felicity
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lunedì 7 marzo 2022
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un capolavoro fuori da ogni morale
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Il regista Thomas Vinterberg ha realizzato un capolavoro, misteriosamente coinvolgente, fuori da ogni morale e capace di celebrare la vita.
Un altro giro è un film il cui senso è l'andare alla deriva, finire come feel good movie dopo aver abbandonato la forma e il metodo, dopo aver giustapposto svariati registri senza preoccuparsi di armonizzarli in un impeccabile tono standard, rinunciando a trarre conclusioni e giudizi, a snudare gli orrori della borghesia protestante, ad essere spietato. Vinterberg sceglie coraggiosamente, controcorrente di non giudicare bensì di affermare. E di sfidare un'epoca moralista sul terreno ipocrita della lotta alla droga e al doping quando la stessa società pretende performance inattuabili senza sostegni chimici (che si tratti di alcol, psicofarmaci e sostanze eccitanti) presentando gioie e dolori della dipendenza ma tutto sommato concludendo positivamente sugli effetti emancipatori dell'alcol nel rendere musicale l'esistenza.
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Il regista Thomas Vinterberg ha realizzato un capolavoro, misteriosamente coinvolgente, fuori da ogni morale e capace di celebrare la vita.
Un altro giro è un film il cui senso è l'andare alla deriva, finire come feel good movie dopo aver abbandonato la forma e il metodo, dopo aver giustapposto svariati registri senza preoccuparsi di armonizzarli in un impeccabile tono standard, rinunciando a trarre conclusioni e giudizi, a snudare gli orrori della borghesia protestante, ad essere spietato. Vinterberg sceglie coraggiosamente, controcorrente di non giudicare bensì di affermare. E di sfidare un'epoca moralista sul terreno ipocrita della lotta alla droga e al doping quando la stessa società pretende performance inattuabili senza sostegni chimici (che si tratti di alcol, psicofarmaci e sostanze eccitanti) presentando gioie e dolori della dipendenza ma tutto sommato concludendo positivamente sugli effetti emancipatori dell'alcol nel rendere musicale l'esistenza. A differenza dei grandi film di denuncia sull'alcolismo come piaga sociale, dopo i titoli di coda viene voglia di un bicchiere, eccome.
Un altro giro è anche L'attimo fuggente che non si limita a indicare la spietatezza dell'ideologia capitalista senza credere nella possibilità di un'alternativa per cui il professor Keating, per quanto beautiful, ne esce da assoluto e irrecuperabile loser. Gli anni '80 sono finiti da oltre tre decenni: abbiamo altri, enormi problemi ma almeno si può ricominciare a immaginare una vita disadattata e felice. Un altro giro è il film che non ti aspetti ma di cui abbiamo tanto bisogno e regala col fermo immagine del salto finale di Mikkelsen una potentissima icona liberatoria in tempi di prospettive - mentali e fisiche - anguste.
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alfio squillaci
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giovedì 16 settembre 2021
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in vino veritas? lasciamo stare kierkegaard
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"Un altro giro", film di Thomas Vinterberg (2020)
Ubriacatevi, Enivrez-Vous!, suggeriva Baudelaire in una breve poesia di "Le spleen de Paris". Ma di cosa? "di vino, di poesia o di virtù, senza tregua" soggiungeva il sublime dandy parigino che altrove teorizzava lo sregolamento di tutto i sensi per meglio cogliere l'Assoluto.
Il tema dell'ubriachezza in questo film, visto nella splendida Arena Giardino di Marina di Riposto, il paese natio di Battiato che intrattenne un vivo rapporto con la poesia di Baudelaire ("Invito al viaggio", Fleurs 1999), si pone piuttosto come esperimento di verifica di una teoria stilata, ma pare da egli stesso sconfessata, dallo psicologo norvegese Finn Skarderud secondo la quale mancherebbe al nostro organismo lo 0,05 % di gradazione alcolemica, che occorre integrare non "per non essere più gli schiavi martirizzati del Tempo" come auspicava Baudelaire, ma più modestamente per raggiungere il giusto livello di alterazione psichica e disinibizione comportamentale al fine di migliorare la propria performance di mariti, insegnanti, semplicemente uomini vivi.
