiche ,ma Kinski e' il vero perno centrale del film ,e come sempre ci regala un'interpretazione unica,ma il merito va anche ad Herzog che fin dalla prima scena iniziale(dall'alto scendono tutti i personaggi come se stessero andando verso un inevitabile declino) ci affascina e stupisce.In poche parole un capolavoro,che dimostra l'impotenza dell'uomo nello sfidare la natura,e soprattutto il sogno folle di un peronaggio che vuole conquistare l'Eldorado,ovvero un posto che non esiste.
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pintoccu
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giovedì 22 novembre 2007
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foresta shakespeariana
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Il film è limpido sin dalle prime scene. Limpido nelle immagini, altrettanto limpido nella prevedibilità degli eventi. L'aspetto peculiare pertanto non è il significato intrinseco o la trama, seppur suggestiva, bensì i colori e le ambientazioni assimilabili ai tratti di un documentario. Il film ha molti caratteri interessanti che lo rendono unico, in primis le note difficoltà che accompagnarono le riprese nella foresta peruviana (si narrà di furenti scontri tra regista ed attore principale) connotano la maggior parte delle scene, tanto che il susseguirsi degli eventi pare essere sempre una diretta conseguenza delle necessità di ripresa.
Invece, è forse facile oggi rivolgere una critica alla sceneggiatura, poco incisiva e che sfora troppo spesso nel teatrale.
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Il film è limpido sin dalle prime scene. Limpido nelle immagini, altrettanto limpido nella prevedibilità degli eventi. L'aspetto peculiare pertanto non è il significato intrinseco o la trama, seppur suggestiva, bensì i colori e le ambientazioni assimilabili ai tratti di un documentario. Il film ha molti caratteri interessanti che lo rendono unico, in primis le note difficoltà che accompagnarono le riprese nella foresta peruviana (si narrà di furenti scontri tra regista ed attore principale) connotano la maggior parte delle scene, tanto che il susseguirsi degli eventi pare essere sempre una diretta conseguenza delle necessità di ripresa.
Invece, è forse facile oggi rivolgere una critica alla sceneggiatura, poco incisiva e che sfora troppo spesso nel teatrale. I testi non sono sempre al passo con le immagini come anche le musiche (che possono stancare alla lunga) e la maggior parte degli attori appaiono poco disinvolti innanzi alla camera (si vedano i primi minuti iniziali dove nelle scene concitate nella fitta foresta alcune comparse accennano un sorriso o paiono guardare la camera).
I punti di forza sono invece sicuramente riconducibili alla fotografia e al muoversi della camera dentro le scene (talora pare che l'obiettivo sfiori gli attori). Aguirre (Kinski) è il cuore allucinato del film, uno sguardo vitreo che sa di pazzia e che riesce a raggiungere il punto più alto nel finale nel quale si afferma la bramosità nonostante la fine sia prossima.
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[+] ...le musiche possono stancare!?
(di qeimapa)
[ - ] ...le musiche possono stancare!?
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luca scialò
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martedì 7 settembre 2010
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uomini accecati dal potere
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Siamo nel 1500, secolo in cui la Spagna è la principale potenza spagnola, che in nome del cattolicesimo e dell'imperialismo, mira a conquistare terre selvagge e inesplorate. Tuttavia, una missione diretta verso l'attuale Perù fallisce nella fitta giungla, a causa dell'imperviosità del luogo ma anche degli agguerritissimi Indios pronti a difendere le proprie terre natie. Viene così spedita un'altra truppa capeggiata da Pedro de Urrua, con alcuni indios schiavizzati, un frate e un pugno di uomini, tra i quali c'è Lope de Aguirre. Quest'ultimo percepisce che la truppa si sta scoraggiando ed è pronta a lasciare la missione e così ferisce de Urrua e assume il comando della stessa, guidandola attraverso un delirio di onnipotenza e sete di potere.
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Siamo nel 1500, secolo in cui la Spagna è la principale potenza spagnola, che in nome del cattolicesimo e dell'imperialismo, mira a conquistare terre selvagge e inesplorate. Tuttavia, una missione diretta verso l'attuale Perù fallisce nella fitta giungla, a causa dell'imperviosità del luogo ma anche degli agguerritissimi Indios pronti a difendere le proprie terre natie. Viene così spedita un'altra truppa capeggiata da Pedro de Urrua, con alcuni indios schiavizzati, un frate e un pugno di uomini, tra i quali c'è Lope de Aguirre. Quest'ultimo percepisce che la truppa si sta scoraggiando ed è pronta a lasciare la missione e così ferisce de Urrua e assume il comando della stessa, guidandola attraverso un delirio di onnipotenza e sete di potere...
