L’arbitro, film (2013) di Paolo Zucca con Stefano Accorsi, Geppi Cucciari, Jacopo Cullin, Marco Messeri, Grégoire Estermann, Benito Urgu, Franco Fais, Quirico Manunza, Francesco Pannofino e Alessio Di Clemente
Un bel film in bianco e nero, scelta che aiuta efficacemente l‘ambientazione nella Sardegna degli anni ’50, offrendo un’idea complessivamente corretta delle problematiche esistenti nell’isola a quel tempo e non solo: un cenno alla miseria della popolazione e conseguente forzata emigrazione in altri paesi, in questo caso in Argentina, l’abigeato punito con la legge dell’ ”occhio per occhio, dente per dente”, l’omertà, e le scorribande degli arroganti “balente” che intimidiscono con i loro fucili e le minacce e gli insulti di ogni tipo e, per finire, il campanilismo sportivo fra villaggi di poche anime.
La splendida colonna sonora sottolinea potentemente il tema principale: la carriera giunta quasi al top dei riconoscimenti di un arbitro integerrimo
e religiosissimo che cattura l’attenzione dello spettatore con i rituali del prepartita che richiamano quelli di qualche setta imprecisata, gli esercizi preparatori all’ingresso in campo, i volteggi e l’agilità di un fisico perfetto, quello di Accorsi o forse di una sua controfigura, stupefacente nella sua bellezza nell’inquadratura di spalle. Esaltanti le scene in cui, illuso da promesse mendaci, ebbro di gioia volteggia sulle note della celeberrima e azzeccatissima “Vivere”, lusingato dai commenti di un viscido presidente e di un altro personaggio influente nel mondo calcistico, che gli prospettano il raggiungimento della gloria massima per le sue doti eccezionali di bravura, rivelando solo verso la fine che a nulla o quasi serve la conduzione onesta e rigorosa dei match, anzi, quella costituisce un ostacolo e tale idea è rinforzata dal leader nazionale degli arbitri che, in un convegno, evidenzia il diritto dell’arbitro di commettere errori e la necessità di evitare tecnologie che ne sostituiscano il giudizio sul campo sportivo. Lo spettatore si aspetta che l’arbitro, interpretato egregiamente da Accorsi, resista, persistendo nella sua condotta onesta, ma, come troppe volte succede nella realtà, non sopporta il declassamento e, per risalire la china, conduce il match fra due oscure squadre da sempre rivali, in maniera scandalosamente scorretta. Il messaggio è scoraggiante ma veritiero, purtroppo.
Il tema parallelo è quello delle squadre, una sostenuta da un arrogante “balente” senza scrupoli e l’altra da un appassionato cieco, la cui figlia, interpretata simpaticamente e in maniera forzatamente macchiettistica da Gieppi Cucciari, resa assai più rozza e brutta che nella realtà, che rende fedelmente l’idea della donna sarda un po’ scontrosa che era difficile conquistare a quei tempi, e che però prima o poi soccombe all’appassionato corteggiamento, ricompensando l’amato degli sforzi compiuti.
Oltre la simpatica vecchietta in abiti tradizionali, che fa il tifo per la sgangherata squadra, in cui è arruolato il figlio di un emigrante, cambiandone totalmente le sorti, è presente un’altra figura femminile, la sposa dell’arrogante, anche lei piuttosto bruttina e ci si chiede il perché di queste scelte visto che le donne sarde sono notoriamente fra le più belle d’Italia.
Un altro piccolissimo appunto, fatto affettuosamente al bravo regista: le lattine di birra compaiono sul mercato molto più tardi.
Splendida anche tutta la fotografia.
Un film di grande spessore fortemente consigliato.
Rita Branca
[+] lascia un commento a rita branca »
[ - ] lascia un commento a rita branca »
|