francesco manca
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domenica 16 novembre 2008
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"dichiaratamente "copiato"
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Esattamente come fece Martin Scorsese nel 1991 con lo splendido remake di “Cape Fear – Il promontorio della paura”, anche Gus Van Sant, uno dei simboli indiscussi del cinema indipendente americano, si dedica alla realizzazione del suo personalissimo omaggio al Maestro (basterebbe soltanto quest’unica parola per far intendere il cineasta in questione), ovvero, Sir Alfred Hitchcock.
Van Sant ripropone uno dei capolavori assoluti di Hitchcock mantenendosi fedelissimo nella sceneggiatura (scritta da Joseph Stefano, lo stesso autore del copione originale) e nel montaggio, riuscendo a creare quel phatos e quell’atmosfera che fungevano da elementi portanti nell’omonima pellicola del 1960.
Il regista traspone la vicenda narrata da Hitchcock 38 anni dopo, nel 1998, sparisce l’affascinante e sfolgorante bianco e nero, e subentrano al posto dei mitici e compianti Anthony Perkins e Janet Leigh, i comunque bravi Vince Vaughn, che nonostante non eguagli la leggendaria figura di Norman Bates impersonata da Perkins, fornisce comunque una delle sue performance recitative più sentite e convincenti, ed Anne Heche che sostituisce la Leigh nei panni di Marion Crane, per la quale vale lo stesso discorso fatto per Vaughn; nel cast si può notare anche la presenza di Julianne Moore al posto di Vera Miles nel ruolo di Lila Crane, Viggo Mortensen (Samuel Loomis), William H.
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Esattamente come fece Martin Scorsese nel 1991 con lo splendido remake di “Cape Fear – Il promontorio della paura”, anche Gus Van Sant, uno dei simboli indiscussi del cinema indipendente americano, si dedica alla realizzazione del suo personalissimo omaggio al Maestro (basterebbe soltanto quest’unica parola per far intendere il cineasta in questione), ovvero, Sir Alfred Hitchcock.
Van Sant ripropone uno dei capolavori assoluti di Hitchcock mantenendosi fedelissimo nella sceneggiatura (scritta da Joseph Stefano, lo stesso autore del copione originale) e nel montaggio, riuscendo a creare quel phatos e quell’atmosfera che fungevano da elementi portanti nell’omonima pellicola del 1960.
Il regista traspone la vicenda narrata da Hitchcock 38 anni dopo, nel 1998, sparisce l’affascinante e sfolgorante bianco e nero, e subentrano al posto dei mitici e compianti Anthony Perkins e Janet Leigh, i comunque bravi Vince Vaughn, che nonostante non eguagli la leggendaria figura di Norman Bates impersonata da Perkins, fornisce comunque una delle sue performance recitative più sentite e convincenti, ed Anne Heche che sostituisce la Leigh nei panni di Marion Crane, per la quale vale lo stesso discorso fatto per Vaughn; nel cast si può notare anche la presenza di Julianne Moore al posto di Vera Miles nel ruolo di Lila Crane, Viggo Mortensen (Samuel Loomis), William H. Macy (Milton Arbogast), Philip Baker Hall (Sceriffo Al Chambers) e Robert Forster (Dottor Fred Richmond).
Van Sant impiega un notevole impegno e una meticolosa cura soprattutto nei dettagli e nell’ambito tecnico, che acquista una ragguardevole importanza in quella che è e sarà per sempre una delle sequenze più spettacolari, impressionanti ed indimenticabili della storia del Cinema…ovviamente sto parlando della famosissima scena della doccia, in cui Janet Leigh veniva assassinata da un maniaco dal volto coperto che le infieriva diverse coltellate facendola morire sul pavimento del bagno. Ora, è scontato dire che, così com’era, quella scena non poteva in nessun modo essere replicata, e benché Van Sant ci metta tutta la visionarietà e il suo indiscutibile talento nel ricreare la stessa tensione, non riesce chiaramente a trasmettere lo stesso (e comunque ineguagliabile) impatto visivo e psicologico del Maestro, che per girare questa sequenza utilizzò oltre 70 angolazioni di ripresa impiegando una settimana di lavorazione, per una scena che, paradossalmente, dura solo 45 secondi.