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"Un altro giro", film di Thomas Vinterberg (2020)
Ubriacatevi, Enivrez-Vous!, suggeriva Baudelaire in una breve poesia di "Le spleen de Paris". Ma di cosa? "di vino, di poesia o di virtù, senza tregua" soggiungeva il sublime dandy parigino che altrove teorizzava lo sregolamento di tutto i sensi per meglio cogliere l'Assoluto.
Il tema dell'ubriachezza in questo film, visto nella splendida Arena Giardino di Marina di Riposto, il paese natio di Battiato che intrattenne un vivo rapporto con la poesia di Baudelaire ("Invito al viaggio", Fleurs 1999), si pone piuttosto come esperimento di verifica di una teoria stilata, ma pare da egli stesso sconfessata, dallo psicologo norvegese Finn Skarderud secondo la quale mancherebbe al nostro organismo lo 0,05 % di gradazione alcolemica, che occorre integrare non "per non essere più gli schiavi martirizzati del Tempo" come auspicava Baudelaire, ma più modestamente per raggiungere il giusto livello di alterazione psichica e disinibizione comportamentale al fine di migliorare la propria performance di mariti, insegnanti, semplicemente uomini vivi.
Ed ecco dunque quattro insegnanti di liceo sottoporsi a questo esperimento di assumere alcol gradualmente, che come è facile prevedere - perché all'inferno scendiamo un passo alla volta -, scappa loro di mano.
La meditazione che il film mi è parso suggerire è che l'alcol non sta in rapporto alla caratura delle personalità secondo l'uso o l'abuso che se ne fa. Viene piuttosto detto, in una scena, che da un astemio puro può saltar fuori un Hitler, che infatti non beveva, mentre tra quelli che alzano il gomito, invece, si possono rintracciare grand'uomini come Churchill o, al di là del tragico epilogo, grandi scrittori come Hemingway (che non beveva mai dopo le otto p.m - è una indicazione questa che resta appesa come un caciocavallo senza altra coloritura di significato), mentre d'altra parte, tra gli alcolisti brubrù, ecco passare le immagini buffe di Eltsin, Junker, Sarkozy. Come dire: ci sono ubriaconi stilosi contro ubriaconi da varietà. Ma anche suggerire: tutto sta nella misura, come la legna nel caminetto, né troppa né poca, ché del resto non ha senso indicare delle quantità, variando le personalità e le complessioni fisiche dei soggetti nel saper tenere botta all'urto dell'alcol. La terra in cui mi trovo mi ricorda invece che a queste latitudini, più che il caldo, ciò che scoraggia il ricorso all'alcol è la forte sanzione sociale: qui un ubriacone uscito dalla putìa (osteria) non è rivestito da alcuna aura di poesia o di maledettismo né ci si farebbe sopra un film, ma investito piuttosto da smorfie di scherno, e questo già nella cultura popolare, che qui è però egemone.
La cornice della pellicola è la Danimarca di Kierkegaard, il quale vi aleggia con una frase sull'amore e la giovinezza posta in epigrafe; non è detto, però, come troppo spesso è d'uso, tratta da quale opera, che potrebbe essere, visto il tema, "In vino veritas", dove leggo piuttosto questa frase che qualche attinenza ha col film per quell'aria di franchezza che vi serpeggia: non era permesso parlare se non in vino, dal momento che non è possibile ascoltare alcuna verità se non in vino, essendo il vino garante della verità e la verità del vino. Ma la produzione del film oltre che della Danimarca è di altri paesi del Nord Europa ove l'alcol prima di essere una piega dell'anima è una vera e propria piaga sociale che si lega alla severa Angst protestante cui manca sia la casuistica derogatoria dei peccati che buona parte della demonologia cattolica, la lotta tra demoni e angeli, l'alternanza di abiezione e riscatto, com'è nella visione di un cattolico chic come Baudelaire (che fu molto severo con l'assunzione delle droghe - assenzio, hashish - ripiegando sull'alterazione controllata e "poetica" del vino). Inoltre la cornice danese è richiamata intenzionalmente con canzoni popolari quando non con lo stesso inno nazionale, ci è parso, forse con l'indicazione incorporata per la quale ogni Paese è infelice o felice a modo proprio.