Werner Herzog con questa opera ci rende partecipi attivi di una delle tante missioni difficili e spesso fallimentari dei conquistadores euopei verso le inesplorate terre americane. Ci fa toccare quasi con mano la crudeltà degli imperialisti benedetti per la loro missione da una Chiesa che ha perso il senso di Dio, pur se vuole farlo conoscere ai selvaggi. I quali si difendono come possono, senza tanti complimenti. Inquadrature mobili sovente dedicate alla natura, alternate a quelle fisse sui dialogatori e le loro espressioni facciali, rendono il film avvincente e coinvolgente.
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(di poggi)
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carloalberto
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domenica 20 dicembre 2020
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bellissimo e noiosissimo
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La lentezza del film è spasmodica. Le riprese indugiano in inquadrature statiche, gli attori immobili recitano la loro parte al centro della Natura. L’impetuosa valanga di melma marrone, con tranelli di vortici, del Rio Napo investe la telecamera quasi travolgendola. La navigazione continua nel Rio delle Amazzoni che imponente e ammaliante scorre attraverso la foresta amazzonica.
L’unico movimento è concesso agli animali, alle scimmiette ragno che a nugoli agili imperversano frenetiche sulla zattera superstite dei morituri, prigioniera del fiume, della foresta alla vista impenetrabile, degli indios cannibali con frecce al curaro, invisibili, letali, alla farfalla monarca tra le mani dell’armigero spagnolo che imprevedibilmente vola via e gli si posa sulla spalla.
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La lentezza del film è spasmodica. Le riprese indugiano in inquadrature statiche, gli attori immobili recitano la loro parte al centro della Natura. L’impetuosa valanga di melma marrone, con tranelli di vortici, del Rio Napo investe la telecamera quasi travolgendola. La navigazione continua nel Rio delle Amazzoni che imponente e ammaliante scorre attraverso la foresta amazzonica.
L’unico movimento è concesso agli animali, alle scimmiette ragno che a nugoli agili imperversano frenetiche sulla zattera superstite dei morituri, prigioniera del fiume, della foresta alla vista impenetrabile, degli indios cannibali con frecce al curaro, invisibili, letali, alla farfalla monarca tra le mani dell’armigero spagnolo che imprevedibilmente vola via e gli si posa sulla spalla.
La fotografia è destinata agli umani, nell’assenza di movimento il simbolo della morte che i cosiddetti civilizzatori portano nel cuore, la loro sete di dominio, il potere fine a sé stesso, il mito della terra dell’oro. La chiesa, per ammissione dello stesso missionario, si schiera sempre dalla parte dei potenti. Le donne sono trattate come oggetti decorativi, issate in portantina sulle spalle degli schiavi indigeni, assistono passive, imperturbabili, alla tragedia.
Il dramma della scissione, il tradimento di Aguirre del comandante Gonzalo, fratello del grande Pizarro, della madre patria, la follia di Kinski che vaneggia nell’ultima scena di creare un impero a scapito delle conquiste spagnole d’oltreoceano, iniziando una stirpe eterna prendendo in sposa la figlia (e chi ha scritto la sceneggiatura è il suo amico Herzog) è tutto nei dialoghi, nel flusso delle parole che determinano la condanna a morte nel grottesco processo, presieduto dal soldato eletto imperatore fantoccio, inscenato nel mezzo della giungla.
L’inanità delle imprese umane, il volgere del tempo che lentamente, come lento è il film, lenti i movimenti degli attori, lente le zattere sullo scorrere lento delle acque del fiume, ma, inesorabilmente, tutto cancella.
