|
La Dea Atena si reincarna in una bambina che il cavaliere del Sagittario rapisce per salvare dal Gran Sacerdote. Compiuto il sedicesimo anno, Lady Isabel apprende della sua natura divina e del compito di portare la giustizia sulla Terra. A proteggerla ci sono cinque cavalieri di Bronzo: i guerrieri di Atena si recano al Grande Tempio per convincere i cavalieri d'oro della vera identità della fanciulla e smascherare il Gran Sacerdote.
Non è semplice condensare in un'ora e mezza l'epopea delle Dodici Case del bellissimo anime di Saint Seiya, creato da Masami Kurumada. Dal cavaliere dell’Ariete al Gran Sacerdote passavano circa 40 puntate, che qui Keichii Sato inevitabilmente taglia e raffazzona per una durata da lungometraggio. Né è semplice costruire in CGI i volti scarsamente definiti del tratto manga/anime, che vengono qui umanizzati e arricchiti nel look.
Ma proprio perché non è semplice fare tutto questo, e l’inevitabile voragine grafica pesa come un macigno, a maggior ragione non si sentiva la necessità di questo Legend of Sanctuary. Il tratto mistico dell’epopea di Pegasus e compagni stava benissimo nel cartone animato e non esigeva di alcuna esportazione sul grande schermo. Il lungometraggio di Keichii Sato non solo è brutto, dannatamente brutto, ma neanche furbo: nemmeno riesce ad essere ruffiano giocando su una riproposizione nostalgica in grado di scaldare il cuore dei fan di vecchia data. Di nostalgico vi è solo il soggetto, e se non fosse per il doppiaggio italiano che ritrova le voci storiche dei personaggi principali (ma con dialoghi scadenti), la sforzo di trovare qualcosa in comune con l’aura mistica dei cavalieri di Kurumada sarebbe ridicolo. Non c’è caratterizzazione, non c’è epica del confronto, non ci sono dialoghi aulici, non ci sono le bellissime musiche dell’anime firmate da Seiji Yokoyama. Alcuni personaggi sono inutili, non hanno il tempo di entrare in scena e vengono tolti di mezzo con soluzioni narrative che irritano, e non poco, i fan della saga.
Sulle prime questo Saint Seiya neanche fa arrabbiare (troppo): mantiene un tono spensierato, a tratti comico, presentando un Pegasus logorroico che origina alcuni siparietti leggeri. Nella seconda parte, però, il disgusto è totale, perché neanche si riesce a sorridere. La battaglia finale è un’accozzaglia di soluzioni visive che definire trash sarebbe lusinghiero.
Speranzosi che si tratti comunque di un’opera innocua, presto dimenticata e valutata col sorriso forzato sulle labbra, rimane il legittimo dubbio su come si possano autorizzare produzioni del genere che neanche assolvono il minimo sindacale del loro ruolo: tronfiare il botteghino con la promessa di far tornare bambino un ultra trentenne per un paio d’ore, consentendogli di uscire dal cinema non proprio soddisfatto, ma almeno emozionato. Nemmeno questo.
[+] lascia un commento a fabal »
[ - ] lascia un commento a fabal »
|