matogrosso
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sabato 14 marzo 2009
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un falso thriller, provocatoriamente erotico
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Per la prima volta Jane Campion abbandona le terre australi in cui è nata e si avventura nel cuore del mondo anglofono moderno, gli Stati Uniti, decisa a scuoterne le fondamenta. Il suo tema centrale rimane quello di sempre: celebrare le passioni e la sofferenza della donna di fronte alle differenze psicologiche e comportamentali del (s)oggetto maschile, che generano violenze e incomprensioni sia nel patologico che nel quotidiano. Viaggiando nel tempo (dall’Ottocento a oggi) e nello spazio (Nuova Zelanda, India, ed ora a New York), Jane ha esplorato gli stessi motivi in contesti storico-geografici diversi. Ora si addentra nel sacro tempio del politically correct e della programmazione finalizzata al profitto, con lo scopo di trasgredire il linguaggio e i contenuti del cinema americano, rilevando le difficoltà di comunicazione fra donne e uomini, se non attraverso il sesso.
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Per la prima volta Jane Campion abbandona le terre australi in cui è nata e si avventura nel cuore del mondo anglofono moderno, gli Stati Uniti, decisa a scuoterne le fondamenta. Il suo tema centrale rimane quello di sempre: celebrare le passioni e la sofferenza della donna di fronte alle differenze psicologiche e comportamentali del (s)oggetto maschile, che generano violenze e incomprensioni sia nel patologico che nel quotidiano. Viaggiando nel tempo (dall’Ottocento a oggi) e nello spazio (Nuova Zelanda, India, ed ora a New York), Jane ha esplorato gli stessi motivi in contesti storico-geografici diversi. Ora si addentra nel sacro tempio del politically correct e della programmazione finalizzata al profitto, con lo scopo di trasgredire il linguaggio e i contenuti del cinema americano, rilevando le difficoltà di comunicazione fra donne e uomini, se non attraverso il sesso. La storia è volutamente banale, fondata sull’ennesima narrazione del serial killer che vive di sangue femminile, con sospetti sulle persone più vicine ai protagonisti, e la colpevolezza del meno sospettabile. Tutto déjà vu, d’accordo, ma il significato di ogni elemento narrativo è qui fortemente simbolico. Non a caso mancano tutti gli elementi scenici consueti (inseguimenti di macchine, sparatorie e colluttazioni fra maschi che cadono feriti e si rialzano sempre, ecc.). Tuttavia, quando il gioco intellettuale è troppo difficile, si corrono dei rischi, e ciò ha provocato il rigetto e l’incomprensione da parte di critici e spettatori, forse sorpresi dalla esibizioni fisiche e verbali del sesso come veramente è, senza filtri che consentano la visione e la condivisione da parte del grande pubblico. Il detective Malloy (Mark Ruffalo) è il simbolo della virilità ortodossa, quella che piace tanto alle donne ed è spesso motivo delle loro sofferenze: bello e imponente, distaccato e arrogante, sensuale e infedele, sicuro di sé e poco intelligente (a tal punto di non accorgersi, pur essendo detective, che per anni è vissuto fianco a fianco con un serial killer). A connotare ancora di più la sua figura, la regista gli ammolla un paio di baffi ispanico-islamici ed un vocabolario da scaricatore di porto. Lei, Frannie (Meg Ryan), è un’insegnante, sensibile ma sola, con un estremo bisogno di sesso e affetto. Ovviamente i due finiscono a letto durante le indagini sull’omicidio di due donne (una delle quali è la sorella di Frannie). Con la rappresentazione dei loro rapporti carnali, libera dai falsi pudori a cui il pubblico è abituato (senza personaggi che si alzano dal letto avvolti da un lenzuolo come se fossero in piazza), il cinema nordamericano viene messo a nudo, in tutti i sensi, grazie anche alla mancanza degli elementi scenici suddetti (se si toglie il contenente, in assenza di contenuti, che cosa rimane?). Così il discorso si sposta subito su temi seri, lei incatena l’uomo con le manette di servizio, per un gioco erotico che simboleggia il possesso e l’esclusività che la donna vorrebbe esercitare sull’uomo, contrastandone lo spirito libertino. Ma le manette assumono subito un nuovo ruolo quando un indizio casuale porta Frannie a credere che il serial killer sia proprio lui, il suo amante infedele ma tanto desiderato. E mentre lui rimane prigioniero, lei cade nelle grinfie del serial killer vero. Priva della protezione dell’uomo/detective che lei stessa ha reso impotente di agire, la donna riesce a uccide il killer e ritorna a casa sporca del suo sangue. E qui il suggestivo epilogo: per pochi secondi la vediamo entrare a casa e distendersi a fianco del “suo” uomo, lui ancora legato, lei rassegnata.
