giuliacanova
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mercoledì 28 marzo 2012
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potente!
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Meraviglioso! Estasiata dalle immagini e dalla spettacolare fotogafia. Raffinata prova di sperimentazione stilistica cinematografica il cui risultato è un'opera d'arte nel vero senso della parola. Un film visionario e scandito per tavole, pieno di simbolismi che si rivelano attraverso le rappresentazioni sceniche di impianto pittorico, e di tale intensità che coinvolgono al di là dell'impatto puramente visivo che pure è potente. Io personalmente non ricordo di avere mai visto film più bello e suggestivo con una sceneggiatura che prendesse ispirazione da un pittore e dalle sue opere, in questo caso il fiammingo Bruegel il Vecchio. Assolutamente da vedere per chi non vuole perdersi una immersione sensoriale magica, un film che incanta dalla prima scena e ci incolla allo schermo.
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Meraviglioso! Estasiata dalle immagini e dalla spettacolare fotogafia. Raffinata prova di sperimentazione stilistica cinematografica il cui risultato è un'opera d'arte nel vero senso della parola. Un film visionario e scandito per tavole, pieno di simbolismi che si rivelano attraverso le rappresentazioni sceniche di impianto pittorico, e di tale intensità che coinvolgono al di là dell'impatto puramente visivo che pure è potente. Io personalmente non ricordo di avere mai visto film più bello e suggestivo con una sceneggiatura che prendesse ispirazione da un pittore e dalle sue opere, in questo caso il fiammingo Bruegel il Vecchio. Assolutamente da vedere per chi non vuole perdersi una immersione sensoriale magica, un film che incanta dalla prima scena e ci incolla allo schermo.
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goldy
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domenica 1 aprile 2012
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meraviglioso
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Un film che nessun produttore interessato al profitto avrebbe mai potuto produrre. Infatti è prodotto e ideato dall'istituto di cinema polacco , più attento al "bello" che al ritorno economico. Per la mancanza di una trama vera e propria lo vedranno in pochi ma i pochi che lo vedranno si gusteranno una scena inziale nel mulino a vento che da sè vale il film. L'idea è geniale e il "realismo" che esprime nel rapprresentare la quotidianità di queel paese e di quella gente è insuperabile per credibilità e bellezza.
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blufont
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venerdì 13 aprile 2012
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più che un film, un quadro in movimento
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decisamente bella la fotografia, le scenografie, la cura dei dettagli, i colori, la luce, le ricostruzioni. Bella l'idea di dar vita ad un quadro, di iscrivere un film nello spazio di una tela. Ma in generale non mi ha convinto. E non per l'assenza quasi assordante di dialoghi o musica (la colonna sonora è data piuttosto dai suoni della campagna, dal rumore degli zoccoli, delle asce dei boscaioli, degli animali, del vento, delle pale del mulino, con effetti anche molto suggestivi, ma alla lunga può risultare pesante). Ma piuttosto per l'assenza di vita. I quadri di Bruegel brulicano di personaggi, si vedono muovere, vivere, pulsare, lottare con la vita e con la morte.
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decisamente bella la fotografia, le scenografie, la cura dei dettagli, i colori, la luce, le ricostruzioni. Bella l'idea di dar vita ad un quadro, di iscrivere un film nello spazio di una tela. Ma in generale non mi ha convinto. E non per l'assenza quasi assordante di dialoghi o musica (la colonna sonora è data piuttosto dai suoni della campagna, dal rumore degli zoccoli, delle asce dei boscaioli, degli animali, del vento, delle pale del mulino, con effetti anche molto suggestivi, ma alla lunga può risultare pesante). Ma piuttosto per l'assenza di vita. I quadri di Bruegel brulicano di personaggi, si vedono muovere, vivere, pulsare, lottare con la vita e con la morte. Il Calvario non è da meno. Nel film al contrario, anziché dare alle centinaia di figurine del quadro quel soffio vitale degno della settima arte, il regista sembra toglierlo ai personaggi reali, ai contadini, ai soldati, che restano ad occupare la scena quasi come fantocci privi di anima e volontà. Gli uomini, privati della parola, sembrano meno umani dei loro animali: i bambini che giocano o litigano non emettono che suoni e grugniti, i viandanti, i venditori, non si scambiano né una parola né un saluto, la donna accetta con sommesse lacrime la sorte del marito ucciso barbaramente per eresia. Il film non snocciola la storia, le emozioni, la vita dei personaggi del quadro, utilizzando tutte le meravigliose risorse che il cinema può dare, ma li rende invece totalmente succubi dei dominatori spagnoli così come del destino deciso per loro dal dio/mugnaio. Le storie raccontate (poche, visto la ricchezza del quadro) non coinvolgono, non commuovono. Mi chiedo cosa abbia voluto aggiungere al quadro il regista, volendo giocare solo sull'immagine visiva: la tela di Bruegel, pur nella sua staticità, resta molto più viva e coinvolgente.
