carloalberto
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venerdì 14 agosto 2020
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le porte di avranas
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Miss violence offre lo spunto per diverse interpretazioni. Teorema in forma di piece teatrale, che utilizza un caso estremo, in modo paradigmatico, per dimostrare che il male si nasconde tra le pieghe del tranquillo, insospettabile tran tran borghese, vive alla porta accanto ed ha il sorriso del buon vicino premuroso, tema caro a Polanski. Analisi sociologica del potere assoluto, personificato dal padre padrone, che sottomette le sue vittime, ne annulla la volontà e le riduce a meri oggetti per realizzare le sue più cupe perversioni, che richiama alla mente, anche per la crudezza e la violenza insopportabile dei fatti rappresentati, Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pasolini.
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Miss violence offre lo spunto per diverse interpretazioni. Teorema in forma di piece teatrale, che utilizza un caso estremo, in modo paradigmatico, per dimostrare che il male si nasconde tra le pieghe del tranquillo, insospettabile tran tran borghese, vive alla porta accanto ed ha il sorriso del buon vicino premuroso, tema caro a Polanski. Analisi sociologica del potere assoluto, personificato dal padre padrone, che sottomette le sue vittime, ne annulla la volontà e le riduce a meri oggetti per realizzare le sue più cupe perversioni, che richiama alla mente, anche per la crudezza e la violenza insopportabile dei fatti rappresentati, Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pasolini. Dramma familiare osservato in modo asettico, fino all’estraniamento assoluto dalle vicende narrate, nello stile del Sacrificio del cervo sacro di Yorgos Lanthimos.
La complessità dei significati è appena celata da un descrittivismo naturalistico in cui le immagini, laddove non esplicitano, suggeriscono, comunque, inequivocabilmente quello che sta per accadere e le ingannevoli, ambigue scene iniziali velocemente cedono il passo alla rappresentazione realistica dell’orrore mostrato in un crescendo di rivelazioni traumatiche fino all’abominio assoluto.
Il film è soprattutto una riflessione sulla problematicità dello sguardo che si getta nello spazio dischiuso, quando il cinema o un altro mass media, raccontando storie come questa, apre porte che rimarrebbero altrimenti chiuse. Lo sguardo anaffettivo del regista, come in un gioco di specchi, si riflette in quello di volta in volta cinico, apatico, indifferente, ottuso, dell’assistente sociale, della vicina di casa, della direttrice scolastica, del datore di lavoro, ed infine in quello dei mass media, radio e televisione, il cui rumore onnipresente fa da sottofondo e da colonna sonora a tutto il film. C’è sempre un surplus di violenza gratuita che si aggiunge all’orrore.
Le porte in Miss violence sono tante e hanno diverse funzioni. La vicina apre la porta di casa con circospezione e la richiude frettolosamente, non vuole vedere per non dover prendere posizione, il mostro tirannico scardina la porta della stanza della figlia perché non vuole si creino intimità alternative a quella da lui imposta con le sevizie ed il ricatto, la moglie soggiogata e complice passiva, nella scena finale della ribellione catartica, quando ormai la tragedia è compiuta, dice alle figlie di chiudere la porta di casa a chiave. Ciò che resta di quelle anime perse e del loro imprevedibile futuro è custodito al di là della porta, chiusa a ripristinare e a preservare quel poco che ancora resta della loro umanità.
Si trascende forse l’intenzione di Alexandros Avranas se si interpreta quest’ultima frase pronunciata nel film, altrimenti enigmatica, come un’incursione metafilmica che simboleggia la volontà dei personaggi di sottrarsi alla violenza dello sguardo, al voyeurismo perbenista dello spettatore medio, che, nello scandalizzarsi in modo distaccato, trova inconsciamente una gratificante conferma della propria sana normalità. Indizi per una lettura in tal senso si ritrovano disseminati nel film. L’inquadratura fissa dalla prospettiva del televisore della famiglia riunita nel salotto, è emblematica di una visione capovolta della realtà, in cui il mezzo mediatico diventando soggetto non è più soltanto guardato, ma guarda e penetra violando l’intimità della casa. L’attenzione morbosa dei personaggi verso i documentari sugli animali mima l’interesse della gente comune per le trasmissioni del dolore di cui sono protagonisti spesso le vittime di abusi familiari. La partecipazione emotiva di chi guarda un documentario sugli scimpanzé o una storia di abiezione morale del resto è simile, ovvero meraviglia e disgusto per ciò che non è “umano”.