Impossibile dire che il film non annoia, altrettanto impossibile dire che il film è brutto. Esteticamente perfetto, non emoziona, non coinvolge, documenta un avvenimento storico, è una condanna senza appello della civiltà della vecchia Europa colta agli inizi dell’opera di conquista e di distruzione del nuovo mondo, quando ancora vi si opponevano con successo forze naturali, rappresentate icasticamente in una delle prime scene dalla tumultuosità del fiume in piena che quasi ci travolge, tutto il resto è un album di cose antiche che già sappiamo, sono foto ingiallite delle gesta oscene dei nostri antenati che fondarono la nostra attuale civiltà che vive ancora di quelle illusioni, la supposta superiorità culturale del mondo occidentale, il mito del denaro e del potere che promettono salvezza e vita eterna, il dominio incontrastato sulla Natura.
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tomdoniphon
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sabato 26 luglio 2014
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il primo film del sodalizio herzog-kinski
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Una spedizione di conquistadores parte alla ricerca del mitico Eldorado, ma solo un piccolo gruppo, guidato dal luogotenente Aguirre (Kinski), avrà il coraggio di continuare l'impossibile ricerca nella foresta fino alla morte. Uno dei capolavori assoluti del Cinema. Il primo dei cinque film di Herzog con l'attore Klaus Kinski. Al centro del film una delle tematiche centrali del cinema del grande regista tedesco: la follia dell'uomo a contatto con la natura indifferente. Herzog, soprattutto all'inizio della propria carriera, viveva ogni film come una sfida estrema arrivando a trascinare la troupe in luoghi impervi e selvaggi, così da intrappolare l'essenza stessa della natura.
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Una spedizione di conquistadores parte alla ricerca del mitico Eldorado, ma solo un piccolo gruppo, guidato dal luogotenente Aguirre (Kinski), avrà il coraggio di continuare l'impossibile ricerca nella foresta fino alla morte. Uno dei capolavori assoluti del Cinema. Il primo dei cinque film di Herzog con l'attore Klaus Kinski. Al centro del film una delle tematiche centrali del cinema del grande regista tedesco: la follia dell'uomo a contatto con la natura indifferente. Herzog, soprattutto all'inizio della propria carriera, viveva ogni film come una sfida estrema arrivando a trascinare la troupe in luoghi impervi e selvaggi, così da intrappolare l'essenza stessa della natura. A questo proposito, si veda la spettacolare sequenza iniziale che immortala la spedizione che scende da una ripidissima montagna nei pressi del Machu Picchu: Herzog non riprende lo spettacolo della montagna peruviana come in un film-cartolina in stile hollywoodiano, ma con un dettaglio in cui, per citare lo stesso Herzog, "divenissero visibili tutto il dramma, l'orrore e il pathos umano". In sottofondo, poi, vi è una acuta riflessione sulla follia (e megalomania) cui conduce l'imperialismo coloniale: così, la sequenza conclusiva del film (una delle più belle del Cinema), in cui Kinski-Aguirre rimane solo nella zattera piena di scimmie impaurite, può essere letta come un preludio del coppoliano "Apocalypse now". Indimenticabile.
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greatsteven
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sabato 2 giugno 2018
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personalità di un luogotenente inferocito.
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AGUIRRE, FURORE DI DIO (RDT, 1972) diretto da WERNER HERZOG. Interpretato da KLAUS KINSKI, HELENA ROJO, DEL NEGRO, RUY GUERRA, PETER BERLING, CECILIA RIVERA, ALEJANDRO REPULLES
1560, Perù: una spericolata spedizione spagnola di conquistadores si addentra nell’inestricabile giungla amazzonica per ricercare il leggendario El Dorado. Il sanguinario e spregiudicato luogotenente Lope de Aguirre, con un clamoroso colpo di mano inaspettato, prende il possesso dell’impresa conducendola alla perdizione e alla sconfitta completa. Il primo eccezionale esito del sodalizio artistico fra Kinski e Herzog che rivelò fuori dalle due Germanie di allora il talento visionario del regista tedesco.
