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La follia di una donna raccontata col telefonino

di Emiliano Morreale La Repubblica

Appena qualche settimana dopo La truffa dei Logan, arriva sugli schermi italiani un altro film di Soderbergh, già presentato all'ultimo festival di Berlino. Soderbergh è uno di quegli autori in cui l'insieme dell'opera, e anzi spesso il semplice gesto creativo con cui si inserisce nel sistema dei media, sono più significativi del singolo esito, che ha sempre un che di momentaneo e incompiuto. Per gli orfani della "politica degli autori", che seguiva le personalità registiche anche dentro i generi e il sistema di Hollywood, il suo cinema è una consolazione (una nuova autorialità possibile) ma anche una sfida (provate ad afferrarmi, sembra dire, tra le mille metamorfosi). In un momento di difficile collocazione del cinema nell'universo dei media, ha sperimentato una serie di operazioni, tra sperimentazione e dialogo col pubblico, inventandosi anche nuove forme di produzione e finanziamento. Dopo aver annunciato il proprio ritiro nel 2013, ha realizzato due serie Tv (The Knick, forse il suo capolavoro, e Mosaic, serie interattiva che è anche un'app), due film e ha vari progetti in corso. Fin dai primi anni 2000 interessato al digitale, alla serialità, all'intreccio di realtà e finzione, negli ultimi tempi il suo sguardo si è fatto sempre più "politico" in senso ampio, interessato al potere sui corpi attraverso sesso o le istituzioni (a cominciare dalla medicina). Sawyer è in apparenza una donna in carriera, ma il suo sistema psicologico è reso fragilissimo da un'esperienza di stalking subita tempo prima. Recatasi in una clinica, viene internata, e per lei comincia l'inferno. La situazione sembra quella di certi noir anni 40, con una donna che deve mostrare a se stessa e agli altri di non essere pazza, davanti a una realtà esteriore che sembra spingerla alla follia: vecchi noir come Angoscia o Mi chiamo Julia Ross, giustamente adorati poi dalle teorie femministe del cinema. Fin troppo facile l'ironia sui colpi di scena "telefonati" per un film girato con l'Iphone 7 Plus, ma certo l'imprevedibilità non è un pregio del film, che sembra soprattutto un canovaccio per mostrare le possibilità di una produzione "leggera", e un gioco ancora una volta politico (è una parabola sardonica sugli effetti perversi del sistema sanitario americano). L'horror-thriller rimane il genere più politico (anzi, forse l'unico vero genere) del cinema americano di oggi, ma la storia, che pur procede spedita, intreccia a un certo punto due temi contemporanei (lo stalking e i meccanismi perversi della sanità) con effetto più di ridondanza che di potenziamento. E, ancora una volta, il progetto di Soderbergh è più interessante del risultato, la teoria più rilevante della pratica.
Da La Repubblica, 5 luglio 2018


di Emiliano Morreale, 5 luglio 2018

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