fabiofeli
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lunedì 25 ottobre 2021
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l''arminuta? risponderei: ****
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“Arminuta” in dialetto abruzzese significa rivenuta, ritornata. Anni ‘70: una ragazzina di 13 anni (Sofia Fiore), di famiglia medio borghese, figlia di un carabiniere, da Pescara viene accompagnata in auto ad un casale di campagna tra oche schiamazzanti con una unica spiegazione: - E’ la tua vera famiglia, tuo padre, tua madre, i tuoi fratelli, ti vogliono bene … E poi l’auto riparte di corsa imboccando un tratturo in terra battuta e breccia. Al primo piano del casale la giovane incontra una donna con gli occhi grandi e intensi, (Vanessa Scalera) e una bambina piccola, Adriana (Carlotta De Leonardis), che può avere dai sei ai 10 anni, ma già – per uno strano miracolo – sa tenere in braccio un fratellino di un anno e “ninnarlo” per un tempo che pare infinito.
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“Arminuta” in dialetto abruzzese significa rivenuta, ritornata. Anni ‘70: una ragazzina di 13 anni (Sofia Fiore), di famiglia medio borghese, figlia di un carabiniere, da Pescara viene accompagnata in auto ad un casale di campagna tra oche schiamazzanti con una unica spiegazione: - E’ la tua vera famiglia, tuo padre, tua madre, i tuoi fratelli, ti vogliono bene … E poi l’auto riparte di corsa imboccando un tratturo in terra battuta e breccia. Al primo piano del casale la giovane incontra una donna con gli occhi grandi e intensi, (Vanessa Scalera) e una bambina piccola, Adriana (Carlotta De Leonardis), che può avere dai sei ai 10 anni, ma già – per uno strano miracolo – sa tenere in braccio un fratellino di un anno e “ninnarlo” per un tempo che pare infinito. Le domande della “Rivenuta” sono gridate: “Perché sono qui?”, “Chi siete voi per me?”. Le risposte, apparentemente risibili, sono: “Siamo la tua vera famiglia.” . Non può essere! La Rivenuta non riesce a riposare tranquilla in un letto dove dorme la sorella testa-piedi come in tempo di guerra tra 1939-44 e che bagna il letto di pipì; sviene se deve pulire una vasca, un water, un bidè con un abrasivo; non sa spennare un pollo. Lei conosce il condizionale trapassato e il condizionale presente: unica nella sua classe del paese. Non è un grande merito, ma certamente neanche una colpa. Se lo chiedevamo nel 1975 a ben oltre la metà degli italiani nelle città Milano, Roma , Torino, Firenze, Bologna, Napoli, ci rispondevano in 6 dialetti diversi: “Cheee?”. Oggi, peggio. Giuseppe Bonito, regista di “Pulce che non c’è”, un piccolo grande-film del 2012, vincitore al Festival del Cinema di Roma, presentato nel nostro commento del pubblico come “Dialogo senza parole”, si ripete con l’eccellenza al Festival del Cinema di Roma. Perché tutte le tre attrici sopra citate e Vincenzo (Andrea Fuorto), 18enne invaghito di Arminuta, e il Padre (Fabrizio Ferracane) sono guidati in modo perfetto: il dialogo, in gran parte in dialetto non sottotitolato, è quasi superfluo, perché parlano gli sguardi e gli accessi di furia, con schiaffi e urli (della madre) o cinghiate (del padre). Alcuni momenti magici: la giostra con i seggiolini a spinta, che l’Arminuta sperimenta come un volo di libertà da una realtà avversa e incomprensibile; il bagno in mare con la battaglia a spruzzi con Vincenzo; l’ultimo bagno con la sorella Adriana, che finalmente si fida ed affida; la profezia della nonna delle bambine, una Tiresia al femminile che dice alla madre dell’Arminuta: “Non ho la medicina per il tuo lutto. Ma lei ti regalerà una grande soddisfazione”. Libro dal quale è tratto il film e sceneggiatura sono di Donatella Di Pietrantonio, la musica – struggente - di Taviani e Travia, la fotografia di Alfredo Betrò di stupende montagne rotonde e cime aguzze popolate di cavalli tra Abruzzo e Svizzera innevata. Una storia e un film che rimane nel cuore con la ragazzina dai capelli rossi, che per una sorta di analogia di “colori” ricorda Le Meraviglie e Lazzaro Felice delle sorelle Rohrwacher: in fondo stare tra le oche e mangiare tutto con una sola posata può essere bello. Film da non mancare. Valutazione **** FabioFeli
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loland10
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martedì 26 ottobre 2021
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bambine e l''orizzonte
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“L’Arminuta” (2021) è il terzo lungometraggio del regista Giuseppe Bonito.
Ragazza di tredici anni senza nome (la ‘Ritornata”), uno sguardo perso e una vita che sembra da prendere ogni giorno. Con un prima che non conosce più e un dopo nebuloso e incerto.