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(di luana)
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luana
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sabato 31 marzo 2012
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pittura vivente
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Visivamente notevole soddisfa però più un bisogno di fruizione estetica che altro. Certo l'amore per il dettaglio da cui viene tolto il "rumore" delle parole per farlo emergere in tutta la sua magia e mistero è cosa rara da vedere al cinema ed è anche raro esserne consapevoli fino in fondo nel nostro quotidiano, sommerso da pensieri e parole. Per cui un po'..un bel po' di silenzio non guasta.Il film è sicuramente un grande omaggio all'arte della pittura.Troppo impeccanile formalmente finisce però per risultare freddo e poco commovente; mancando naturalezza e racconto se non quello du volerci introdurre alla visione filosofica e mistica del pittore e del suo tempo attraverso la genesi di un quadro che raffigura la passione di Cristo.
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Visivamente notevole soddisfa però più un bisogno di fruizione estetica che altro. Certo l'amore per il dettaglio da cui viene tolto il "rumore" delle parole per farlo emergere in tutta la sua magia e mistero è cosa rara da vedere al cinema ed è anche raro esserne consapevoli fino in fondo nel nostro quotidiano, sommerso da pensieri e parole. Per cui un po'..un bel po' di silenzio non guasta.Il film è sicuramente un grande omaggio all'arte della pittura.Troppo impeccanile formalmente finisce però per risultare freddo e poco commovente; mancando naturalezza e racconto se non quello du volerci introdurre alla visione filosofica e mistica del pittore e del suo tempo attraverso la genesi di un quadro che raffigura la passione di Cristo.E soprattutto di come questa passione sia sempre rivissuta dentro l'uomo e dentro la Storia. Un po' pesante.
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michela papavassiliou
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lunedì 16 aprile 2012
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nel cerchio di bruegel
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In un'opera d'Arte ci puo' essere un mondo. Sembrerebbe il prologo ideale per questa pellicola che fin dai primi fotogrammi tuffa lo spettatore nel quadro "La salita al Calvario"del pittore fiammingo Bruegel, interpretato da un intenso Rutger Hauer.E' questo il ritratto di un pittore gia' maturo e colto nel periodo piu' fecondo della sua produzione artistica. In esso i grandi temi della sua pittura, dalla semplice danza contadina, alla torre di Babele. Molti i personaggi da lui tracciati, portati in scena in modo fedele, bambini e animali, pastorelli, boscaioli e carnefici. Ma e' nella Passione di Cristo che la pellicola intreccia i racconti biblici con il vissuto di un popolo rurale oppresso dalla dominazione spagnola, in un XVI sec in cui nelle Fiandre la vita dei semplici vale meno che niente.