Ad ogni modo, l’opera di Van Sant risulta più che apprezzabile ed egregiamente elaborata, che il grande Maestro, se all’uscita del film nelle sale fosse stato ancora in vita, avrebbe sicuramente apprezzato. Per usare un eufemismo, si potrebbe dire che questo è, più di qualunque altra cosa, il tentativo più sincero, dignitoso e riuscito di “copiare” un film di Alfred Hitchcock, come hanno fatto, ahimè invani (ci sono comunque le eccezioni), molti altri registi dei nostri tempi.
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skrat
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lunedì 28 luglio 2008
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un piacevole divertissement
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Non è un film negativo in sé, anzi sa coinvolgere, appassionare, terrorizzare, ma perché?... Beh credo che ciò, almeno in parte, sia legato al fatto che la pellicola di Van Sant non è un remake, ma una copia esatta dell’originale Hitchcockiano, solo a colori e, ovviamente, con attori diversi. Eppure il gusto del rifacimento non è fine a se stesso e il regista dimostra di saper abilmente orchestrare la propria creatività visiva e cinefila, addomesticandola ad un silenzioso tributo al maestro, eppure, nel contempo, permettendole di esprimersi liberamente in tutti quegli infinitesimi particolari, che distinguono la pellicola dall’originale. Van Sant può così giocare sui colori, i riflessi, le gradazioni, le sfumature, senza aggiungere nulla di nuovo, ma rivelando la propria vena creativa e un acuto amore per l’immagine e la sua composizione.
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Non è un film negativo in sé, anzi sa coinvolgere, appassionare, terrorizzare, ma perché?... Beh credo che ciò, almeno in parte, sia legato al fatto che la pellicola di Van Sant non è un remake, ma una copia esatta dell’originale Hitchcockiano, solo a colori e, ovviamente, con attori diversi. Eppure il gusto del rifacimento non è fine a se stesso e il regista dimostra di saper abilmente orchestrare la propria creatività visiva e cinefila, addomesticandola ad un silenzioso tributo al maestro, eppure, nel contempo, permettendole di esprimersi liberamente in tutti quegli infinitesimi particolari, che distinguono la pellicola dall’originale. Van Sant può così giocare sui colori, i riflessi, le gradazioni, le sfumature, senza aggiungere nulla di nuovo, ma rivelando la propria vena creativa e un acuto amore per l’immagine e la sua composizione. Buono anche il lavoro di Danny Elfman, che rimaneggia l’originale partitura di Bernard Herrman con minime manipolazioni. Ripeto: un progetto che non aggiunge nulla al capolavoro di Hitchcock, ma che lo rivisita intelligentemente, concentrandosi sull’aspetto visivo delle gradazioni tonali con notevole acutezza e sfoggio di virtuosismo. Non all’altezza dell’originale, certo, ma un piacevole gioco per lo spettatore cinefilo, sfidato a scovare le minime differenze nelle inquadrature e nei dialoghi (nei quali spicca l’aggiunta di un leggero sottotesto di omosessualità nel personaggio di Norman Bates). Unico elemento negativo: attori, ovviamente, non all’altezza degli originali interpreti (specie nel Norman di Vaughn, capace di assumere, nelle sue movenze alla Frankestein, un atteggiamento tra il grottesco e il patetico, che, se da un lato fa rimpiangere l’inimitabile Perkins, dall’altro offre al personaggio un’umanità tale, che si arriva quasi ad avere pietà per lui). Per gli spettatori giovani è meglio l’originale, per gli appassionati cinefili è un curioso e piacevole divertissement da vedere.
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elgatoloco
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giovedì 30 luglio 2015
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remake intelligente
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A differenza della serialità che ha proliferato su Psycho, con le varie versioni "Psycho 2", "Psycho 3"(finora così, ma non è da escludere qualche clone con poche variazioni), qui si tratta di un remake di grande attenzione(nel senso letterale)filologica e di straordinario calco, con poche variazioni, legate all'ambientazione(1960 il film di Hitchcock, 1998 quello di Van Sant), quindi alla diacronia, al gap culturale etc.In questo senso l'esplicitazione dell'erotismo(prima e più ancora della sessualità)è assolutamente chiara, come anche il recupero integrale del sound-track di Bernard Herrman, pur se con l'aggiunta di alcuni motivi moderni(per l'epoca ormai, dal 1998 sono passati almeno 17 anni)di ispirazione post-.