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AGUIRRE, FURORE DI DIO (RDT, 1972) diretto da WERNER HERZOG. Interpretato da KLAUS KINSKI, HELENA ROJO, DEL NEGRO, RUY GUERRA, PETER BERLING, CECILIA RIVERA, ALEJANDRO REPULLES
1560, Perù: una spericolata spedizione spagnola di conquistadores si addentra nell’inestricabile giungla amazzonica per ricercare il leggendario El Dorado. Il sanguinario e spregiudicato luogotenente Lope de Aguirre, con un clamoroso colpo di mano inaspettato, prende il possesso dell’impresa conducendola alla perdizione e alla sconfitta completa. Il primo eccezionale esito del sodalizio artistico fra Kinski e Herzog che rivelò fuori dalle due Germanie di allora il talento visionario del regista tedesco. Spesso, al DVD, è abbinato il documentario La ballata del piccolo soldato, uno dei più toccanti mai realizzati da Herzog, il quale fu però oggetto di polemiche all’epoca della sua uscita per quanto trattava: la guerra in Nicaragua condotta da bambini-soldato misquitos contro i sandinisti. All’epoca delle riprese del film in questione, Herzog era un regista nemmeno trentenne dalle idee fortemente limpide, cui aveva già dato forma nelle pellicole precedenti, ma che finalmente riesce a collezionare in maniera compiuta in un peplum di rara potenza visiva e compattezza concettuale. Pura meraviglia: l’opera s’apre catapultando lo spettatore in uno degli inizi più celebri e magnifici della storia del cinema, con una sequenza che mostra la natura intenta a combattere contro sé stessa: un torrente nel pieno della sua furia, vette maestose ricoperte dalle nubi. E poi il profilo d’una montagna inondata di foschia ed una sterminata fila di uomini che scende faticosamente i sentieri rocciosi come ad animare la nuda pietra di un’aspra natura. È il Machu Pichu, una delle più incredibili location che la Terra possa offrire, ma il taglio della ripresa di Herzog ce ne consegna una minima porzione, così da non impoverire con un’ampia inquadratura descrittiva la potenza onirica dell’immagine di un paesaggio che sembra prender vita. E tutto ciò solo nei primi tre minuti di proiezione. Poi Kinski compare con sguardo cupo nei panni del protagonista Lope de Aguirre sancendo lapidario, con occhi rivolti all’impetuoso Rio delle Amazzoni: «Nessuno di noi arriverà vivo laggiù». Kinski, attore-feticcio nonché estensione corporea delle idee del regista, qui alla sua prima difficoltosa collaborazione con Herzog, incarna la quintessenza di quel senso d’incubo che pervade il film e che, svolgendosi, emergerà sempre di più perché fluisce da una visione della natura, che prende il sopravvento sugli uomini così come conquista il cuore dell’opera: le malattie decimano i partecipanti alla spedizione, la foresta li bracca e ogni movimento richiede sforzi immani. Possenti cannoni che potrebbero radere al suolo intere città nulla possono nella fanghiglia della giungla in cui s’incagliano. Ma, lungi dall’elaborare un’ingenua retorica filo-naturalistica che esalta la superiorità della natura sull’uomo nella bieca misurazione fra i due poli, Herzog sana ogni possibile scissione e mostra l’uomo come elemento naturale integrato appieno nel cosmo in cui si muove: in tale contesto, solo colui che fra gli uomini meglio interpreta il più intrinseco modo di essere della natura, s’afferma. Costui è Aguirre. Aguirre, la cui furia è specchio di quella degli elementi naturali presso i quali è testimone e agente e che lo circondano. Aguirre, che ferino si muove come un pericoloso predatore. E qui ci si avvicina al cuore tematico del film. Non esistono molteplici regni ontici nella visione herzoghiana, ma un unico cosmo che abbraccia l’intero dell’esistente: l’uomo è tanto animale quanto lo è un cavallo, partecipa tanto alla natura quanto vi prende parte un torrente. Herzog disegna la foresta come un luogo primitivo in cui l’imperfetta creazione non è ancora completa, quasi come un brodo primordiale in cui ogni sostanza culturale è velleità, prodotto alienante che allontana l’uomo da sé stesso, e viene a perire infrangendosi contro la bruta e spietata violenza circostante. Allora l’unica dicotomia che si crea è in seno al genere umano: l’uomo, rivolgendosi verso sé stesso, può o identificarsi coi propri costrutti e artifici che sottopone al vocabolo cultura, o divenire ciò che già è, animale fra gli animali. Nel profondo della foresta amazzonica, la cultura soccombe: ordigni materiali come i cannoni si rivelano inutili, la pompa dei palazzi reali è pletorica e ridicola, i culti religiosi si rivelano essere camuffamenti dell’impresa di colonizzazione. Aguirre non ha Dio e lo dichiara al frate che prende parte alla spedizione e della quale (ma solo nella finzione