Il film mi è sembrato un mix strambo tra "Amici miei" (ma nulla della grulleria italica è scambiata tra i quattro robusti danesi tendenti allo spleen pesante più che alla beffa calandrinesca) e "L'attimo fuggente", non solo per l'ambientazione in una scuola, ma per quel tanto di indicazione sottotraccia alla pienezza della vita di cui si esorta a "succhiare il midollo" fino in fondo. E che trova riscontro, nonostante l'epilogo tragico, nel ballo orgiastico finale dell'attore protagonista (bravissimo l'intenso Mads Mikkelsen) contornato da una festa di fine anno dove l'alcol scorre a fiumi ritrovando il suo posto di naturale cornice. Cioè, qui le ragioni sono tutte buone per trincare, signora mia.
Film premiatissimo che si fa vedere fino alla fine senza stanchezza ma anche senza farci saltare dalla sedia. Alfio Squillaci
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stefano73
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domenica 11 luglio 2021
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per essere un pò allegri
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Questo film ci voleva. Non vuole ne esaltare l'alcolismo ne vietarlo. Ne prende a carico i rischi, le responsabilità e i drammi...ma ammette anche quanto sia fonte a volte di leggerezza e voglia di perdersi. Il gruppo di attori è funzionale e azzeccato. Uomini non più giovani che fa un'esperimento sul leggero uso di alcool ma poi diventa una scusa per "migliorare" le capacità intellettive, sociali ed emotive. Alla fine ci si affeziona a questi 4 amici colti e alla fine molto buoni. Ci si affeziona alle loro vite, alle loro debolezze, ai loro fallimenti e vien voglia di tifare per loro...fino alla fine. Nel film c'è anche tanta gioventù pronta ad affrontare la vita da adulti e noi stagionati possiamo ancora dargli qualche consiglio.
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Questo film ci voleva. Non vuole ne esaltare l'alcolismo ne vietarlo. Ne prende a carico i rischi, le responsabilità e i drammi...ma ammette anche quanto sia fonte a volte di leggerezza e voglia di perdersi. Il gruppo di attori è funzionale e azzeccato. Uomini non più giovani che fa un'esperimento sul leggero uso di alcool ma poi diventa una scusa per "migliorare" le capacità intellettive, sociali ed emotive. Alla fine ci si affeziona a questi 4 amici colti e alla fine molto buoni. Ci si affeziona alle loro vite, alle loro debolezze, ai loro fallimenti e vien voglia di tifare per loro...fino alla fine. Nel film c'è anche tanta gioventù pronta ad affrontare la vita da adulti e noi stagionati possiamo ancora dargli qualche consiglio. La location danese si sente tanto....nella musica folk e nelle ambientazioni. Fa riflettere...e fa venir voglia di non sentirsi mai vecchi.
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luca scialo
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venerdì 9 luglio 2021
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inno all'alcol, con retromarcia
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Martin è un professore di storia in una scuola secondaria, ma svolge il suo lavoro in modo pigro e apatico, pure distratto e disinteressando, disincentivando anche i suoi studenti a seguire le lezioni. La verità è che Martin è diventato così anche nei suoi rapporti familiari, soprattutto da quando ha deciso di smetterla con l'alcol. Una serata a cena per il compleanno di un collega che compie 40 anni, riprende però a bere e i 4 decidono di mettere in pratica una teoria di Finn Skårderud, per il quale gli esseri umani dovrebbero avere sempre un tasso alcolico di 0,4, per compensare un deficit che hanno dalla nascita. I quattro insegnanti sembrano aver ripreso la voglia di insegnare e l'entusiasmo della vita.
