Julieta

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Un film di Pedro Almodóvar. Con Emma Suarèz, Adriana Ugarte, Daniel Grao, Inma Cuesta, Darío Grandinetti.
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Titolo originale Silencio. Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 99 min. - Spagna 2016. - Warner Bros Italia uscita giovedì 26 maggio 2016. MYMONETRO Julieta * * * 1/2 - valutazione media: 3,52 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

La triplice visione di Julieta Valutazione 3 stelle su cinque

di Riccardo Tavani


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sabato 26 novembre 2016

Fin dalla prima scena d’incontro casuale tra Julieta e Beatriz, un’amica d’infanzia di sua figlia Antia, si capisce che Pedro Almodóvar vuole andare alla radice buia di un senso dell’esistenza Molte cose avvengono per caso in questo film, ma questa casualità ha poco di arbitrario, giacché è legata alla morte. La morte – per la nostra civiltà – non è un accadimento possibile ma necessario. Casuale è il momento in cui accade, non che avvenga. Ecco la radice dell’esistenza cui punta narrazione-visione di Almodóvar. Da questa radice scaturisce una pianta inquietante: il senso di colpa. Il senso di colpa non riguarda solo la morte dei familiari o delle persone più vicine. No, esso riguarda la morte in sé. Lo dimostra la scena sul treno che Julieta ricostruisce nella lettera ad Antia. Un passeggero anziano prende posto nello scompartimento in cui lei – ancora ragazza – viaggia da sola. Quell’uomo vorrebbe parlare un po’, ma la giovane Julieta si alza e va con un libro nella carrozza bar. Qui conosce Xoan, il futuro padre di sua figlia. L’anziano nello scompartimento, però, approfittando della fermata in una stazioncina di campagna, si butta sotto il treno, appena questo riparte. Julieta vive il suicidio dello sconosciuto come una sua colpa. Si avvinghia in uno scompartimento vuoto a Xoan e così concepiscono Antia. Il racconto prosegue con una successione concatenata di trance de vie e trance de mort, brani di vita e di morte nella storia di madre e figlia, fino quasi alla stessa morte di Julieta. Sembra che l’autore abbia bisogno di rinnovare l’evento della morte per svelare che il conseguente senso di colpa è il vero seme nero dal quale germogliano la vita e l’amore. L’amore, però, è sempre amore solo e soltanto per la vita, fino al punto di desiderare di riprodurla continuamente e di soffrire a non farlo. Così, dopo che l’anonimo passeggero si è buttato sotto il treno, Julieta – addossandosi la colpa di quel suicidio – si butta istintivamente tra le braccia di Xoan per rigenerare immediatamente un’altra vita, come a compensare quella appena perduta. La reiterazione dell’evento morte – che si ripresenta casualmente quasi negli stessi modi o nelle stesse relazioni tra i pochi familiari protagonisti della vicenda – rischia il parossismo narrativo. Nel mostrare questa catena luttuosa nell’arco di tre generazioni – rappresentando Julieta quella di mezzo – all’autore, però, preme mostrare una sorta di chiusura, se non proprio pacificata, almeno attenuata del circolo di morte-colpa-vita. Allora è la vicenda di un’intera civiltà – la nostra – a essere una storia del senso di colpa davanti alla morte. Il cinema è quella lingua della civiltà occidentale che parla in forma di immagini, di visione della storia. Visione della morte e della colpa. E visione legata – non è la prima volta nell’autore e non a caso – alla figura della madre. La visione, però, potrebbe anche essere aberrata all’origine, quasi indossassimo occhiali con lenti deformate, velate, colorate, come quelle di un credo, di una fede ingiustificata. Nel meccanismo da compensazione karmica del finale, l’autore sembra mostrare una piena accettazione, se non addirittura sottomissione alla tragica trinità o trimurti che vela e ri-vela il suo sguardo. Eppure compito di ogni arte, soprattutto quella delle immagini, è non limitarsi a riprodurre una visione ma a cercare quegli intrinseci elementi critici in grado di produrre dal suo interno un più alto contenuto di verità.

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