scenica, perché in realtà ne fu estraneo) si viene a sapere solo mediante il suo diario di memorie: «Prete, vedi di pregare, altrimenti il TUO Dio te la farà pagare cara». Egli non appartiene ad un’entità ultraterrena, è artefice di giochi politici nella misura in cui può così appagare il suo abissale istinto, si sforza allo sfinimento di far valere la legge del più forte. In questo modo, il traditore Aguirre si fa gioco di tutti gli aspetti della cultura umana rivoltandoli contro sé stessi e in questa flessione emergono ostilità, caos ed omicidio, come comuni denominatori di un universo che non conosce armonia, ma ingloba, ipnotizza o annienta. Aguirre è specchio di tale mondo e in questa sua ri-flessione amplifica l’incomprensibile oscurità della giungla, divenendo un individuo indecifrabile. Così anche la sua follia è la medesima della natura che sta intorno a lui: un’insaziabile brama di sopraffazione, un’aspirazione al dominio che non si placa fino all’annichilimento di ogni opposizione. Ma questa pazzia del luogotenente è solo il lato ombroso e originario di una cultura onnivora ed imperialista che, nel suo tentativo di annettere tutto quello che reputa estraneo, ragiona per metonimia e sineddoche: la presenza di una collana d’oro è segno che El Dorado esiste, la Bibbia in quanto parola di Dio testimonia l’esistenza dello Stesso. Infine Aguirre, traditore dei traditori, mira così in alto seguendo un interiore, animalesco bisogno tanto da trovarsi infine a capo di un esercito di cadaveri e scimmie. Questa visione dell’eroe rende Herzog il cantore dei grandi perdenti perché nel suo mondo non esiste grandezza senza un’inevitabile e tragica sconfitta, ed i suoi personaggi inafferrabili ad una mente che non pensa, ma calcola in base a concetti di utile o guadagno. Girato con soldi 370.000 dollari, di cui un terzo la paga di Kinski. Dopo un iniziale insuccesso di pubblico in Germania che indispose Herzog, l’opera divenne un cult movie e si rese giustizia da sé conquistandosi un ampio favore presso la critica mondiale.
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lucaguar
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sabato 18 giugno 2022
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compassato ma interessante
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Aguirre furore di Dio è un viaggio nella storia e al contempo nella natura. Se dovessi definire infatti uno dei temi portanti della filmografia di Herzog sarebbe proprio questo, il continuo, controverso, difficile rapporto tra una natura che a volte è madre e altre volte matrigna, e un'umanità sempre da redimere, offuscata e oppressa dalle sue ombre. Nel 1560, nell'epoca delle scoperte geografiche, una parte della spedizione guidata da Pizarro nelle terre più impervie dell'America latina viene inviata alla ricerca del mitico El Dorado, una sorta di paradiso terrestre in cui si troverebbero tesori preziosissimi. Questo manipolo di uomini deve affrontare l'asprezza della foresta amazzonica, la selvaggia opposizione degli indios che vogliono difendere le loro terre natie e lo spaventoso e pericoloso fluire del Rio delle Amazzoni.
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Aguirre furore di Dio è un viaggio nella storia e al contempo nella natura. Se dovessi definire infatti uno dei temi portanti della filmografia di Herzog sarebbe proprio questo, il continuo, controverso, difficile rapporto tra una natura che a volte è madre e altre volte matrigna, e un'umanità sempre da redimere, offuscata e oppressa dalle sue ombre. Nel 1560, nell'epoca delle scoperte geografiche, una parte della spedizione guidata da Pizarro nelle terre più impervie dell'America latina viene inviata alla ricerca del mitico El Dorado, una sorta di paradiso terrestre in cui si troverebbero tesori preziosissimi. Questo manipolo di uomini deve affrontare l'asprezza della foresta amazzonica, la selvaggia opposizione degli indios che vogliono difendere le loro terre natie e lo spaventoso e pericoloso fluire del Rio delle Amazzoni. A capo vi è Ursua il quale, dopo alcune incomprensioni e discussioni, subisce una sorta di ammutinamento da parte dei suoi e in particolare da parte del vice comandante Aguirre. Dopo di lui allora viene nominato un nuovo capo, De Guzman, sebbene reticente, ma ben presto viene anche lui eliminato e Aguirre ne approfitta per scatenare tutta la sua furia: fa impiccare Ursua e comincia a prendere decisamente le redini, tenendo discorsi folli, assetati di una brama di potere irrefrenabile, e intenzionato addirittura ad uccidere violentemente e squartare chiunque si metta contro di lui e dichiarando addirittura di voler sposare la figlia per ottenere una razza pura.