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Martin è un professore di storia in una scuola secondaria, ma svolge il suo lavoro in modo pigro e apatico, pure distratto e disinteressando, disincentivando anche i suoi studenti a seguire le lezioni. La verità è che Martin è diventato così anche nei suoi rapporti familiari, soprattutto da quando ha deciso di smetterla con l'alcol. Una serata a cena per il compleanno di un collega che compie 40 anni, riprende però a bere e i 4 decidono di mettere in pratica una teoria di Finn Skårderud, per il quale gli esseri umani dovrebbero avere sempre un tasso alcolico di 0,4, per compensare un deficit che hanno dalla nascita. I quattro insegnanti sembrano aver ripreso la voglia di insegnare e l'entusiasmo della vita. E alzano costantemente l'asticella, fino a perdere il controllo, con drammatiche conseguenze. Thomas Vinterberg è un regista che ama provocare e dare la sua versione dei fatti, fregandosene del politically correct che ormai impera nel cinema. Un po' come il suo ex compagno del Dogma '95, nonché connazionale, Lars von Trier. Sebbene rispetto a quest'ultimo abbia un po' moderato le sue posizioni. Infatti, sebbene da un lato sembra voler appoggiare la teoria dell'alcol che dà la giusta "spinta" per sopportare l'insostenibile leggerezza dell'essere, dall'altro fa in modo che i protagonisti esagerino e vedano la propria vita rovinata dall'alcol. Rientrando nei ranghi. Resta comunque un buon film, anche grazie al sempre bravo Mads Mikkelsen, fido di Vinterberg. Nell'occasione particolarmente intenso nel suo sempre imperscrutabile volto.
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fabio marchisio
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venerdì 9 luglio 2021
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capolavoro
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Non è possibile non considerare questo film di Vinterberg un capolavoro. Empatia, verità, umorismo, spietatezza in ogni scena. E' la vita. Da vedere in originale.
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lunedì 28 giugno 2021
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veramente insopportabile!
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Non mi è piaciuto per niente! sarà la mentalità danese, ma a noi è parso un inno agli alcolizzati! NON ANDATE A VEDERLO. E poi quegli immi idioti con parole ancora più idiote, dialoghi assurdi... Non si salva nulla!
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domenica 27 giugno 2021
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veramente insopportabile!
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Momk mi è piaciuto per niente! sarà la mentalità danese, ma a noi è parso un inno agli alcolizzati! NON ANDATE A VEDERLO
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domenica 27 giugno 2021
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una schifezza!
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Un film da vomitare! Non ci è piaciuto nulla, ne' la trama, ne' gli attori, i dialoghi, le canzoncine!!! la danza finale!!! Hanno fatto morire solo una dei 4 alòcolizzati. Dovevano crepare tutti! Un'autentica schifezza, il peggior film visto da molto tempo.
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24luce
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lunedì 7 giugno 2021
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bere non serve per conoscersi meglio.
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Non sarei tanto veemente nel criticare questo film se non avesse riscosso l'approvazione della giuria europea del Lux Award, che lo ha scelto, con altri due film, da una rosa dei dieci film europei più significativi del 2020. E in America ha preso l'Oscar per il miglior film straniero.Le giurie si sono fatte ammaliare dagli effetti speciali di riprese alla massima velocità con angolature inusuali, a effetto mal di mare. Il suono del gorgoglio degli alcolici mesciuti nei bicchieri sulla tavola del ristorante popolata di bicchieri di tutti i formati, che in sequenza si riempivano di vini e liquori osannati dall'oste, i cocktail colorati, fortissimi, , con aggiunta di ghiaccio, rifatti più volte ad indicare l'alta frequenza con cui venivano tracannati, erano di una ritualità vuota e dolorosa.