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In un'opera d'Arte ci puo' essere un mondo. Sembrerebbe il prologo ideale per questa pellicola che fin dai primi fotogrammi tuffa lo spettatore nel quadro "La salita al Calvario"del pittore fiammingo Bruegel, interpretato da un intenso Rutger Hauer.E' questo il ritratto di un pittore gia' maturo e colto nel periodo piu' fecondo della sua produzione artistica. In esso i grandi temi della sua pittura, dalla semplice danza contadina, alla torre di Babele. Molti i personaggi da lui tracciati, portati in scena in modo fedele, bambini e animali, pastorelli, boscaioli e carnefici. Ma e' nella Passione di Cristo che la pellicola intreccia i racconti biblici con il vissuto di un popolo rurale oppresso dalla dominazione spagnola, in un XVI sec in cui nelle Fiandre la vita dei semplici vale meno che niente. Il Maestro racconta col suo gesto pittorico, la realta' efferreta e truce che lo circonda, in un appassionato e crudele gioco cromatico che spesso si tinge di rosso sangua. Ecco allora una Maria, magnifica Charlotte Rampling, madre segnata dal tempo e dalla sofferenza per i patimenti del figlio Gesu', nelle atmosfere funeste che sembrano far rivivere l'opera il Trionfo della Morte. Ecco in parallelo il giovane contadino messo alla gogna in pasto ai corvi ed alla merce' dell'oppressore. Pur nella ricostruzione impeccabile di un mondo rinascimentale nordico e illuminato da una fotografia magica, il film patisce di un ritmo eccessivamente lento, appesantito da un'anoressia della parola a volte paradossale. Il vecchio mugnaio dall'alto della roccia diventa nel tratto di Bruegel, Dio e ferma le pale del mulino con un gesto della mano rivolto al cielo, arrestando cosI anche il tempo. Questo moto circolare spezzato e ricomposto calamita per qualche istante sospeso la platea.Il moto perpetuo della vita che poi riprendeil suo corso, porta in se' un pensiero che e' luce ed oblio e con esso una riflessione sul senso della vita e del suo contrario.Da vedere.Michela Papavassiliou
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tom61
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lunedì 2 luglio 2012
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le fiandre di bruegel in un film
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Uno dei rari film dove è il linguaggio delle immagini e dei colori a parlare: dallo spunto della composizione della celebre tela di Bruegel "La salita al Calvario", il regista ci catapulta in un mondo antico e rurale alla scoperta della nascita di un quadro, della sua composizione e degli aspetti politico religiosi che dietro questa composizione si celano. Con una meticolosa ricerca di costume, un'attenzione filologica della luce e un occhio attento agli usi e costumi di quei tempi ci ritroviamo all'interno di un quadro in movimento, ripercorrendone il filo narrativo (peraltro ultranoto) della storia, rivivendolo con l'occhio contemporaneo del pittore.
Immagini veramente mozzafiato, come quelle che svelano gli interni del vecchio mulino o le scene di vita quotidiana nella casa del pittore fiammingo.
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Uno dei rari film dove è il linguaggio delle immagini e dei colori a parlare: dallo spunto della composizione della celebre tela di Bruegel "La salita al Calvario", il regista ci catapulta in un mondo antico e rurale alla scoperta della nascita di un quadro, della sua composizione e degli aspetti politico religiosi che dietro questa composizione si celano. Con una meticolosa ricerca di costume, un'attenzione filologica della luce e un occhio attento agli usi e costumi di quei tempi ci ritroviamo all'interno di un quadro in movimento, ripercorrendone il filo narrativo (peraltro ultranoto) della storia, rivivendolo con l'occhio contemporaneo del pittore.
Immagini veramente mozzafiato, come quelle che svelano gli interni del vecchio mulino o le scene di vita quotidiana nella casa del pittore fiammingo. Per chi ama l'arte e la pittura un film imperdibile: da vedere assolutamente!
Grazie MyMoviesLive.
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immanuel
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venerdì 6 aprile 2012
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la perseveranza della storia
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Guardare il film è un po’ come osservare, scrutare, studiare una rassegna di dipinti di Bruegel. La pellicola ha come grande sfondo (in senso stretto, perché la roccia centrale e i colori sono proprio quelli del celebre olio) l’opera del maestro fiammingo. Si ha come l’impressione di leggere un libro e di costruire oleografie mentali quali solo la lettura di un testo può consentire di creare. Da principio alla fine una rassegna di pose, di particolari, di oggetti, di immagini pregne e espressive, proprio tipici della pittura fiamminga, scorrono sullo schermo, si susseguono come in una grande tela del bruegel, affollata, caotica, pulsante di vita, o di morte.
