eugenio
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domenica 16 agosto 2020
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rinascita sulle rive del po
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Benedetto Croce disse qualcosa che riguarda la dimensione storica, culturale, civile di tutti noi: Non possiamo non dirci cristiani. Ed era un liberale laico, probabilmente credente.
Cristiani e profondamente uniti all’intimi natura di una rinascita propria di un territorio, quello dello della pianura padana, delle province di Modena, Rovigo e Mantova, segnate dal profondo trauma del terremoto del 2012, lungo quell’asse commerciale bagnato dal fiume Po e dei borghi incastonati in quella porzione di territorio: Emilia, Veneto e Lombardia.
Da questo evento distruttivo e, per certi versi, di rinascita che Alberto Rizzi, esordiente cineasta, ereditando le atmosfere di Mazzacurati, il pungente sarcasmo sospeso di Fellini e la bellezza delle suggestioni di Ligabue, elabora un film semplice, dall’ossimoro sin dal titolo “Si muore solo da vivi” ma potenzialmente evocativo per menage familiare e sviluppo.
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Benedetto Croce disse qualcosa che riguarda la dimensione storica, culturale, civile di tutti noi: Non possiamo non dirci cristiani. Ed era un liberale laico, probabilmente credente.
Cristiani e profondamente uniti all’intimi natura di una rinascita propria di un territorio, quello dello della pianura padana, delle province di Modena, Rovigo e Mantova, segnate dal profondo trauma del terremoto del 2012, lungo quell’asse commerciale bagnato dal fiume Po e dei borghi incastonati in quella porzione di territorio: Emilia, Veneto e Lombardia.
Da questo evento distruttivo e, per certi versi, di rinascita che Alberto Rizzi, esordiente cineasta, ereditando le atmosfere di Mazzacurati, il pungente sarcasmo sospeso di Fellini e la bellezza delle suggestioni di Ligabue, elabora un film semplice, dall’ossimoro sin dal titolo “Si muore solo da vivi” ma potenzialmente evocativo per menage familiare e sviluppo.
Protagonista è Alessandro Roia, Orlando, perso nell’accidia di un lavoro che immancabilmente perde, sospeso in una dimensione di limbo dopo l’evento, quello distruttivo, fisico, che gli ha portato via una "casa" in riva al fiume, un fratello e una cognata, e che l'ha fatto tornare sotto lo stesso tetto dei genitori, assieme alla nipote. A cui si affianca anche quello affettivo: la rottura con l'amata fidanzata Chiara (Alessandra Mastronardi), e l'addio stizzito alla band di cui era cantante e leader, i Cuore aperto.
Tra battibecchi con la nipote e attivismi insperati da una letale posizione di stasi, con cammei ben riusciti di Neri Marcorè (uno dei cantanti della band, capellone barbuto simpatico) Amanda Lear (produttrice discografica), Red Canzian, Ugo Pagliai e il doppiatore-attore Francesco Pannofino, il nostro protagonista imparerà a muoversi lungo i binari della seconda vita, in equilibrio tra realtà e concessione, rimettendosi in discussione con una band passata, il metaforico cuore aperto, che necessariamente dovrà per lui continuare a battere per (soprav)vivere malgrado la ferita ancora bruci in maniera evidente.
Commedia mai banale che parla di integrazione (quella della comunità indo-pakistana che in quei territori vive e lavora), di sentimenti (il rapporto tra Orlando col senno recuperato e la nipote, o i genitori), di sliding doors e appunto di zuccherosa rivincite, Si muore solo da vivi, dice tutto e al tempo stesso niente.
Benché non privo di difetti con una confezione patinata che scivola quasi nel pubblicitario, la pellicola emoziona e intrattiene per una buona oretta e mezza, lasciandoci respirare una boccata di ossigeno di una produzione cinematografica italiana fatta non dei soliti volti noti e registi da quinzane.
Compitino.
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jonnylogan
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martedì 27 ottobre 2020
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arriva la bomba
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I Cuore Aperto sono stati una funky band emiliana scioltasi per decisione del loro front man Orlando. Dopo vari anni Orlando si ritrova in un baratro fatto di ricordi del passato inclusi quelli riguardanti Chiara, la sua ex fidanzata. Sarà l’arrivo del terremoto dell’Emilia con la morte del fratello e il doversi occupare della nipote undicenne, Angelica, che lo spingeranno a riformare la band e a cercare di superare i suoi problemi.