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canvas
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mercoledì 30 marzo 2011
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accattivante e torbido
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Se vi aspettate un classico poliziesco avete sbagliato film. Immaginate invece di entrare nella storia, senza aspettarsi sparatorie o effetti speciali, e di guardare il tutto dagli occhi di una donna, allora non rimmarete delusi. Ricco di particolari e riflessioni femminili. L'immaginario romantico della protagonista, fiori e petali persi nell'aria, frasi poetiche raccolte da fugaci scritte nella metropolitana, sogni ormai infranti di amore eterno. Siete al cospetto del femminile. E tutto femminile è il modo di vedere l'intesa passione sessuale: ritmi lenti e dedizione totale. Uno dei pochi film in cui è al centro del film il desiderio femminile. Mark Ruffalo protagonista in una interpretazione maschile impeccabile.
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Se vi aspettate un classico poliziesco avete sbagliato film. Immaginate invece di entrare nella storia, senza aspettarsi sparatorie o effetti speciali, e di guardare il tutto dagli occhi di una donna, allora non rimmarete delusi. Ricco di particolari e riflessioni femminili. L'immaginario romantico della protagonista, fiori e petali persi nell'aria, frasi poetiche raccolte da fugaci scritte nella metropolitana, sogni ormai infranti di amore eterno. Siete al cospetto del femminile. E tutto femminile è il modo di vedere l'intesa passione sessuale: ritmi lenti e dedizione totale. Uno dei pochi film in cui è al centro del film il desiderio femminile. Mark Ruffalo protagonista in una interpretazione maschile impeccabile. Senza alcuna leziosità o artificio attoriale. Incredibilmente seducente.Il nuovo Marlon Brando? Sì.
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emanuelemarchetto
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sabato 18 marzo 2017
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un thriller atipico
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Frannie, insegnante newyorkese di lettere, è attratta dai quartieri squallidi della sua città, dove lavora anche la sua sorellastra Pauline come ballerina in un decadente NIght Club. Viene interrogata dall'investigatore Malloy a proposito di una ragazza il cui cadavere è stato trovato in pezzi in un giardino vicino a casa sua. I due inizieranno una torbida relazione.
Un thriller atipico, che cerca di raccontare la contraddizione tra pulsioni sessuali e dinamiche sociali: "vorrei sposarmi almeno una volta" dice Pauline, pensando che il matrimonio possa riscattare la sua vita; "tu vivi i tuo desideri inconsci, sei una poetessa dell'amore" le risponde la sorella, sottolineando il fatto che la sua vita sregolata la rende libera dal punto di vista sessuale.
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Frannie, insegnante newyorkese di lettere, è attratta dai quartieri squallidi della sua città, dove lavora anche la sua sorellastra Pauline come ballerina in un decadente NIght Club. Viene interrogata dall'investigatore Malloy a proposito di una ragazza il cui cadavere è stato trovato in pezzi in un giardino vicino a casa sua. I due inizieranno una torbida relazione.
Un thriller atipico, che cerca di raccontare la contraddizione tra pulsioni sessuali e dinamiche sociali: "vorrei sposarmi almeno una volta" dice Pauline, pensando che il matrimonio possa riscattare la sua vita; "tu vivi i tuo desideri inconsci, sei una poetessa dell'amore" le risponde la sorella, sottolineando il fatto che la sua vita sregolata la rende libera dal punto di vista sessuale. Questi due punti di vista sono alla base di un processo di emancipazione della protagonista, che passa dall'autoerotismo a una relazione con l'oggetto del suo desiderio sessuale, ovvero Mallory, tipico poliziotto misogino newyorkese. I due però discutono più di una volta di trasformare la loro relazione in qualcosa di serio, come se questo desse più spessore ai loro incontri.
Il film riesce ad assestare i suoi colpi bassi, grazie soprattutto ad un'atmosfera cupissima (fotografia di Dion Beebe), senza però scadere nel gratuito. Poco interessante invece la risoluzione del caso, abbastanza prevedibile.