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Non sarei tanto veemente nel criticare questo film se non avesse riscosso l'approvazione della giuria europea del Lux Award, che lo ha scelto, con altri due film, da una rosa dei dieci film europei più significativi del 2020. E in America ha preso l'Oscar per il miglior film straniero.Le giurie si sono fatte ammaliare dagli effetti speciali di riprese alla massima velocità con angolature inusuali, a effetto mal di mare. Il suono del gorgoglio degli alcolici mesciuti nei bicchieri sulla tavola del ristorante popolata di bicchieri di tutti i formati, che in sequenza si riempivano di vini e liquori osannati dall'oste, i cocktail colorati, fortissimi, , con aggiunta di ghiaccio, rifatti più volte ad indicare l'alta frequenza con cui venivano tracannati, erano di una ritualità vuota e dolorosa. Pensare che quello descriveva lo star bene fra quattro amici stringe il cuore. Ma poi questi quattro non erano degli adulti qualsiasi, erano degli educatori! Insegnanti di adolescenti, di ragazzi in un'età critica, che esaminano accuratannte gli adulti per conferme alla loro evoluzione in atto. Il regista, il danese Thomas Vinterberg, ci vende il tasso alcolico nel sangue come una taumaturgica forma di psicoterapia. Con l'alcol nel sangue ti curi la depressione, la mancanza di autostima, fai lezionie in modo avvincente e pure spiritoso, mentre prima di bere leggevi negli occhi degli alunni-e della moglie- la noia. Bere ti ridona la potenza sessuale, mentre è ben noto che è esattamente il contrario. E così raccontando, si arriva quasi alla fine del film, dove per brevi sequenze le situazioni diventano drammatiche. Per tornare presto, fra i fiumi dell'alcol, a lieti fine, salvo per uno solo dei quattro. Qualcuno ha scritto che questo inno all'ebrezza sia un inno alla vita. Se questo agitarsi senza scopo per effetto dell'alcol è vita, la depressione appare una forma più umana di riconoscere i problemi. e forse di cercar di risolverli. Certo, gli attori-sopprattutto Mads Mikkelsen- sono bravi, ma i messaggi del film sono distorti. Addirittura un insegnante arriva a suggerire all'esaminando di assumere alcol per passare l'esame! in Italia, fino a poco tempo fa, si beveva mangiando. E' da qualche anno che la moda dell'Aperitivo sta portando molti giovani a bere per bere, che poi evolve nel bere per uscire di testa. Ecco, il film descrive a meraviglia questo percorso, dandogli una valenza positiva. Quello che ha dell'incredibile è che il messaggio parte da un paese. la Danimarca, dove, come affermato nel film, l'ubriachezza diffusa è una piaga sociale..
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alessandro spata
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venerdì 4 giugno 2021
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la commedia alla "danesiana"
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Mi piacerebbe condividere lo stesso identico entusiasmo per il film in questione. Non che io non approvi in buona parte quanto scritto da "inesperto". Come ben sappiamo ciascuno proietta sulle immagini anche i propri vissuti, la propria esperienza di vita, ovviamente. E' anche vero che a leggere bene tra le righe non si può ridurre il film ad un mero sperticato elogio dell' “Alcol” e delle sue "finte" proprietà "taumaturgiche", Ma qui entrano in gioco non soltanto il giudizio personale sull’estetica dell’opera cinematografics, ma anche e soprattutto forse la sensibilità che le immagini del film fanno risuonare in ciascuno di noi e in misura “diversa”.
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Mi piacerebbe condividere lo stesso identico entusiasmo per il film in questione. Non che io non approvi in buona parte quanto scritto da "inesperto". Come ben sappiamo ciascuno proietta sulle immagini anche i propri vissuti, la propria esperienza di vita, ovviamente. E' anche vero che a leggere bene tra le righe non si può ridurre il film ad un mero sperticato elogio dell' “Alcol” e delle sue "finte" proprietà "taumaturgiche", Ma qui entrano in gioco non soltanto il giudizio personale sull’estetica dell’opera cinematografics, ma anche e soprattutto forse la sensibilità che le immagini del film fanno risuonare in ciascuno di noi e in misura “diversa”.
Io insisto sull'alta percentuale di "surrealtà" mista ad una sorta di "ingenuità" infantile contenute nel film. E a quanto già scritto in precedenza aggiungo che mi riesce davvero difficile credere al macroscopico quanto sempliciotto sofisma (troppo facilmente smontabile) che si appella a rinomati bevitori come Roosevelt, Churchill o Hemingway per giustificare certa indulgenza giovanilistica verso il bere e i suoi eccessi? Il Prof. Mikkelsen sta tentando di agganciare i suoi studenti in qualche modo per invogliarli a studiare? O si tratta dell'ernnesimo tentativo di "Dissociazione" estrema di un uomo adulto confuso e disperato? Chi mai penserebbe davvero di consigliare un cicchetto ad uno studente che teme il fallimento prima di un esame? È evidente “Amici miei” che questi (amici danesi) sono dei “Freaks”: Mostruose proiezioni dei nostri più reconditi pensieri privati e che mai ci sogneremmo di esprimere in pubblico. Il professor-Mikkelsen avrebbe dimenticato di citare, tra gli altri, anche Jim Morrison che pare abbia scritto le sue canzoni più belle sotto l’effetto di un qualche acido e anche lui indulgeva non poco all’alcol (che rimane pur sempre una droga ricordiamolo). Ma vi posso assicurare e con relativa sicurezza che non basta farsi un “Trip” per scrivere come Morrison (o Hemingway), né sarebbero sufficienti una serie di “Cuba libre” ben assestati per organizzare il prossimo “sbarco in Normandia”.