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Guardare il film è un po’ come osservare, scrutare, studiare una rassegna di dipinti di Bruegel. La pellicola ha come grande sfondo (in senso stretto, perché la roccia centrale e i colori sono proprio quelli del celebre olio) l’opera del maestro fiammingo. Si ha come l’impressione di leggere un libro e di costruire oleografie mentali quali solo la lettura di un testo può consentire di creare. Da principio alla fine una rassegna di pose, di particolari, di oggetti, di immagini pregne e espressive, proprio tipici della pittura fiamminga, scorrono sullo schermo, si susseguono come in una grande tela del bruegel, affollata, caotica, pulsante di vita, o di morte. Perché l’umanità rappresentata da bruegel è, come nel celebre “trionfo della morte”, o schiacciata dai castighi della vita, sofferente, cimiteriale, o rappresentata nei suoi tratti di insania, di follia, con contorni grotteschi; l’ironia è tipica del pittore e la si rintraccia di continuo nel film dove tra siparietti, macchiette e personaggi goffi gli uomini appaiono tradotti in un contesto circense, anzi sono parte attiva di esso, chi arrampicato su trampoli, chi impegnato in impacciati balletti. Ma sono i tratti degli individui, le movenze, i gesti, le fattezze a definire la maschera deforme che avvolge i personaggi, ne nasconde i volti a consegnarci una realtà trasformata, quasi irreale perché incredibile. Scene tenere di vita quotidiana si svolgono; i giochi dei bambini, il risveglio mattutino, tutto in un silenzio eloquente, perché sono le immagini e i suoni (quelli della natura e i rumori della quotidianità), non le voci, tranne qualche murmure, sospiro o verso belluino irriproducibile, a scandire il film. La resa caricaturale muta ogni individuo in un essere deforme, sgraziato, meschino che popola un mondo di figuranti, di comparse, il grande palcoscenico della vita, come in Borges, dove domina la dimensione della finzione, dell’assurdo. La disposizione delle figure, l’ermeneutica del dipinto si trasferiscono sulla scena: la processione del cristo procede accompagnata dalle tuniche rosse della milizia spagnola, seguita da una folla desolata e indifferente; tutto si svolge ai piedi della grande rupe che separa un cielo luminoso che irraggia una natura festante dalla tenebra che sovrasta un deserto (dove è il cerchio della morte): sullo sperone un mulino a vento, qui il “mugnaio del cielo” osserva la scena, guarda impassibile e tetro la rievocazione della vicenda. Alza le mani al cielo, le pale del mulino si fermano e poi riprendono il lento moto a scandire i momenti della scena. L’economia salvifica si compie, il cristo si sacrifica nuovamente, nel tempo della riforma luterana, come millecinquecento anni prima, nella medesima indifferenza della gente, in un contesto storico quasi parallelo a quello della giudea del I secolo, segnato dall’oppressione di milizie straniere (quelle spagnole come quelle romane), dall’intransigenza dell’ortodossia ufficiale (quella cattolica come quella ebraica); e così il profeta della riforma è ucciso, è sacrificato in nome di una supposta integrità dottrinale, la voce critica levatasi contro il clero sacerdotale (lo strapotere dei vescovi come quello del sinedrio) è spezzata, soffocata. Il buio, la tempesta nuovamente ripiomba sulla terra, a corroborare il significato della ripetitività della storia e della vicenda dell’uomo, dei cicli e dei ricorsi della storia, in un’immodificabile sequela di barbarie e di errori, cui è impossibile, quasi permanesse un disegno fatalistico, dare un corso diverso.