Curiosità: Il film è basato sul romanzo omonimo di Susanna Moore che ne ha anche curato la sceneggiatura insieme alla regista. Ciononostante tra romanzo e film ci sono differenze considerevoli, specie nel finale.
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carloalberto
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giovedì 16 dicembre 2021
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femminismo e serial killer
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Il film di Jane Campion si offre ad una doppia lettura. Può essere un thriller psicologico, con un plot già visto mille volte e personaggi stereotipati, come il poliziotto separato dalla moglie ed il maniaco omicida amante dello splatter, ma anche come la rappresentazione più generale del dramma della solitudine femminile nelle moderne metropoli. La protagonista, una straordinaria Meg Ryan è una versione muliebre e perciò inedita del solito eroe maschio, solitario ed emarginato, immortalato per sempre nell’immaginario cinefilo da De Niro in Taxi driver, che emblematicamente di mestiere fa la traduttrice di vocaboli dello slang in uso tra i giovani afroamericani.
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Il film di Jane Campion si offre ad una doppia lettura. Può essere un thriller psicologico, con un plot già visto mille volte e personaggi stereotipati, come il poliziotto separato dalla moglie ed il maniaco omicida amante dello splatter, ma anche come la rappresentazione più generale del dramma della solitudine femminile nelle moderne metropoli. La protagonista, una straordinaria Meg Ryan è una versione muliebre e perciò inedita del solito eroe maschio, solitario ed emarginato, immortalato per sempre nell’immaginario cinefilo da De Niro in Taxi driver, che emblematicamente di mestiere fa la traduttrice di vocaboli dello slang in uso tra i giovani afroamericani. E’ un lavoro, il suo, che indica lo sforzo di comunicare, di entrare in un mondo ostile cercando di appropriarsi innanzitutto del suo linguaggio, un mondo che non è quello dei giovani disadattati dei sobborghi, sempre a rischio di una deriva delinquenziale, ma è la totalità del mondo cittadino, un mondo in cui è possibile socializzare soltanto ai maschi, per esempio al bar bevendo e scambiandosi battute scurrili, omofobe o misogine, e alle donne che accettano di diventare quello che i maschi desiderano che esse siano, ovvero semplici oggetti erotici.
Il femminismo nella sceneggiatura è sottinteso e mai esplicitato, se non in alcuni dialoghi in cui affiora la polemica dei sessi, e per questo è più potente ed arriva efficacemente allo spettatore in modo quasi subliminale. Il film non è ideologico, non risulta appesantito dal suo significato intrinseco, ma resta un godibilissimo thriller con il più classico dei serial killer, che massacra, anzi disarticola, le sue vittime, che sono, ovviamente, tutte donne. Questa volta, tuttavia, il killer, nella doppia lettura cui si presta il film, assume anche la figura simbolica del dominatore ed oppressore maschio, che, per l’appunto, può sovrapporsi benissimo a quella del poliziotto soccorritore ed innamorato di Meg Ryan, impersonato da Mark Ruffalo.
Per Jane Campion, che si potrebbe definire una femminista anomala o meglio problematica, per il suo modo di rappresentare introspettivamente la complessità del rapporto della donna con l’altro sesso, alla fine, ucciso l’uomo, per ogni donna resta pur sempre l’uomo l’unico punto di riferimento, il porto sicuro in cui rifugiarsi. Nessuna via di fuga, quindi, ma un invito al confronto da pari a pari e con le stesse armi di seduzione, di possesso e di dominazione usate da sempre dal maschio.
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paolp78
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sabato 25 febbraio 2023
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torbido
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L’acclamata regista neozelandese Jane Campion abbandona i film in costume, fiore all’occhiello della sua cinematografia, per girare un thriller erotico dalle atmosfere particolarmente torbide, ambientato nei promiscui bassifondi di New York.
La parte erotica della pellicola funziona abbastanza bene, anche grazie ad una Meg Ryan molto sensuale, che dimostra di cavarsela bene in un ruolo decisamente diverso da quelli delle commedie sentimentali che l’anno resa celebre, e che qui esibisce una acconciatura che mi ha riportato alla memoria la Jane Fonda di “Una squillo per l'ispettore Klute”, pellicola che in qualche modo deve avere ispirato la Campion. Le scene di sesso sono molto ben girate e per quanto numerose non stancano affatto, anzi risultano particolarmente intriganti come tutta la parte erotico-sentimentale del film.