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A differenza della serialità che ha proliferato su Psycho, con le varie versioni "Psycho 2", "Psycho 3"(finora così, ma non è da escludere qualche clone con poche variazioni), qui si tratta di un remake di grande attenzione(nel senso letterale)filologica e di straordinario calco, con poche variazioni, legate all'ambientazione(1960 il film di Hitchcock, 1998 quello di Van Sant), quindi alla diacronia, al gap culturale etc.In questo senso l'esplicitazione dell'erotismo(prima e più ancora della sessualità)è assolutamente chiara, come anche il recupero integrale del sound-track di Bernard Herrman, pur se con l'aggiunta di alcuni motivi moderni(per l'epoca ormai, dal 1998 sono passati almeno 17 anni)di ispirazione post-.punk e grange. Il problema, semmai, sono gli interpreti, bravi, assolutamente, ma incapaci di ridare il"frisson"degli interpreti hitchockiani: a parte Julianne Moore, certo convincente, qualche sprazzo di Viggo Mortensen, Vaughn è troppo atletico-corpulento per far recuperare il fisico particolarissimo di Anthony Perkins. Il cult hitchockiano, insomma, non è possibile ridarlo, legato, com'è, anche agli interpreti, che il terribile-formidabile english man aveva scelto e posto sullo schermo. El Gato
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dandy
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mercoledì 20 gennaio 2021
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strano oggetto.
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Van Sant omaggia uno dei più celebri film di Hitchcock girandone un remake shot by shot ma non completamente identico.Qui c'è il colore(la fotografia e di Chris Doyle) e in più punti vi sono differenze con l'originale(allusioni sessuali più esplicite,corpi nudi e dettagli sanguinosi nonchè inserti subliminali durante gli omicidi).Resta lo stesso sceneggiatore (Joseph Stefano) e le musiche,sebbene dirette da Danny Elfman,sono sempre quelle di Bernard Hermann.Curiosamente viene replicato un errore(la porta che viene aperta senza chiave) e il regista si ritaglia un'apparizione nel medesimo punto in cui nell'originale appariva Hitchcock.Quindi a conti fatti è una sorta di aggiornamento,notevole dal punto di vista visivo(molto bello lo zoom panoramico iniziale,che Hitchcok avrebbe voluto utlizzare nel suo film)ma purtroppo inconsistente per quanto riguarda il cast:impossibile il confronto con quello originale.
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Van Sant omaggia uno dei più celebri film di Hitchcock girandone un remake shot by shot ma non completamente identico.Qui c'è il colore(la fotografia e di Chris Doyle) e in più punti vi sono differenze con l'originale(allusioni sessuali più esplicite,corpi nudi e dettagli sanguinosi nonchè inserti subliminali durante gli omicidi).Resta lo stesso sceneggiatore (Joseph Stefano) e le musiche,sebbene dirette da Danny Elfman,sono sempre quelle di Bernard Hermann.Curiosamente viene replicato un errore(la porta che viene aperta senza chiave) e il regista si ritaglia un'apparizione nel medesimo punto in cui nell'originale appariva Hitchcock.Quindi a conti fatti è una sorta di aggiornamento,notevole dal punto di vista visivo(molto bello lo zoom panoramico iniziale,che Hitchcok avrebbe voluto utlizzare nel suo film)ma purtroppo inconsistente per quanto riguarda il cast:impossibile il confronto con quello originale.La Heche è stata candidata al Razzie(vinto da Van Sant per la regia) ma Vaughn con quell'aria da tenerone tontolone è proprio la peggior scelta possibile per il ruolo che immortalò Perkins...Poco convincenti anche Mortensen e la Moore,dall'aria quasi perplessa.Fiasco commerciale e ampiamente criticato,merita una parziale rivalutazione per l'idea affascinante e la confezione accurata.
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paride86
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sabato 21 febbraio 2009
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anche questo remake ha il suo fascino
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Praticamente è "Psycho" a colori.