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donni romani
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domenica 6 maggio 2012
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cpolavoro visivo ed espressivo
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I Colori della Passione sono quelli che Peter Brugel Il Vecchio dipinse nel 1564 nel quadro "La Salita al Calvario" un'opera complessa e criptica con più di cinquecento personaggi. E sono quelli che il geniale regista polacco Majewski restituisce in un film capolavoro che è un'esperienza visiva totalizzante ed appagante. L'idea di dare corpi e storie ad alcuni di quei tanti personaggi è già originale ed unica, ma la messa in scena è un atto d'amore verso l'arte e la pittura come raramente se ne sono viste in precedenza.
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I Colori della Passione sono quelli che Peter Brugel Il Vecchio dipinse nel 1564 nel quadro "La Salita al Calvario" un'opera complessa e criptica con più di cinquecento personaggi. E sono quelli che il geniale regista polacco Majewski restituisce in un film capolavoro che è un'esperienza visiva totalizzante ed appagante. L'idea di dare corpi e storie ad alcuni di quei tanti personaggi è già originale ed unica, ma la messa in scena è un atto d'amore verso l'arte e la pittura come raramente se ne sono viste in precedenza. Ogni inquadratura è fotografata ed illuminata come se fosse un quadro fiammingo, ogni scena ha un' estetica estrema ma mai superflua e l'equilibrio della composizione finale è una combinazione fra geometrie rigorose e fantasie sfrenate che restituisce tutta la bellezza dell'opera pittorica e tutta la genialità di Brugel. I dialoghi sono quasi inesistenti, e solo in alcune scene lo stesso Brugel, un intenso e misurato Rutger Hauer spiega la sua visione pittorica, la volontà di porre al centro del quadro, piccolo e quasi nascosto, il Cristo in Croce, perchè secondo lui i grandi avvenimenti della storia sono sempre scivolati via, quasi inosservati dai contemporanei. E così anche Gesù è solo uno dei tanti poveri vessati dagli invasori spagnoli drappeggiati in rosso, e il mulino sospeso sulla montagna con il mugnaio affacciato a guardar giù con aria indifferente il destino degli uomini metafora di un Dio lontano ed altero. Ci sono poi tutta una serie di personaggi apparentemente minori ma descritti con grande efficacia da pochi tratti caratteriali a dare all'opera un senso allegorico e profondo che restituisce un mondo antico e lo riempie di allusioni e messaggi universali. Il volto di Maria, una dolente e segnata Charlotte Rampling, chiuso in una sofferenza immobile ed eterna, ha la luce della maternità più matura e consapevole, la giovane moglie di Brugel ha negli occhi la solarità della giovane madre gioiosa e felice. E' solo uno dei tanti esempi di contrasti estremi e violenti che svelano la realtà in questo magnifico film fatto di silenzi, di squarci di luce e di un sottotesto affidato paradossalmente alle immagini. Un'esperienza visiva dicevamo prima, ma anche un'esperienza emozionante e coinvolgente, perchè la grandezza dell'opera di Brugel e la bravura di Majewskj, anche direttore della fotografia in questo caso, riescono a confezionare un rarissimo capolavoro di eleganza, bellezza e profondità, dove il significato (quindi il contenuto) ed il significante (l'espressione) coincidono con magica sintonia.
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francesca meneghetti
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giovedì 5 luglio 2012
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un viaggio molto onirico nella pittura fiamminga
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Questo non è un bel film come tanti altri. Questo è il frutto di un appassionato lavoro di ricerca che merita un particolare rispetto. Duplice: sia per l’approfondita e diversificata documentazione, spaziando tra storia, arte, filosofia, e, naturalmente, cinema; sia per il risultato ottenuto dominando la tecnica digitale con esiti originali.
Al primo impatto – ma il film andrebbe rivisto – l’impressione è di visitare la sezione fiamminga di una prestigiosa galleria nazionale europea: ogni singolo fotogramma è un pezzo da incorniciare, studiato nei minimi dettagli, dalla composizione dei volumi delle forme alla profondità spaziale, dai colori alla luce.
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Questo non è un bel film come tanti altri. Questo è il frutto di un appassionato lavoro di ricerca che merita un particolare rispetto. Duplice: sia per l’approfondita e diversificata documentazione, spaziando tra storia, arte, filosofia, e, naturalmente, cinema; sia per il risultato ottenuto dominando la tecnica digitale con esiti originali.