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L’acclamata regista neozelandese Jane Campion abbandona i film in costume, fiore all’occhiello della sua cinematografia, per girare un thriller erotico dalle atmosfere particolarmente torbide, ambientato nei promiscui bassifondi di New York.
La parte erotica della pellicola funziona abbastanza bene, anche grazie ad una Meg Ryan molto sensuale, che dimostra di cavarsela bene in un ruolo decisamente diverso da quelli delle commedie sentimentali che l’anno resa celebre, e che qui esibisce una acconciatura che mi ha riportato alla memoria la Jane Fonda di “Una squillo per l'ispettore Klute”, pellicola che in qualche modo deve avere ispirato la Campion. Le scene di sesso sono molto ben girate e per quanto numerose non stancano affatto, anzi risultano particolarmente intriganti come tutta la parte erotico-sentimentale del film.
L’opera invece delude gravemente sul versante thriller. La Campion non riesce mai a costruire sequenze con un minimo di suspense, neppure nella scena finale decisamente mal riuscita. Inoltre la figura del serial killer non è ben confezionata e il ricorso ad effetti scenici particolarmente disgustosi, per gli inutilmente efferati delitti, ha ben poco senso. Si apprezza soltanto la scelta di lasciare incertezza sull’identità dell’assassino.
La regia della Campion merita comunque un elogio; particolarmente convincente è la fotografia volutamente un po’ opaca, perfetta per accentuare la scarsa limpidezza della storia, così che tale caratteristica va a costituire la principale cifra stilistica dell’intera opera.
Nella coppia protagonista classicamente l’uomo è un poliziotto (scelta molto consueta nei thriller erotici come questo), efficacemente interpretato da Mark Ruffalo. Viene rispettato anche un altro cliché molto abusato, per cui uno dei due amanti è sospettato di essere l’assassino; tuttavia la Campion non riesce a giocare su tale incertezza, sicché l’elemento non viene mai efficacemente valorizzato.
Oltre ai due protagonisti si ricordano tra gli altri attori due nomi importanti come Jennifer Jason Leigh e Kevin Bacon.
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theophilus
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lunedì 6 gennaio 2014
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storia di una donna
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IN THE CUT
Che lo si consideri un thriller o un’opera introspettiva, una storia erotica o un viaggio iniziatico, In The Cut è comunque e prima di tutto un film fatto da una donna.
Jane Campion riesce a dare con questo suo ultimo lungometraggio – certo imperfetto – un quadro personale e doloroso della condizione femminile. L’asseconda in modo sorprendente una Meg Rayan trasformata: uscita dal cliché di attrice brillante per commedie disneyane formato famiglia, ella si slancia qui in una sfida – per lei inedita – in cui affronta a viso aperto, seppur fragile ed esitante, l’altra faccia del cosmo, quell’universo sessuale maschile così diverso dal suo.
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IN THE CUT
Che lo si consideri un thriller o un’opera introspettiva, una storia erotica o un viaggio iniziatico, In The Cut è comunque e prima di tutto un film fatto da una donna.
Jane Campion riesce a dare con questo suo ultimo lungometraggio – certo imperfetto – un quadro personale e doloroso della condizione femminile. L’asseconda in modo sorprendente una Meg Rayan trasformata: uscita dal cliché di attrice brillante per commedie disneyane formato famiglia, ella si slancia qui in una sfida – per lei inedita – in cui affronta a viso aperto, seppur fragile ed esitante, l’altra faccia del cosmo, quell’universo sessuale maschile così diverso dal suo. Quanto si fa forza quello di un’aggressività verbale atta forse a dargli la carica necessaria a sfondare una porta che risulta essere già aperta, tanto il suo va incontro con ansia e desiderio tutto privato, immerso in se stesso, a quell’antro oscuro e pieno d’insidie, che potrebbe celare persino il suo carnefice. Così la donna scende nella profondità della sua psiche a ricercare una risoluzione che le spieghi il suo passato alla luce di un presente denso di pericoli e paure.