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I Cuore Aperto sono stati una funky band emiliana scioltasi per decisione del loro front man Orlando. Dopo vari anni Orlando si ritrova in un baratro fatto di ricordi del passato inclusi quelli riguardanti Chiara, la sua ex fidanzata. Sarà l’arrivo del terremoto dell’Emilia con la morte del fratello e il doversi occupare della nipote undicenne, Angelica, che lo spingeranno a riformare la band e a cercare di superare i suoi problemi.
Dopo I più grandi di tutti, pellicola del 2011 firmata da Carlo Virzì, Alessandro Roja, ancora una volta spiantato e talentuoso, si trova a occupare un palco tornando nuovamente dietro il microfono di una band, questa volta funky, desiderosa di riformarsi per cercare nuove fortune. In entrambi i casi è solo la forza della disperazione a portare gli ex sodali a rincontrarsi cercando di ricreare le medesime atmosfere di molti anni pima. Intreccio e commedia in bilico fra i personaggi delle pellicole di Luciano Ligabue, tutti incredibilmente emiliani, e I Blues Brothers, con una band ricreatasi da poco ma senza che si siano incontrate le medesime incredibili difficoltà di Elwood e Jake. La band vede l’intreccio di musica e musicisti di primo piano, cinematografico, da Francesco Pannofino a Neri Marcorè, sino a Paolo Cioni, caratterista noto grazie al serial I Delitti del Bar Lume. Commedia d’esordio leggera, godibile e consolatoria, oltre che dotata di un'eccellente colonna sonora, del regista Alberto Rizzi, che fa ben sperare per il proseguo della sua carriera.
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antonella
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lunedì 3 agosto 2020
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uno struggente film dal sapore padano
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Un regista esordiente ci regala una tenera favola un po' surreale, con accenti vagamente felliniani, con sospensioni tra realtà e sogno. Eccellente il cast, in cui spiccano Alessandro Roja, Neri Marcore' e Francesco Pannofino. Deliziosi i cammei di Amanda Lear e Ugo Pagliai. Un film da vedere assolutamente per respirare la lentezza della gente Emiliana, che ama vivere secondo il flusso placido del suo fiume, il Po'. Ma il film è anche un invito a scuotersi, a non accontentarsi di vivere seguendo il flusso della corrente, perché "Si muove solo da vivi", ovvero arrendendosi senza lottare per quello che veramente amiamo, tanto la musica come una donna.
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paolo butturini
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sabato 15 agosto 2020
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la banalità in forma di film
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Dopo una partenza oleografica con una riviera del Po tanto fiabesca quanto finta, il racconto rotola subito nel gorgo della banalità senza uscirne mai. Scene stiracchiate quando non improbabili (la casa nella foresta con tanto di telefono vecchio modello color rosso fuoco e all'aperto). Snodi narrativi incomprensibili se non alla luce degli sponsor (la fabbrica del parmigiano appare e scompare senza senso narrativo). Persino momenti tragici come quelli del terremoto, che pur dovrebbero segnare una svolta imprimendo ritmo al racconto, vengono risolti con ellissi incomprensibili e alla fin fine un po' ridicole.
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Dopo una partenza oleografica con una riviera del Po tanto fiabesca quanto finta, il racconto rotola subito nel gorgo della banalità senza uscirne mai. Scene stiracchiate quando non improbabili (la casa nella foresta con tanto di telefono vecchio modello color rosso fuoco e all'aperto). Snodi narrativi incomprensibili se non alla luce degli sponsor (la fabbrica del parmigiano appare e scompare senza senso narrativo). Persino momenti tragici come quelli del terremoto, che pur dovrebbero segnare una svolta imprimendo ritmo al racconto, vengono risolti con ellissi incomprensibili e alla fin fine un po' ridicole. La recitazione, forse per colpa dello script con dialoghi talmente scontati da sembrare artefatti, resta a livello elementare, almeno per quello che riguarda i protagonisti. Siamo lontanissimi dall’uso del paesaggio padano come “personaggio”, del fiume come metafora (qui talmente esibita da risultare stucchevole), elementi cari a Carlo Mazzacurati, che pur viene citato largamente. Quella che vorrebbe essere una favola moderna si trasforma, fotogramma dopo fotogramma, nell’ennesima commediola pseudo giovanilistica di cui, francamente, non si sentiva il bisogno. Alberto Rizzi toppa l’esordio alla regia, forse mal servito dal copione, con uno stile, se tale lo possiamo definire, che non si vede e, in questo caso, non può essere un complimento. Andrà meglio la prossima volta.
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