Al primo impatto – ma il film andrebbe rivisto – l’impressione è di visitare la sezione fiamminga di una prestigiosa galleria nazionale europea: ogni singolo fotogramma è un pezzo da incorniciare, studiato nei minimi dettagli, dalla composizione dei volumi delle forme alla profondità spaziale, dai colori alla luce. E’ un riquadro che imita perfettamente la pittura fiamminga, caratterizzata dallo spirito analitico e realistico, dalla cura quasi maniacale del dettaglio (ottenuta grazie alla nuova tecnica della velatura), dal gioco decisivo della luce, spesso laterale e non diffusa, così da creare effetti fotografici di chiaro e scuro. I colori sono naturali, come quelli della pittura a olio dell’età rinascimentale: pigmenti ricavati da sostanze naturali, come terre, erbe, pietre, sangue, mescolati all’olio di lino o al tuorlo d’uovo. E i colori della passione sono, in effetti, molto terrosi. L’azzeramento quasi totale del sonoro – che pure, nella successione del film, risulta un po’ pesante – è funzionale all’enfasi del tratto visivo. Si aggiunga poi la particolare stratificazione degli spazi: i primi piani, spesso collocati in ambienti interni debolmente e obliquamente illuminati; i secondi piani, di raccordo tra il primo livello e lo sfondo, in cui si muovono personaggi “secondari” (secondo le gerarchie comuni), che spiccano però per la loro perfetta messa a fuoco e quindi per l’alta definizione; gli sfondi, paesaggistici, spesso nebbiosi o sfumati, che ci riportano ai quadri di Peter Bruegel il vecchio.
Tutto ciò appare di una tale perfezione da risultare per ciò spesso imperfetto: vale a dire algido, manieristico, troppo studiato. A volte sembra, infatti, che la cura messa nell’allestire la bellezza delle singole sequenze sia andata a scapito della coesione narrativa.
Ma c’è anche un altro piano, più profondo, ed è quello simbolico. Bruegel è un autore che, pur nel suo straordinario realismo, attento alla vita quotidiana dei contadini, ricorre molto ai simboli, affolla in modo inverosimile i suoi dipinti e gioca con gli accenti come se avesse letto Freud e la sua interpretazione dei sogni: in una scena onirica, infatti, il primo piano svolge solo una funzione di copertura del significato profondo del sogno, che è collocato ai margini, in zone poco illuminate e remote (nel quadro il luogo del supplizio è non a caso in alto a destra, non davanti e al centro). Il regista Lech Majewski, da una parte svolge tutto un lavoro di decodifica del codice simbolico di Bruegel, anche avvalendosi della collaborazione di Gibson, autore del libro “The mill and the cross”: ecco allora la contrapposizione tra simboli di vita e di morte, il mugnaio equiparato a Dio (ma un dio che osserva quasi indifferente ciò che accade sulla terra), e così via. Ma a sua volta ricorre a una nuova codificazione, ad esempio: la passione di Cristo come simbolo di universale di tutti gli eretici perseguitati dal potere, la dolente impotenza delle madri di tutte le guerre o l’enfatizzazione della ruota per esporre allo scempio dei corvi i cadaveri. E’ un’immagine che compare al margine destro del dipinto “La salita al Calvario”, ma anche nel quadro “Il trionfo della morte”. Ma su di essa Majewski costruisce uno degli episodi più inquietanti: la condanna a morte di un giovane contadino, anticipazione del sacrificio di Gesù, ma anche sequenza di una potenza narrativa straordinaria. Forse è questo gioco con il livello simbolico a rendere il film indimenticabile, perché certe scene s’imprimono fortemente nella memoria inconscia e ci tornano a galla, al pari di certe scene del “Settimo sigillo”, su cui non risulta sia stato impostato finora un confronto: eppure la dialettica vita/morte, l’assenza di Dio, l’impotenza di fronte all’intolleranza, la scena dell’esecuzione di una strega o eretica sono elementi comuni.
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