Una Meg Ryan cambiata, dicevamo. Una Meg Rayan che, in vero, ci ha subito ricordato quella Nicole Kidman che, produttrice del film, ne avrebbe dovuto essere anche l’interprete. Tanto da farci ritenere che l’attrice americana abbia assecondato in pieno i disegni di Jane Campion, che doveva aver visto nella Kidman – da lei diretta in Portrait of a Lady,nel 1996 – il temperamento ideale a calarsi nei panni di questa misteriosa scrittrice che fa proprie le scritte murali e quelle estrapolazioni letterarie usate in pubblicità e le ricrea ai suoi fini andando a scandagliare i fantasmi nascosti nella sua mente. Una Rayan/Kidman forse più attendibile della stessa Kidman che, se con la sua maggior avvenenza avrebbe meglio giustificato il polarizzarsi dell’attenzione del mondo maschile nei suoi confronti, avrebbe però reso meno credibile il suo senso di inquietante isolamento.
Siamo tuttora sospesi fra un’interpretazione che consideri il film come una disincantata fotografia delle due facce dell’eterosessualità in perenne cammino parallelo e quella in cui intervenga un filtro esplicativo a delineare un quadro voyeuristico desiderato e ideato da una donna. La protagonista si butta a capofitto alla ricerca della chiave che le dischiuda le proprie origini e le indichi la linea di demarcazione fra il sogno del sesso e dell’amore visto al maschile e quello al femminile. Ci pare che a momenti questa linea tenda a scomparire in una visione del desiderio che accomuna i due sessi; in altri, viceversa, la regista ci sembra sottolineare la necessità della differenza di approccio al piacere fra la donna e l’uomo. La scena della fellatio spiata con gli occhi della protagonista significa mi piego a subire oppureho il desiderio di partecipare? Non abbiamo visto nel film amore o passione, semmai una speranza, una tensione ad essi per il tramite dell’iniziazione al sesso.
Abbiamo letto che la pellicola ha subito alcune mutilazioni – profetico il titolo! – delle scene più hard. Questo giochino, travestendo evidenti interessi commerciali con un intervento a difesa del comune senso del pudore, potrebbe avvalorare le voci – di certo messe in circolazione come specchietto per le allodole – che la Kidman avrebbe rinunciato ad interpretare In The Cut perché troppo osé. Più probabilmente, il film nella sua interezza - che magari potremo vedere fra non molto, una volta che il botteghino abbia esaurito le sue funzioni – ci avrebbe mostrato con ancora maggiore incisività ed efficacia il duro percorso compiuto dalla protagonista e dissolto quei dubbi di cui sopra.
Enzo Vignoli
15 gennaio 2004
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vedelia
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lunedì 5 gennaio 2004
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niente sesso siamo quarantenni!
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I soliti critici americano hanno gridato allo scandalo vedendo la "fidanzatina d'America" godersela alla grande in scene di sesso più o meno esplicito: hanno forse dimenticato che la "candida" Meg se la spassava, già 10 anni fa, col bel Val Kilmer in "The Doors" di Oliver Stone? O forse li ha spaventati il fatto che a fare sesso sia stata una donna che ha superato la boa dei fatidici 40 anni? Oppure è stata tutta una calcolata manovra commerciale per attirare il pubblico "guardone", che rimarrà inesorabilmente deluso da un film lento, goffo e per nulla originale?
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elia
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giovedì 6 ottobre 2005
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passo falso del thriller
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Visivamente disturbante ad ogni sequenza, In the cut non regala neanche mezza delle sorprese che erano state sbandierate con la presentazione. Meg Ryan percorre con un'aria inebetita tutto il film, mentre Ruffalo è del tutto inesistente. Forse, però, neanche due eccellenti attori avrebbero potuto esprimere le loro capacità con una sceneggiatura così risibile. Il film non riesce ad essere un thriller in nessuna momento nonostante la scelta di inquadrature ed ambienti denunci lo sforzo che la regista fa in questo senso.Conseguentemente l'attenzione dello spettatore si disperde mentre cerca di dare un filo logico al tutto.
La presunta performance erotica (ma dove?) della Ryan è stata sfruttata per creare un'attesa che poi alla fine è stata tradita, regalandoci qualche minuto di nudità esplicite francamente evitabili.