Girato in forma dialettale abruzzese -teramana- (anche se le riprese sono state effettuate nella sabina reatina), con un linguaggio povero e scarno e una sceneggiatura essenziale priva di ridondanze eccessive. Tratto da libro omonimo di Donatella Di Pietrantonio che ha scritto il film insieme a Monica Zapelli.
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“L’Arminuta” (2021) è il terzo lungometraggio del regista Giuseppe Bonito.
Ragazza di tredici anni senza nome (la ‘Ritornata”), uno sguardo perso e una vita che sembra da prendere ogni giorno. Con un prima che non conosce più e un dopo nebuloso e incerto.
Girato in forma dialettale abruzzese -teramana- (anche se le riprese sono state effettuate nella sabina reatina), con un linguaggio povero e scarno e una sceneggiatura essenziale priva di ridondanze eccessive. Tratto da libro omonimo di Donatella Di Pietrantonio che ha scritto il film insieme a Monica Zapelli.
Il gruppo dei minorenni (le due bambine soprattutto) e la madre, ‘attirano’ la pellicola fino alla fine: con attenzione, semplicità e cadenze sottili, il regista riesce a farci pensare e riflettere.
Film che con pochi mezzi spolvera una commozione sincera e un racconto di poesia agreste.
Storie vive tra rapporti chiusi, mamme sottomesse, figli costretti e una ragazza che si trova catapultata in un mondo oscuro e che non conosce, non suo. Come un alieno, lei dice. La comodità abbandona il suo vivere quotidiano. Vede una famiglia sconosciuta e sente voci e parole dure. Senza sconti.
Ambientazione efficace e di grande effetto visivo; interni, modi e mezzi ricostruiscono benissimo il periodo in cui si svolge la storia con piccoli movimenti di macchina e angolazioni non banali.
Personaggi tutti azzeccati con una recitazione al ribasso ma efficacissima; un modo sottrattivo pieno di pathos represso. Un guadarsi in diagonale non accomodante. Si ha sempre la sensazione di colpi di scena annullati. Anche quando sta per succedere il dramma, una moto, due volti e un autobus, non si ha la scena madre ma tutto avviene in un gioco di correlazione malinconico, tremolante, misero senza mai alzare i toni e a facili commiserazioni registiche.
La distanza tra la camera e i ragazzi viene mantenuta ferma e linearmente mai propensa verso una o l’altra vicenda. Una ripresa sativa-mente attenuata, morbida e mai prevaricante sui voltidei ragazzi. A giusta altezza ogni via di percorsa tra interni, esterni e fino al mare tanto sognato.
Il luogo di aggregazione e disgregazione è la tavola dove mangiano la mamma, il papà, i figli e l’Arminuta. Il luogo degli sguardi e delle poche parole è una pentola piena di un cibo diviso per tutti. Ognuno prende il suo.‘La tavola e il cibo in pentola’ sono il crocevia di ciascuno, dove si manifestano sguardi, silenzi, parole e scambi minimi tra un semplice piatto da sporcare e un boccone per sfamarsi. Un ambiente interno scarno, scolorato, umido e fin troppo ristretto. L’intimità si perde e si annulla tra letti vicinissimi e in un bagno nascosto e piccolo.
Con un po’ d’acqua e una bottiglia di vino per un rozzo padre (padrone) che usa come non mai, la cinghia prima di inveire contro le montagne (‘perché non hai preso me’j per la perdita del proprio figlio.
Pellicola che goccia dopo goccia ti entra dentro, scarna nella messa in scena, adeguata al contesto, viva nei gesti, silenziosa e taciturna negli oggetti, misurata nel porsi, aggressiva negli sguardi, avvolgente nella fotografia.
Il contro-canto tra vita comoda e vita piena di stenti arriva da ieri fino ad oggi. Il passo è dirompente tra servizio pulito in un tavolo ben imbandito e un tavolo puramente essenziale con una cibo da cercare e uno spazio ristretto senza visuali sognanti. Ecco che il ‘poco’ diventa ‘orgoglio’ e ‘speranza’ per una ragazza che è la ‘migliore della scuola’.
Cast: Sofia Fiore (l'Arminuta) convincente e immediata nel gestire un personaggio con molte sfumature e sempre al centro dell’inquadratura; Carlotta De Leonardis (Adriana): incanta il suo essere sorella/amica, solare in penombra; Vanessa Scalera (la madre): melanconicamente forte nella rivalsa di un difficile ambiente familiare; Fabrizio Ferracane (il padre): ruolo ingrato e con poche parole si fa ricordare; Andrea Fuorto (Vincenzo): il figlio che vuole ‘fuggire’ e ‘amare’, il mare e una moto per un pericolo dietro una curva.