Film impeccabile dal punto di vista della fotografia, come sempre accade con Herzog: la natura è rappresentata in tutta la sua ambiguità, minacciosa e pericolosa, mai armonica fino in fondo. Un altro tema importante è la riflessione sull'uomo europeo, sempre inquieto e mosso da una continua spinta colonizzatrice e "civilizzatrice", guidato da una ragione ritenuta strumento di onnipotenza e da una religione che ha un compito di giustificazione rispetto al potere, (come dice il frate a seguito della spedizione) e un vangelo della libertà e dell'amore che deve essere forzatamente (e paradossalmente) imposto alle popolazioni indigene; la scena simbolo di questi temi è quella del frate che dona una bibbia all'indios e questi che non comprende cosa sia la "parola di Dio" viene violentemente attaccato e ucciso. Un terzo e importante tema è certamente quello della follia, della pazzia che aleggia sempre in tutti i personaggi dipinti da Herzog: qui Aguirre è preso da una mania di grandezza che lo porta ad essere disposto a tutto pur di esercitare arbitrariamente il potere, e neanche l'oro può placare la sua volontà di potenza, che rappresenta la volontà di potenza dell'Occidente (ecco il collegamento con il tema precedente) che tutto vuole imporre e di cui tutto vuole disporre, fino alla follia. Aguirre furore di Dio non è un film che scorre facilmente, il ritmo è cadenzato e non è certo un semplice film di avventura o di intrattenimento; non ha la profonda e sottile eleganza di Nosferatu ma è un comunque una pellicola ricca di spunti anche se non è certamente il punto più alto della carriera di Herzog. Su tutti i temi che ho citato non giunge mai ad una compiutezza, tutto è soltanto accennato, e questo non giova all'intreccio e ancor meno al ritmo del film, che risulta nel complesso con pochi scossoni.
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jacopo b98
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martedì 16 settembre 2014
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herzog: furore di dio!
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Un gruppo di conquistadores, guidati da Gonzalo Pizarro (Repulles) sono alla ricerca del mitico Eldorado. Ma nell’impossibilità di proseguire per la pesantezza del viaggio e per la mancanza di provviste, Pizarro sceglie un gruppetto di soldati da mandare in avanti, in avanscoperta e alla ricerca di provviste. Ne affida la guida a Pedro de Ursua (Guerrav), che però viene ucciso dal vice-capo della spedizione, Lope de Aguirre (Kinski), che si ribella all’Impero spagnolo, fonda un regno nella foresta e si autoproclama imperatore. Anche di fronte all’impossibilità di trovare Eldorado, Aguirre e i suoi folli seguaci preferiranno continuare il viaggio fino alla morte, che non arrendersi alla evidente sconfitta.
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Un gruppo di conquistadores, guidati da Gonzalo Pizarro (Repulles) sono alla ricerca del mitico Eldorado. Ma nell’impossibilità di proseguire per la pesantezza del viaggio e per la mancanza di provviste, Pizarro sceglie un gruppetto di soldati da mandare in avanti, in avanscoperta e alla ricerca di provviste. Ne affida la guida a Pedro de Ursua (Guerrav), che però viene ucciso dal vice-capo della spedizione, Lope de Aguirre (Kinski), che si ribella all’Impero spagnolo, fonda un regno nella foresta e si autoproclama imperatore. Anche di fronte all’impossibilità di trovare Eldorado, Aguirre e i suoi folli seguaci preferiranno continuare il viaggio fino alla morte, che non arrendersi alla evidente sconfitta. Scritto e diretto dall’allora men che trentenne Werner Herzog Aguirre, furore di Dio è considerato unanimemente un capolavoro, e senza dubbio lo è: sicuramente infatti è il più grande risultato del sodalizio Herzog-Kinski e uno dei migliori film del regista tedesco. Tuttavia bisogna ammettere che non è propriamente un “film per tutti”: la minima quantità di dialoghi, la pesantezza e la monotonia dell’ambientazione e della messa in scena di Herzog (che pur ha fatto storia), le musiche ripetitive, lo rendono di certo un gran film per cinefili, ma consiglio vivamente, a chiunque non sia un cinefilo incallito come me, di starci alla larga. E devo ammettere che anch’io, che mi sono sorbito davvero di tutto nella mia “carriera cinefila”, qui mi son trovato davvero in difficoltà. Comunque è innegabile che le riflessioni messe in scena da Herzog siano immense e alcuni monologhi di Aguirre sono di indubbia potenza. Oltre al fatto che l’interpretazione di Kinski è oggettivamente notevole e alcune immagini davvero suggestive, grazie soprattutto alla straordinaria fotografia di Thomas Mauch. Le riprese (durate 5 settimane) furono complicatissime e Kinski minacciò svariate volte di andarsene dal set (e per impedirglielo Herzog arrivò anche a minacciarlo con un fucile), oltre al fatto che sfogò la sua rabbia sulla povera moglie vietnamita che più volte sul set venne picchiata a sangue, durante gli scatti d’ira dell’attore.