Il pensiero del regista mi giunge paradossalmente stanco, apatico, rinunciatario a suo modo e ben lontano dal poter dare allo spettatore quella “scossa” salutare che lo risvegli dal torpore di certo tran-tran quotidiano. Qui non si indica una “nuova visione del mondo” e non se ne ha neanche l’ambizione (o la “presunzione”), ma lungi dal voler rompere certi schemi abituali di comportamento e di pensiero malsani della vita quotidiana dei singoli individui come della collettività di un intero paese, ripropone invece il vecchio e «romantico» “schema rituale dello sballo” (il bere) per reagire al disfacimento “morale” personale e collettivo di un’intera nazione. Soluzione troppo semplicistica com’è ovvio a tutti. Quindi, da un lato si finisce per inquadrare “miticamente” la crisi (individuale e sociale) spogliandola, alla fine e fatalmente, di tutta la sua terrificante concretezza quotidiana e dall’altro si offrono indicazioni altrettanto “rituali”, cioè magiche, per superarla. Il bere si riduce a nient’altro che a un atto apotropaico (scaramantico) per esorcizzare il male che ci circonda.
E non è che ci tireremo fuori dai guai “facendo le corna”. In sostanza, l’uso di alcol non rappresenta un atto creativo, ma non rappresenta nemmeno necessariamente la rottura di uno schema abituale: piuttosto ripropone semmai il (ri)affermarsi di una cattiva inclinazione oltre che di una vocazione autolesionistica (sadomasochistica?) tendenziale dei nostri tempi che ben poco ha di rivoluzionario, oltretutto.
Andiamo allora a vedere questo bel film, senza troppo scandalo, ma senza nemmeno prenderlo troppo sul serio. Piuttosto avviciniamoci a questo con la scanzonata e goliardica prospettiva tipica di certi film “mostruosi” dei maestri della commedia all’italiana del passato cui anche lo stesso regista dice di essersi ispirato. Quei film che satireggiavano sul malcostume dei nostri connazionali, ma “ammiccando” sapientemente a questi e subendone l'irresistibile fascino finanche, allo stesso tempo.
A proposito, visto il grande successo, mi permetto umilmente di suggerire il sequel del film dal titolo “Un altro giro vita”. Storia di quattro uomini obesi e col colesterolo alto che temendo che la loro esistenza stia ormai prendendo una sola e triste direzione decidono di provare la "cura del vino rosso" che contiene saponine e polifenoli assortiti che notoriamente riducono i livelli di obesità e colesterolo cattivo e hanno persino effetti positivi sul cuore e la circolazione. Ma fatalmente un bicchiere tira l’altro e la tragedia è alle porte. Uno ci rimane secco colto da infarto mentre brinda alla vita. A un altro gli viene il fegato cirrotico e adesso è in trepida attesa di un trapianto. Il terzo finisce ricoverato in una clinica psichiatrica in quanto l’alcol ha avuto un effetto “catartico” facendo venire a galla vissuti di fragilità e insicurezza insopportabili. Il quarto in compenso pur ammalatosi di "korsakoff" ha trovato lavoro presso gli stabilimenti balneari del Mare del Nord. Fa la boa con annessi richiami sonori. Sì perché nel frattempo si è dato alla birra che gli procura delle eruttazioni esplosive che aiutano all’occorrenza a tenere lontani le imbarcazioni e gli squali che si fossero eventualmente persi nei dintorni. “La commedia alla danesiana”.
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