Fedelissimo (ma non del tutto) alla sceneggiatura originale, Van Sant firma un remake che ha il suo punto più forte proprio nelle scenografie e nella scelta dei colori. Le scene di nudo sono più accentuate e il tema della sessualità è più esplicito (ma non gratuito perché ha uno scopo preciso nell'introspezione psicologica dell'assassino). Gli attori originali forse erano migliori, ma questo remake non sfigura affatto e, anzi, rende omaggio a uno dei film più famosi di un grande regista americano.
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paolo ciarpaglini
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lunedì 14 gennaio 2008
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psycho.
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Può e lo dico con vivo risentimento, un'uomo di tale spicco e presunta cultura, scrivere e trovare editori del calibro di Sperling e Kupfer (non pinco pallino, concedetemi il termine), solo per il nome che porta?. Può. E la recensione da lui rilasciata ne è una prova lampante. Purtroppo ed evidentemente, anche l'editoria, è profondamente influenzata da 'leggi' non scritte ma largamente diffuse. Parlo da 'aspirante scrittore', ma il mio non vuol essere un'attacco diretto alla persona, quanto al sistema. Che poco o niente (eccezione fatta per medio-piccole case editrici, che con coraggio e tenacia fungono da fucina creativa), presuppone spazi ed attenzione per scrittori che di diritto! meriterebbero una possibilità, una schance.
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Può e lo dico con vivo risentimento, un'uomo di tale spicco e presunta cultura, scrivere e trovare editori del calibro di Sperling e Kupfer (non pinco pallino, concedetemi il termine), solo per il nome che porta?. Può. E la recensione da lui rilasciata ne è una prova lampante. Purtroppo ed evidentemente, anche l'editoria, è profondamente influenzata da 'leggi' non scritte ma largamente diffuse. Parlo da 'aspirante scrittore', ma il mio non vuol essere un'attacco diretto alla persona, quanto al sistema. Che poco o niente (eccezione fatta per medio-piccole case editrici, che con coraggio e tenacia fungono da fucina creativa), presuppone spazi ed attenzione per scrittori che di diritto! meriterebbero una possibilità, una schance. Purtroppo e mi ripeto, è una delle leggi della vita: 'dimmi il tuo nome e ti dArò (non è un'errore di grammatica) chì sei'. Il buon Walter Weltroni, non si accontenta dell'occupazione che maggiormente gli si confà, o che comunque lo vede al centro delle cronache quotidianamente. E cosa ancor più grave, non si tratta di un'eccezione, ma anzi di un caso che conferma la regola. E poi scendendo nella fattispecie dell'analisi, spicciola, priva di acutezza, sostanza. Nonchè scritta con un'uso della lingua italiana a dir poco, 'scolastico' che il mio malcontento e stupore si acutizza. Ma analizziamo il film (lasciando a Walter ciò che è di Walter, ci mancherebbe): a mio avviso, ma anche da profondo amante del cinema mi sono più volte chiesto il perchè, frà tutti i lavori 'sfornati'dal maestro del thriller per antonomasia, proprio questo ne rappresenti il simbolo. Una domanda lecita credo, dopo aver visti tutti o quasi, i suoi lavori. Hitchcock, dopo un'avvio di carriera dove ha lavorato e creato di sana pianta un nuovo genere, ha anche forgiato nel suo genere, alcuni frà i più bei film che la storia del cinema ricordi. Considero Hitchcock alla stregua di un Sergio Leone americano. Due maestri, che hanno saputo apportare nonchè distinguersi per ineguagliabili creatività ed originalità. Senza molti giri di parole, considero Psycho non un brutto lavoro, ma certamente, anzi assolutamente da 'accodare' a pellicole come: 'Io ti salverò', 'Notorius l'amante perduta', 'La finestra sul cortile', 'La donna che visse due volte', 'Delitto perfetto!'. Credo ed a buona ragione, che solo la grandissima interpretazione di Hopkins (per una ragione anche, credo, fisiognomica-attitudinale), riesca a dare un tono. Una spina dorsale che rischierebbe altrimenti ed addirittura, di scadere nel B-movie. La celeberrima scena nella doccia, è a dir poco imbarazzante, amatoriale potremmo dire, per concezione espressiva e totale assenza di 'vero' patos. Il film nell'insieme è appena salvabile, ripeto, per l'azzeccatissima scelta del protagonista.
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[+] per tua informazione "grammatica is not dead"
(di enim)
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(di lele)
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(di skakki)
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(di norman)
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