Fotografia di Alfredo Betrò: spenta e grigia, attenuata nei colori; viva (prima) e priva (dopo) del tempo e dei luoghi. Un ‘oltre’ dentro l’orizzonte del mare per due bambine.
Regia di Giuseppe Bonito a giusta altezza, mai predominante, semplice ed efficace.
Voto: 7½ (***½) -cinema in abbandono-
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tommaso lupattelli
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martedì 2 novembre 2021
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l''arminuta, un film bello e che sa far riflettere.
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Sei arrivata". Queste le uniche parole che il padre pronucera' direttamente alla figlia in tutto il film appena entrata nella sua nuova casa per poi versarsi un bicchiere d'acqua bevendolo in un sorso solo. Perché saranno solo soprattutto i silenzi a parlare da ora in avanti e tutto dovra fluire dentro come acqua, a significare l'essenziale e unicamente l'indispensabile, sia nella forma ma molto di più nella sostanza, di una vita fatta di privazioni di tutto ciò che e' superfluo in un confine sottile fra necessità ed inevitabili mancanze.
Pellicola di magnifica poesia rurale a tinte scolorite per i grigi ambienti ma molto di piu' per la sofferenza nell'anima color cenere dei personaggi - con la sola eccezione di Adriana la sorellina minore che il subitaneo amore verso la nuova arrivata rende di colore acceso - ma allo stesso tempo anche abbacinante per gli artefatti e variopinti esterni in un Italia degli gli anni 70 a due velocità.
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Sei arrivata". Queste le uniche parole che il padre pronucera' direttamente alla figlia in tutto il film appena entrata nella sua nuova casa per poi versarsi un bicchiere d'acqua bevendolo in un sorso solo. Perché saranno solo soprattutto i silenzi a parlare da ora in avanti e tutto dovra fluire dentro come acqua, a significare l'essenziale e unicamente l'indispensabile, sia nella forma ma molto di più nella sostanza, di una vita fatta di privazioni di tutto ciò che e' superfluo in un confine sottile fra necessità ed inevitabili mancanze.
Pellicola di magnifica poesia rurale a tinte scolorite per i grigi ambienti ma molto di piu' per la sofferenza nell'anima color cenere dei personaggi - con la sola eccezione di Adriana la sorellina minore che il subitaneo amore verso la nuova arrivata rende di colore acceso - ma allo stesso tempo anche abbacinante per gli artefatti e variopinti esterni in un Italia degli gli anni 70 a due velocità. Quella della media borghesia, ormai piu che intenta a mantenere e conservare i propri privilegi, e quella delle campagne dove sopravvivere e' spesso piu' un lusso che uno scopo. Due mondi totalmente differenti trA loro, ma in entrambe, il padre-padrone. In questo contesto L'arminuta, una ragazzina di 13 anni ripudiata dalla madre adottiva e rispedita " come un pacco" ai veri genitori, contadini abruzzesi, dovrà ritrovare l' identita' perduta nel percorso di crescita che sara' costretta inevitabilmente a compiere per poter interiorizzare il distacco doloroso ed improvviso dalla madre adottiva. E nella sofferenza di una condizione familiare a tinte fosche dove alla luce del sole non sembrano esserci possibilita' di rivalsa - uno dei fratelli morira' in una corsa all'aperto in moto - il non detto conta più delle parole, e non e' un caso il ricorso ad un dialetto abruzzese a volte anche non facilmente comprensibile. Con sapiente movimento della macchina da presa ed inquadrature mai forzate o autoreferenziali la pellicola scorre fluida grazie ad una regia attenta e senza mai esitazione alcuna. Il regista mostra indiscutibile maestria nel portare lo spettatore a comprendere a poco a poco ciò che alberga nell'animo di ciascuno mantenendo sempre la giusta distanza tra i vari personaggi e gli eventi e senza sconfinare minimamente in una facile moralizzazione. Ed e' forse questo uno dei maggiori pregi del film, ma forse di un opera in generale, lasciare allo spettatore di poter formulare autonomamente e senza inganni il proprio punto di vista fornendo semplicemente gli elementi in modo oggettivo e asettico. L'arminuta e' un film bello, come se ne fanno pochi ormai in Italia, perché riesce ad arrivare nel profondo senza la pretesa di insegnarci nulla ma solo ricordandoci che all'improvviso possiamo tutti noi cominciare a volare e proprio quando tutto invece sembra volerci tenere ben piantati a terra. Ed e' proprio nel volo su una giostra che la bambina comincera' a intuire che il bello può essere anche altrove, ma anche che e' solo con uno sguardo dall'alto che e' possibile comprendere ciò e chi ci circonda. A volte, purtroppo, sapere accettare la realtà, molto più che volerla per forza cambiare, e' l'unica strada possibile. Ed e' proprio da questa accettazione che si compira' la crescita della protagonista.
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