Il sociologo se ne è andato all’età di 93 anni.
di Pino Farinotti
Francesco Alberoni è stato una delle più geniali e rivoluzionarie intelligenze della nostra epoca. Ha studiato i sentimenti e i movimenti. Ha condizionato l’industria e il comportamento. Era, con Umberto Eco, lo scrittore italiano più letto nel mondo.
Detto questo, e molto sarà detto sui media, il mio ricordo intende essere personale. Ne uscirà l’uomo privato.
Era il 2001 e Giuliano Urbani, ministro dei beni culturali, col quale collaboravo, nominò Alberoni presidente del Centro Sperimentale, Scuola nazionale del cinema. Alberoni non era un esperto in materia ma Urbani gli disse che lo avrebbe messo in buone mani e gli diede il mio numero di telefono. Per tre giorni, in casa del professore al Carrobbio, divenni docente (!) di Alberoni. Nacque da quel momento un rapporto, professionale e umano, che negli anni sarebbe diventato sempre più profondo e intimo.
Quando divenne Presidente della Rai io ebbi la delega per lo spettacolo. Passavamo giornate, magari notti, al settimo piano del palazzo.
E qui sto agli episodi. Una volta tornavamo in aereo da Roma, lui era stanco, aveva subito di recente un trapianto di reni che gli lasciava ancora qualche conseguenza.
Mi disse: “Devo salvaguardarmi, perché il paese ha bisogno di me”. Una frase come questa era l’unico che potesse permetterla nel “paese”.
Con mia moglie Daniela, alla quale Franco voleva molto bene, abbiamo passato molte estati nella villa in Versiliana. E quanti fine anno abbiamo trascorso insieme. Ormai il rapporto era diventato quotidiano. Eravamo i primi, reciprocamente, a leggere i libri che stavamo scrivendo. Franco ne ha presentati alcuni dei miei, e io dei suoi. Un ricordo è questo. Due anni fa il professore era stato invitato a Viareggio per la presentazione di un libro firmato da lui e da Cristina Cattaneo, la sua compagna. Ma Alberoni non stava bene, non se la sentiva di muoversi. Così mi disse: “Pino tu mi conosci bene, vai tu. Devi essere me.” E così cercai di dare del mio meglio. Ma non era facile “essere” Alberoni.
Il Corriere, dove aveva tenuto la sua rubrica in prima pagina per 26 anni, non gli rinnovò il contratto. Passò al Giornale ma per poco tempo. Negli ultimi anni non aveva più uno spazio su cui scrivere. E questo lo deprimeva. Inoltre, a fronte delle vicende che i media raccontavano e dove venivano invitati centinaia di personaggi in televisione, Alberoni, che pure era davanti molte lunghezze rispetto a tutti, non venne mai chiamato.
Ormai ci sentivamo tutti i giorni. “Dai, Pino, vieni che parliamo.” E con Daniela ascoltavamo li sue idee che erano sempre quelle del grande sociologo.
Ritengo che ci sia un episodio preciso da rilevare. Nel luglio dello scorso anno, scendendo dalla macchina a un Autogrill, Franco si ruppe il femore. Da quel momento per la sua salute è stato un declino impietoso. Negli ultimi mesi era costretto alla dialisi, in casa, sei ore al giorno. Aveva problemi al cuore e ai polmoni. Tutti i valori erano alterati. Non camminava più. Tuttavia volle venire, il 26 giugno, alla Milanesiana dove io presentavo il mio film su Alessandro Manzoni. Elisabetta Sgarbi lo annunciò “Abbiamo l’onore di avere con noi Francesco Alberoni”. Era su una sedia a rotelle, sorrideva a fatica alle persone che lo avevano circondato. L’ho visto ancora una volta a casa sua, e ancora diceva la sua sul sociale e la politica. Poi la situazione è precipitata ed è stato ricoverato. Cristina, che ha reso felici gli ultimi anni di Franco, ne ho le prove, alle dieci di sera del 14 ha chiamato Daniela. Voleva che la notizia della morte di Franco fosse mia moglie a darmela.
Dopo queste righe credo sia inutile che dica del mio dolore.