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luca scialo
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domenica 21 giugno 2020
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l'apparente normalità di una famiglia sconfessata da una tragedia
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Grecia oggi. Una ragazzina si è appena suicidata. Viveva sotto lo stesso tesso con genitori, due sorelle più grandi e i due figli della prima sorella. Entrambi avuti da uomini diversi che l'hanno abbandonata. Il padre va avanti chiedendo sussidi sociali ed è talmente ossessionato dal mantenere l'ordine familiare, al punto di perdere il lavoro appena trovato presso una piccola ditta come commercialista. L'uomo cerca di fare in modo che il gesto estremo di sua figlia non infici l'equilibrio dell'intera famiglia. Tuttavia, quel gesto nasconde motivazioni drammatiche, che vengono alla luce a poco a poco. Come se quell'evento avesse infranto una patina di ghiaccio che nascondeva la realtà di quella famiglia greca.
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Grecia oggi. Una ragazzina si è appena suicidata. Viveva sotto lo stesso tesso con genitori, due sorelle più grandi e i due figli della prima sorella. Entrambi avuti da uomini diversi che l'hanno abbandonata. Il padre va avanti chiedendo sussidi sociali ed è talmente ossessionato dal mantenere l'ordine familiare, al punto di perdere il lavoro appena trovato presso una piccola ditta come commercialista. L'uomo cerca di fare in modo che il gesto estremo di sua figlia non infici l'equilibrio dell'intera famiglia. Tuttavia, quel gesto nasconde motivazioni drammatiche, che vengono alla luce a poco a poco. Come se quell'evento avesse infranto una patina di ghiaccio che nascondeva la realtà di quella famiglia greca. Così apparentemente quasi normale. Ottimo esordio per Alexandros Avanas, che figura anche come sceneggiatore e produttore. Vincendo anche un Leone d'argento a Venezia. Il regista è bravo nel svelare la storia a poco a poco. Partendo, intelligentemente, dal fatto tragico, per poi risalirne alle motivazioni. Riuscendo a poco a poco a rovesciare l'apparente normalità dietro la quale si nasconde una famiglia come tante. In una Grecia morsa dalle difficoltà economiche. Svelando altresì la vera perversa motivazione di tanta maniacale cura dell'ordine e della disciplina da parte del padre-padrone.
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iaoquinti
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lunedì 29 gennaio 2018
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mostro nascosto
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Atmosfera cupa e misteriosa durante tutto il film.
Una famiglia numerosa in cui il nonno perverso esercita una schiacciante oppressione (fisica e psicologica) su ogni membro.
All' inizio l'uomo sembra essere solamente un "Padre" eccesivamente severo ed esigente con le proprie figlie/i, ma col progredire del film, egli dimostrerà tutta la sua terribile perversione e malvagità.
La più anziana della famiglia riuscirà a ribellarsi e a vendicare le atrocità sopportate dalle donne (bambine) schiave di questo mostro, le quali dovranno lottare contro la cosidetta sindrome di stoccolma per riconquistare la libertà.
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eleonora panzeri
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sabato 29 ottobre 2016
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dietro la porta
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Una festa di compleanno, una finta e stentata allegria che non si spiega e poi un gesto, il più terribile ed inaspettato, che stride con il momento di festa e la giovanissima età della vittima.
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Una festa di compleanno, una finta e stentata allegria che non si spiega e poi un gesto, il più terribile ed inaspettato, che stride con il momento di festa e la giovanissima età della vittima. Cosa può spingere una bambina di 11 anni a porre fine ai suoi giorni? Non lo si capisce da subito, benché qualcosa sicuramente non va in questa famiglia in cui i ruoli parentali sono confusi, i sorrisi sono tirati e sinistri ed il vuoto alberga negli occhi delle donne della casa. Eleni, in particolare, sembra quasi una bambola priva di raziocinio, con i suoi grandi e bellissimi occhi, i trucchi forti e quel sorriso folle e spiritato. La storia scorre lenta in una modalità di riprese inconsueta, all’inseguimento dei personaggi tra le porte della casa; mentre cerchi di capire vieni chiuso fuori in attesa, sospettando o intuendo senza poter capire fino in fondo. Non vi è quasi mai una vera e propria violenza fisica, ma un lento e persistente logorio psicologico, un terrore costante e non da subito giustificabile. Il senso di angoscia è forte fino al punto di rottura in cui l’orrore appare inaspettato, nudo e crudo raggiungendo livelli da terminare quasi la visione. Tuttavia, per chi resiste, l’epilogo non potrà ridare l’infanzia rubata e l’innocenza perduta delle protagoniste, ma almeno un senso di giustizia e libertà in cui ti viene comunque scontato dire “doveva essere fatto prima”. La drammaticità del film sta nel fatto che per stessa ammissione del regista è ispirato ad una storia vera ancora peggiore e cruenta di quella raccontata.