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biso 93
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martedì 12 aprile 2016
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fonte d'ispirazione
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Ho visto Aguirre furore di dio subito dopo aver visti Nosferatu, il remake del film di Marnau sempre diretto da Herzog e interpretato da Klaus Kinski; anche in questa occasione non sono rimasto deluso anzi, ho visto un altro gran bel film. Il film ti trasmette la forza della natura, la risalta nell'impenetrabile foresta pluviale, riflette la follia dell'uomo e fino a che punto essa puo' spingersi, il potere che contagia l'uomo. Molte delle emozioni ovviamente sono trasmesse allo spettatore dall'immensa interpretazione di Kinski. Incredibile. Attore difficile e persona molto ambigua e allo stesso tempo geniale. La regia di Herzog e' di alto livello, sembra sfiorare gli attori.
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Ho visto Aguirre furore di dio subito dopo aver visti Nosferatu, il remake del film di Marnau sempre diretto da Herzog e interpretato da Klaus Kinski; anche in questa occasione non sono rimasto deluso anzi, ho visto un altro gran bel film. Il film ti trasmette la forza della natura, la risalta nell'impenetrabile foresta pluviale, riflette la follia dell'uomo e fino a che punto essa puo' spingersi, il potere che contagia l'uomo. Molte delle emozioni ovviamente sono trasmesse allo spettatore dall'immensa interpretazione di Kinski. Incredibile. Attore difficile e persona molto ambigua e allo stesso tempo geniale. La regia di Herzog e' di alto livello, sembra sfiorare gli attori. Film lento ma non lungo e noiso. Qualche sferzata di azione in piu' forse non avrebbe guastato ma ad Herzog piace di piu' trasmettere che mostrare. Guardandolo si nota subito che questo film e' stato grande fonte d'ispirazione per molte pellicole successive, in primis Apocalypse Now. Vivamente consigliato!
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danko188
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mercoledì 2 marzo 2016
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la quintessenza del cinema di herzog
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Con un attore protagonista tanto bravo quanto folle, un budget così ristretto, un ambiente così ostile e selvaggio solo a quella vecchia volpe di Herzog poteva riuscire una tale impresa di produzione. Scevro da ogni possibile disagio l'allora 30enne nato a Monaco ebbe il grande merito di tramutare ogni eventuale difficoltà in un punto di forza: così si ritrovò al suo servizio l'espressività agghiacciante e impavida di Kinski e un background scenografico mozzafiato sebbene sia stato arduo venirne a patti.
Il regista ha raccontato che dopo aver completato la sceneggiatura in appena due giorni, si ritrovò sul pullman di una squadra di calcio uscita vittoriosa da una partita, un giocatore, ubriaco, vomitò senza ritegno su alcune pagine del manoscritto, quello che avrebbe dovuto essere il finale di questo film ormai inutilizzabile andò così gettato dal finestrino di quel pullman e completamente dimeticato.
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Con un attore protagonista tanto bravo quanto folle, un budget così ristretto, un ambiente così ostile e selvaggio solo a quella vecchia volpe di Herzog poteva riuscire una tale impresa di produzione. Scevro da ogni possibile disagio l'allora 30enne nato a Monaco ebbe il grande merito di tramutare ogni eventuale difficoltà in un punto di forza: così si ritrovò al suo servizio l'espressività agghiacciante e impavida di Kinski e un background scenografico mozzafiato sebbene sia stato arduo venirne a patti.