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Visivamente disturbante ad ogni sequenza, In the cut non regala neanche mezza delle sorprese che erano state sbandierate con la presentazione. Meg Ryan percorre con un'aria inebetita tutto il film, mentre Ruffalo è del tutto inesistente. Forse, però, neanche due eccellenti attori avrebbero potuto esprimere le loro capacità con una sceneggiatura così risibile. Il film non riesce ad essere un thriller in nessuna momento nonostante la scelta di inquadrature ed ambienti denunci lo sforzo che la regista fa in questo senso.Conseguentemente l'attenzione dello spettatore si disperde mentre cerca di dare un filo logico al tutto.
La presunta performance erotica (ma dove?) della Ryan è stata sfruttata per creare un'attesa che poi alla fine è stata tradita, regalandoci qualche minuto di nudità esplicite francamente evitabili.
Inguardabile.
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sciarada
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giovedì 8 gennaio 2004
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non vedetelo!
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Sicuramente uno dei film più brutti che abbia visto negli ultimi anni.
Dovrebbe essere un thriller, ma è assolutamente privo di tensione e la trama regge come un cristallo di Baccarat sotto i colpi di un mitra.
I dialoghi non sono altro che un alternarsi delle parole "scopare" , "pompino" e una serie di sinonimi del membro maschile da far invidia a Benigni quando fece la sua apparizione nello show con la Carrà.
Pertanto tra un orgasmo e l'altro di Meg Ryan ci son pure 3 omicidi il cui colpevole è scontatissimo.
Chiunque avesse la minima intenzione di andare a vederlo o di affittarlo successivamente in videoteca ci ripensi subito! vedere la Ryan nuda (ormai non più nel fiore dgli anni visto il seno in discesa) non è una ragione sufficiente ve lo garantisco.
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bozzi
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sabato 3 gennaio 2004
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.....di una scontatezza sconcertante
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Se Nicole Kidman ha finito per sbarazzarsi della possibilità di partecipare al film della Campion un qualche motivo doveva pur esserci. Doveva di certo aver fiutato l'incredibile bruttezza del risultato. A guardare anche solo superficialmente il nuovo volto della Ryan viene da sorridere accorgendosi di come questo sembri scolpito sulle sembianze dell'altra mancata protagonista. Ma il peggio è nel resto… sta nella trama squinternata dove tutti posseggono le chiavi di casa di tutti, nei dialoghi demenziali e gratuitamente volgari, in un assassino che dopo 9 minuti di proiezione è già individuabile e che colpisce non tanto per l'efferatezza quanto per la banalità del nome che sa di discriminazione razziale, in personaggi tagliati con l'accetta (quello dello studente di colore che durante le lezione se ne sta sempre seduto sul davanzale della finestra e guarda sconcertato i propri compagni, è sconvolgente ed in qualche modo indicativo), in sequenze erotiche congeniate per annoverare tra il pubblico l'intera categoria dei cardiopatici, e poi un Kevin Bacon meno importante del cane che porta a passeggio, sangue troppo poco rosso sulle pareti ed una J.
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Se Nicole Kidman ha finito per sbarazzarsi della possibilità di partecipare al film della Campion un qualche motivo doveva pur esserci. Doveva di certo aver fiutato l'incredibile bruttezza del risultato. A guardare anche solo superficialmente il nuovo volto della Ryan viene da sorridere accorgendosi di come questo sembri scolpito sulle sembianze dell'altra mancata protagonista. Ma il peggio è nel resto… sta nella trama squinternata dove tutti posseggono le chiavi di casa di tutti, nei dialoghi demenziali e gratuitamente volgari, in un assassino che dopo 9 minuti di proiezione è già individuabile e che colpisce non tanto per l'efferatezza quanto per la banalità del nome che sa di discriminazione razziale, in personaggi tagliati con l'accetta (quello dello studente di colore che durante le lezione se ne sta sempre seduto sul davanzale della finestra e guarda sconcertato i propri compagni, è sconvolgente ed in qualche modo indicativo), in sequenze erotiche congeniate per annoverare tra il pubblico l'intera categoria dei cardiopatici, e poi un Kevin Bacon meno importante del cane che porta a passeggio, sangue troppo poco rosso sulle pareti ed una J.J. Leigh che pure un po' credibile è purtroppo costretta a combattere continuamente con una mole elefantesca.
Dispiace per Meg che in ogni caso, pure annaspando, sembra restarsene a galla, ma il film non merita un voto maggiore di quello tatuato sul braccio del killer e che estenuanti flasback continuano a suggerire: 3.
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