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guidobaldo maria riccardelli
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domenica 17 aprile 2016
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il circolo vizioso delle vittime moderne
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Crudo e penetrante, colpisce a sangue freddo, non avverte, fa intuire il peggio concretizzandosi invece in qualcosa che va al di là, scendendo in un inferno tangibile, pienamente reale nel suo apparente parossismo.
Alexandros Avranas si inserisce con prepotenza nella schiera di questo cinema ellenico moderno, pieno di vita nel descrivere la morte, capace di fotografare una realtà comune, non circoscrivendo scenarii applicabili alla sola società interna, ma estendibili ovunque, scienziati sociali prestati alla cinematografia, senza sconti per chi guarda.
Un insiema di vittime, sistemi sociali concentrici con a capo un riferimento, pronto a far valere la propria posizione dominante sui sottoposti: ci riferiamo alla sistema-famiglia sì, ma le medesime dinamiche non mancano di esistere sul posto di lavoro, così come nei gangli della burocrazia; un continuo movimento volto alla sopraffazione, una forgia capace di creare veri mostri sociali, dove i rapporti tra consanguinei si adattano a quelli tra estranei, fatti di punizioni e rinforzi, dove tutto è giustificato e giustificabile, dove i ben materiali divengono fulcro vitale, in cui tutto è spendibile, dalla propria dignità fino alla purezza di chi è strumento nelle mani altrui.
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Crudo e penetrante, colpisce a sangue freddo, non avverte, fa intuire il peggio concretizzandosi invece in qualcosa che va al di là, scendendo in un inferno tangibile, pienamente reale nel suo apparente parossismo.
Alexandros Avranas si inserisce con prepotenza nella schiera di questo cinema ellenico moderno, pieno di vita nel descrivere la morte, capace di fotografare una realtà comune, non circoscrivendo scenarii applicabili alla sola società interna, ma estendibili ovunque, scienziati sociali prestati alla cinematografia, senza sconti per chi guarda.
Un insiema di vittime, sistemi sociali concentrici con a capo un riferimento, pronto a far valere la propria posizione dominante sui sottoposti: ci riferiamo alla sistema-famiglia sì, ma le medesime dinamiche non mancano di esistere sul posto di lavoro, così come nei gangli della burocrazia; un continuo movimento volto alla sopraffazione, una forgia capace di creare veri mostri sociali, dove i rapporti tra consanguinei si adattano a quelli tra estranei, fatti di punizioni e rinforzi, dove tutto è giustificato e giustificabile, dove i ben materiali divengono fulcro vitale, in cui tutto è spendibile, dalla propria dignità fino alla purezza di chi è strumento nelle mani altrui.
Il sottotesto, sebbene chiaro, non è portato volutamente in superficie: il rapporto tra governati e governanti, e, ancor più, tra governanti e governanti, dove con questo, sarà chiaro, ci riferiamo ai rapporti imperialistici tra paesi.
Tra porte che si aprono e si chiudono, viene mostrato ciò che si può vedere, e suggerito ciò che si può facilmente immaginare o dedurre, senza artifici scenici di sospensione di una irrealtà che non è tale, o meglio: è, ma potrebbe tranquillamente non essere, nulla anche solo di verosimile è messo in scena. L'orrore lo abbiamo già, lo sdegno non ha bisogno di inviti, e la tragedia risiede nel fatto che ciò che ci messo davanti agli occhi non risponde a costruzioni di comodo.
Esiste una via di fuga, delle cesoie capaci di recidere il cappio? Forse sì, più facilmente no, eliminando dalle possibili soluzioni quella più drastica, seppur a suo modo risolutiva.
La porta si chiude, non ci è dato vedere.
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ginopeloso
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martedì 22 marzo 2016
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violenza familiare e poco altro
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Violenza in famiglia, dinamiche familiari che vengono piano piano alla luce. Violenza, tanta, ma niente di più.
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franci9292
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venerdì 16 ottobre 2015
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quando la violenza è dentro casa.