Il regista ha raccontato che dopo aver completato la sceneggiatura in appena due giorni, si ritrovò sul pullman di una squadra di calcio uscita vittoriosa da una partita, un giocatore, ubriaco, vomitò senza ritegno su alcune pagine del manoscritto, quello che avrebbe dovuto essere il finale di questo film ormai inutilizzabile andò così gettato dal finestrino di quel pullman e completamente dimeticato.
Un'altra disavventura narrata dal tedesco nel documentario Kinski, mein liebster Feind, prevede che a lavori terminati non venne stato svegliato in orario dagli indios con cui si era raccomandato per prendere l'unico treno utile che avrebbe riportato a casa Werner e il suo prezioso girato. Fu così che egli dovette rincorrerlo con in braccio il materiale di Aguirre.
A suo tempo la critica espresse giudizi molto positivi nonostante l'insuccesso ai botteghini, premiando in particolare la fotografia, determinante. Ad uno spettatore del 2016, abituato ad un effetto più plastico della messa in scena e con una sempre ragguardevole dose di effetti speciali quando si parla di genere d'avventura, un approccio brusco ad un film così datato potrà risultare sconcertante. Mettiamo in chiaro che questo è un film per veri cinefili, colmo di quella imperfezione vintage che ha il sapore di una bellezza proibitiva e artigianale che rende ancor più apprezzabili gli sforzi dell'intera troupe.
Aguirre furore di Dio è la quintessenza del cinema di Werner Herzog, l’impresa che gli avrebbe cambiato la vita e a cui un'infinità di film tentarono vanamente di avvicinarsi, da cui registi come Coppola e Malick (si noti la voce fuori campo) presero più di qualche ispirazione... e poi che dire dell'inizio dello psicotico sodalizio con Kinski, qui in un ruolo cucito su misura per lui, per i suoi occhi pieni di disincanto, che ostentano megalomania.
Anno 1500 ca. E' già chiaro sin dall'inizio quel che sarà della spedizione dei conquistadores spagnoli, quando li si vede discendere una ripida discesa montuosa, metafora di un baratro nel quale si sta irrimediabilmente sconfinando, un percorso angusto, irto di ostacoli, contro un nemico invisibile, avvolto nella foresta amazzonica.
Se lo Stalker di Tarkovskij è un viaggio allegorico sulla sete di conoscenza, Aguirre di Herzog è un viaggio verso una meta che non c'è, e nell'attraversare l'Inesatto, la cupidigia del potere si impossessa dell'uomo ancor più della sete di denaro: "A me non interessa l'oro. L'oro lo lascio ai servi, a me interessa il potere" sentenzia Aguirre dopo aver preso il controllo della spedizione.
L'uomo raccontato da Herzog in questo film è un essere furioso, fuori controllo, uno sciacallo indomabile che medita tradimento, dominato da una brama di potere irrefrenabile, tale da portarlo a sfidare la natura impervia e ignota (sfruttata a pieno la metafora El Dorado) arrivando persino ad accostarsi a Dio.
Una mania di grandezza talmente accecante che sembra non porre limiti nemmeno a quelli che dovrebbero essere i normali rapporti familiari: "Quando regnerò questa terra sposerò mia figlia. Avremo una razza pura"; nè la minima cura delle forme di vita che lo circondano, emblematico è a questo proposito il sacrificio di un cavallo per una futile motivazione.
Non c'è coscienza, non c'è consapevolezza e per quanto sottile possa essere talvolta il divario tra speme ed illusione, la prima pare proprio non avere scampo. La seconda invece, sembra travalicare ogni percezione della realtà, il fallimento, la morte stessa.
Furore di Dio non ha la stessa freschezza e brillantezza nella messa in scena di Nosferatu, capolavoro della maturità di Herzog. E' però uno di quei film pervasi da un pathos speciale, quasi sacro, misterioso, un film atemporale, destinato a conservare il suo fascino un po’ retrò, incurante del tempo che passa, inconsapevolmente, come a me piace immaginare Aguirre perseverare nelle sue gesta, affrontare il Rio delle Amazzoni, inseguendo El Dorado in preda alla sua collera.
VOTO 10
Danko188
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