Las Acacias |
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Un film di Pablo Giorgelli.
Con Germán de Silva, Nayra Calle Mamani, Hebe Duarte, Monica Coca, Lili Lopez
Drammatico,
durata 85 min.
- Argentina, Spagna 2011.
- Cineclub Internazionale
uscita giovedì 3 ottobre 2013.
MYMONETRO
Las Acacias
valutazione media:
3,38
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Il camionero argentino e la piccola dea guaranìdi Riccardo TavaniFeedback: 33555 | altri commenti e recensioni di Riccardo Tavani |
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mercoledì 15 giugno 2011 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Rubén è un camionero veterano, duro e silenzioso come gli enormi tronchi di legno che deve trasportare con il suo vecchio bisonte della strada da Asunción del Paraguay a Buenos Aires. Questa volta, però, non solo tronchi deve caricare, ma anche una donna che il suo committente gli ha raccomandato. La donna, dai tratti meticci e il cui nome è Giacinta, si presenta all’appuntamento anche lei con un suo piccolo carico particolare, oltre i due borsoni da viaggio. È una bambina, Anahí, dagli spiccati caratteri degli indios guaranì di soli cinque mesi. Il cliente per cui lavora, forse conoscendo la corteccia ruvida di Rubén, aveva omesso il dettaglio e questo infastidisce non poco il rude camionero argentino. Non può più prosciugare una dietro l’altra le sue sigarette mentre è al volante, a ogni frignare della niña deve fermare il bisonte per scaldarle il biberon o cambiarle il pannolino. Al confine tra i due paesi, la polizia argentina controlla i documenti della donna e chiede se ha il permesso del padre della bambina per l’espatrio. Giacinta risponde: “No hay padre”, non c’è nessun padre. Viene diffidata a rientrare alla scadenza inesorabile del suo permesso, ovvero tre mesi. Il viaggio procede così, tra il silenzio dei due, le smorfie deliziose e sorprendenti della nena. La sola voce che si sente è quella un po’ ansimante del vetusto ma ancora sicuro motore. Poi c’è la lingua muta ma eloquente del mutevole paesaggio argentino che scorre dietro i vetri. L’unica cosa che i due si scambiano è qualche sorso di mate, la tradizionale bevanda argentina, succhiandolo entrambi con la stessa bombilla, cannuccia, e dallo stesso porongo, il tipico contenitore. Le poche domande smozzicate che i due si scambiano fanno però emergere il lato della solitudine amara, rassegnata, senza speranza in cui vive Rubén. Mentre Giacinta ha una condizione materiale difficile, incerta, ma con un’apertura fiduciosa verso il futuro, Rubén è come un vecchio albero dal passato ricco di linfe, rami, foglie e germogli ma che si sta inesorabilmente rinsecchendo. Il contatto ravvicinato, tutta quelle ore di viaggio nella cabina del camion con Giacinta e la piccola dea india Anahì gli mettono di fronte, forse per la prima volta in maniera inequivocabile, questa sua condizione di disperazione taciuta ma non per questo meno sofferta. Il suo mutamento nei confronti della donna e della bambina è impercettibile, sempre trattenuto sotto la scorza scabra del suo carattere, ma sensibile con l’aumentare dei chilometri percorsi e l’avvicinarsi di Buenos Aires. Pablo Giorgelli riesce a realizzare una pellicola di rara intensità emozionale con pochi, essenziali tratti cinematografici e più silenzi che parole. Eppure, a sentire lui, ha impiegato anni a scrivere e riscrivere questo copione, o piuttosto, ad asciugarlo e prosciugarlo fino a una soglia delicata oltre la quale il film si sarebbe dissolto. L’acacia, oltre a essere l’albero della mimosa, è anche il simbolo di una purezza vigorosa, e quella bianca di amore platonico. Una pianta che sa come non appassire e rinascere continuamente nel corso delle stagioni. In tanto scarno discorso cinematografico non devono sfuggire i densi significati iconografici. Rubén, nella parte finale della pellicola, indossa una camicia a quadri degli stessi colori della bandiera argentina, bianca e celeste. Forse, dopo tanta disperazione, questo film indica in maniera semplice ma profonda a un intero paese come aprirsi e rifiorire.
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