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Mi sembra ancora di essere lì, all’interno dell’abitazione e assistere, involontariamente, ai terribili soprusi di un padre-padrone su moglie e figlie innocenti.
Incredibile abilità del giovane regista greco Alexandros Avranas nel dirigere un attore protagonista, Themis Panou, che è stato in grado di interpretare in maniera eccellente la figura negativa e dèspotica di un uomo mentalmente instabile e carnefice, in senso fisico e psicologico, della propria famiglia.
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Mi sembra ancora di essere lì, all’interno dell’abitazione e assistere, involontariamente, ai terribili soprusi di un padre-padrone su moglie e figlie innocenti.
Incredibile abilità del giovane regista greco Alexandros Avranas nel dirigere un attore protagonista, Themis Panou, che è stato in grado di interpretare in maniera eccellente la figura negativa e dèspotica di un uomo mentalmente instabile e carnefice, in senso fisico e psicologico, della propria famiglia.
Il film si apre con il suicidio di una ragazzina di 11 anni e prosegue in maniera abbastanza lenta. Tende a soffermarsi su particolari che in un primo momento possono sembrare insignificanti ma che, poi, si riveleranno essenziali per la sua comprensione finale.
Cosa può spingere una ragazzina così giovane a mettere in atto il proprio suicidio? Sarà su questa domanda che il regista farà svolgere tutti gli eventi legati ad una famiglia apparentemente normale ma che, effettivamente, di normale non ha nulla.
Ci troviamo di fronte ad un nonno-padre-dèspota e tutta la sua stirpe pronta a servirlo, riverirlo e a obbedire a tutte quelle che sono le sue regole. Una violenza domestica che porterà la moglie, le figlie e i nipoti a credere di vivere nella normalità. Assistiamo poco a scene ambientate in spazi aperti. Tutto deve dare il senso di oppressione, di chiuso. E così è. La casa è lo scenario protagonista insieme a quelle che sono le ossessioni del padre nel cercare di avere tutto sempre sotto controllo ed essere al corrente di ogni cosa.
I dettagli sono importantissimi per cercare di entrare nella psicologia malata di quest’uomo che inevitabilmente ha danneggiato tutta la famiglia. Quella che in assoluto sembra essere stata manipolata maggiormente è la figlia più grande, Eleni, interpretata dall’attrice Eleni Roussinou che venera il padre e che ascolta ogni sua parola come fosse oro colato. Ma sarà anche la stessa sulla quale, alla fine del film, verrà fatta un’inquadratura di primo piano mettendo così in evidenza sul suo volto un risolino compiaciuto nel vedere il padre ucciso nella propria camera da letto e da interpretare, come la speranza di una libertà che non aveva mai avuto il piacere di assaporare.
Sembra essere la madre, quindi, a mettere fine a quel circolo vizioso di violenza che iniziava a coinvolgere anche i bambini più piccoli.
Ma come si dice: “la violenza genera violenza”. E così, quella che apparentemente potrebbe sembrare la fine di un incubo è invece solo l’inizio di un’altra storia di violenza. Questa volta, però, il ruolo di padrone è assunto dalla madre che obbliga la figlia più grande a chiudere a chiave la porta di casa, dando così inizio ad un nuovo incubo senza fine.
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nerazzurro
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mercoledì 23 settembre 2015
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l'inferno nascosto dietro un'apparente normalità
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Miss violence e un film sconvolgente.
Interpretato in maniera sbalorditiva e diretto con maestria.
E come se il regista prenda per mano lo spettatore per poi farlo immergere con l'inganno pian piano nell'agghiacciante verità. In pratica un viaggio nelle profondità dell'inferno. la scena iniziale della festa di complenno accompagnata dal tema musicale di Leonard Cohen e davvero angosciosa.
Guardatelo
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noia1
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giovedì 12 marzo 2015
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la condanna della quotidianità
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Una famiglia e un pesante lutto.
Prova registica straordinaria, sembra poco a dirlo così, un conto però è fare un gran film con location su location, effetti speciali e magari anche qualche sparatoria, un altro è farne uno all’altezza con un decimo dei mezzi. Si perché se lo svolgersi del tutto avviene nel giro di un’ora e mezza, su questa ci sarà appena un quarto d’ora ambientato all’esterno delle quattro mura comprese tra le camere dei piccoli, la cucina e il salotto.
