Da un punto di vista squisitamente stilistico questa pellicola è un'autentica gemma di fotografia e scenografia, con punte di stile e soluzioni tecniche che, oltre ad avere una precisione meticolosa in ogni dettaglio, possono tranquillamente insegnare a nomi del cinema ben più famosi e blasonati. Lo si potrebbe quasi definire una "meravigliosa sequenza di piano-sequenze", sulla false riga di "1917".
Ma finisce tutto li, nella sua bellezza estetica.
Il soggetto, benché di denuncia, manca totalmente di tutta la sua controparte, ovvero dell'antieroe, del contrappeso narrativo. Sicché la storia diventa ben pesto piatta e prevedibile.
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Da un punto di vista squisitamente stilistico questa pellicola è un'autentica gemma di fotografia e scenografia, con punte di stile e soluzioni tecniche che, oltre ad avere una precisione meticolosa in ogni dettaglio, possono tranquillamente insegnare a nomi del cinema ben più famosi e blasonati. Lo si potrebbe quasi definire una "meravigliosa sequenza di piano-sequenze", sulla false riga di "1917".
Ma finisce tutto li, nella sua bellezza estetica.
Il soggetto, benché di denuncia, manca totalmente di tutta la sua controparte, ovvero dell'antieroe, del contrappeso narrativo. Sicché la storia diventa ben pesto piatta e prevedibile. La costruzione del personaggio dello pseudo-protagonista Karim (Sami Slimane) viene abbozzata a malapena per poi essere immediatamente rimpiazzata dal reale protagonista, il fratello Abdel (Dali Benssalah) che, probabilmente per ragioni di minutaggio, ha una evoluzione troppo immediata e drastica, davvero poco credibile. Praticamente nulla, invece, viene lasciato al vero soggetto della sceneggiatura, il fratello minore la cui uccisione è la miccia che fa scattare tutta la vicenda. Questo crea un buco di trama che rende la pellicola fruibile quasi esclusivamente a chi vive sulla propria pelle la realtà di quei quartieri.
L'antieroe, l'agente Jerome (Anthony Bajon), non è nemmeno accennato e finisce per risultare quasi un oggetto di scena, senza una propria identità, quasi a voler sminuire tutto il contesto della vicenda, che invece rappresenta proprio il fulcro dell'intera narrazone. La storia quindi fa cadere la sceneggiatura in un giudizio politico di parte che risulta fin troppo facile da elargire e che, per quanto di libera espressione artistica, manca totalmente di qualsiasi forma di pluralismo. Ed è proprio questa mancanza di contrapposizione dei valori morali che trasforma un opera esteticamente valevole in nient'altro che l'equivalente di un comizio elettorale.
Da salvare, comunque, la recitazione di Benssalah nella scena della scazzottata col fratello spacciatore. Una scena in cui il pathos è oggettivamente presente e ben costruito.
Voto: 3/5 per gli espedienti di regia tutt'altro che scontati.
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