Un dramma familiare, dramma appunto dove dramma non c’è, tragica la morte della figlia undicenne, quella di mezzo trai piccoli e la maggiore, tra la comprensione e la vicinanza della comunità però tutto si svolge comunemente a qualsiasi giorno nel piccolo della famiglia: disinteresse, qualche coccola, qualche schiaffo, affetto, impegni … .
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Una famiglia e un pesante lutto.
Prova registica straordinaria, sembra poco a dirlo così, un conto però è fare un gran film con location su location, effetti speciali e magari anche qualche sparatoria, un altro è farne uno all’altezza con un decimo dei mezzi. Si perché se lo svolgersi del tutto avviene nel giro di un’ora e mezza, su questa ci sarà appena un quarto d’ora ambientato all’esterno delle quattro mura comprese tra le camere dei piccoli, la cucina e il salotto.
Un dramma familiare, dramma appunto dove dramma non c’è, tragica la morte della figlia undicenne, quella di mezzo trai piccoli e la maggiore, tra la comprensione e la vicinanza della comunità però tutto si svolge comunemente a qualsiasi giorno nel piccolo della famiglia: disinteresse, qualche coccola, qualche schiaffo, affetto, impegni … . Quasi fosse un universo parallelo, tutto procede tra i piccolini sempre a modo anche se un po’ esuberanti, la grande un po’ ribelle, la mamma vicina ma severa e i nonni che si istituiscono come possono alla mancanza del padre.
Un continuo chiudersi di porte, lucchetti, discorsi lasciati a metà nel fastidio sempre più evidente del nonno sentitosi minacciato chissà perché.
Come una torta, , si passa ai vari livelli, le diverse pressioni psicologiche di un inaspettato capofamiglia , il nonno e le sue punizioni. La mamma che da statua impassibile, appena chiusasi in bagno, esplode a piangere disperata senza alcun perché.
Fenomenale thriller, non un inseguimento, non un cervello aperto nella solita brutalità, opera di stile, angosciosamente fine. Gli attori fanno tutto e la telecamera fa il resto nel proseguirsi dello scoperchiamento di verità su verità, ci vengono presentati episodi che però sono tasselli dell’orrore di una quotidianità la cui consapevolezza fa forse più male di qualsiasi squartamento.
Ah, per la cronaca, gli episodi sono reali, non però tutti sulla stessa famiglia, una cronaca romanzata sulla brutalità peggiore di tutte: quella della famiglia.
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vjarkiv
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giovedì 12 febbraio 2015
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microcosmo familiare disfunzionale
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Miss Violence ovvero come rappresentare gli orrori di un microcosmo familiare disfunzionale. Il regista Alexandros Avranas (facente parte di quella sparuta rappresentanza di operatori del cinema ellenico) sceglie di accompagnare lo spettatore con una sceneggiatura essenziale ma affilata come la lama di un coltello ed una ambientazione claustrofobica che è l'appartamento-prigione dove la famiglia vive seguendo regole ben precise, dove le porte servono a nascondere l'indicibile, ma quando sono un ostacolo al potere assoluto del nonno-padre-padrone vengono divelte. L'incipit del film: il suicidio della figlia-nipote (?) al compimento dell'undicesimo compleanno fa subito capire che quello che vedremo sarà un "tutto in ordine, niente a posto".
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Miss Violence ovvero come rappresentare gli orrori di un microcosmo familiare disfunzionale. Il regista Alexandros Avranas (facente parte di quella sparuta rappresentanza di operatori del cinema ellenico) sceglie di accompagnare lo spettatore con una sceneggiatura essenziale ma affilata come la lama di un coltello ed una ambientazione claustrofobica che è l'appartamento-prigione dove la famiglia vive seguendo regole ben precise, dove le porte servono a nascondere l'indicibile, ma quando sono un ostacolo al potere assoluto del nonno-padre-padrone vengono divelte. L'incipit del film: il suicidio della figlia-nipote (?) al compimento dell'undicesimo compleanno fa subito capire che quello che vedremo sarà un "tutto in ordine, niente a posto". Una "normale" famiglia che fa dell'apparente serenità un in-consapevole credo da mostrare agli "altri". La violenza è poco rappresentata (escludendo lo stupro collettivo: vero pugno allo stomaco allo spettatore già inquietato dalle intuizioni che percepisce), ma la si respira per tutto il film. Anche l'ultimo atto di violenza che dovrebbe essere il definitivo, viene solo intravisto e "visto" con gli occhi "soddisfatti" della figlia-madre (?). Sembra tutto finito, ma la nonna ordina che si chiuda a chiave la porta d'ingresso…
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