oz1984
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giovedì 19 settembre 2013
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miss violence (ovvero c’era una volta la famiglia)
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“Cosa le ha dato lo spunto per la storia raccontata”, chiede un giornalista in sala stampa ad Alexandros Avranas; “Ci siamo ispirati a una storia realmente accaduta in Germania, ben peggiore di quella raccontata”. Silenzio. Sarebbe stato meglio non aver chiesto; sarebbe stato meglio non aver sentito, perché aver saputo cambierà inevitabilmente il modo di guardare dello spettatore. Il cinema è finzione, e quindi un alibi, una consolazione. E chi cerca questo farà bene a tenersi alla larga da questa opera seconda di un regista che scandisce con occhio navigato i ritmi di una storia che si annerisce man mano che la pellicola va avanti. Sarà meglio restar fuori da quelle porte che per tutto il tempo si aprono e chiudono, lasciandoci per gran parte all'oscuro, e quando si apriranno alla fine, tutto d’un tratto, a quel puntò se si vorrà uscire, l’unica via di fuga è contrassegnata dalla scritta Exit della sala.
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“Cosa le ha dato lo spunto per la storia raccontata”, chiede un giornalista in sala stampa ad Alexandros Avranas; “Ci siamo ispirati a una storia realmente accaduta in Germania, ben peggiore di quella raccontata”. Silenzio. Sarebbe stato meglio non aver chiesto; sarebbe stato meglio non aver sentito, perché aver saputo cambierà inevitabilmente il modo di guardare dello spettatore. Il cinema è finzione, e quindi un alibi, una consolazione. E chi cerca questo farà bene a tenersi alla larga da questa opera seconda di un regista che scandisce con occhio navigato i ritmi di una storia che si annerisce man mano che la pellicola va avanti. Sarà meglio restar fuori da quelle porte che per tutto il tempo si aprono e chiudono, lasciandoci per gran parte all'oscuro, e quando si apriranno alla fine, tutto d’un tratto, a quel puntò se si vorrà uscire, l’unica via di fuga è contrassegnata dalla scritta Exit della sala. La violenza di cui si nutre lo stile registico di Avranas è di quelli stillati a poco a poco. Che qualcosa non va lo si capirà subito. A partire dal sorriso liberatorio di Angeliki, che dopo aver spento le candeline e foto di rito col nonno sornione, zia e fratelli, sorridendo si getta dal terrazzo. Dalla preoccupazione della nonna nel chiedere alla figlia “ sei sicura?” di essere incinta. Una regia allusiva, fatta di particolari lasciati fuori campo, di mezzi busti tagliati, di dettagli scorti per caso nell’inquadratura, e per gran parte del film è lo spettatore “l’assistente sociale” che guarda e scorge, ma non si accorge di cosa c’è che non va in quella casa qualunque; dove il cibo non manca mai nonostante nessuno lavori e il sussidio scarseggi; dove a tavola manca sempre qualcuno; dove il lutto è stato elaborato troppo in fretta. Fino a quando tutti i pezzi del puzzle tornano a posto, ma ciò che capiamo arriva di colpo, con la stesso acume e la stessa chiarezza di quando si sposta troppo in fretta la manopola del volume. Camera fissa, sempre. Non si esce di casa, mai. Si andrà al mare (forse) se si metterà in ordine casa. Tanti silenzi ma che fanno male più di mille grida a scena aperta; attori superbi tanto da incutere un terrificante realismo (Themis Panou coppa Volpi, ma indimenticabile è la figlia, Eleni Roussinou che nella scoperta finale esprime in uno sguardo la commistione di emozioni provate). Musica assente, tranne qualche intermezzo allegro e qualche Hit nostrana che stride ancor di più un contesto già asfissiante. Un pugno nello stomaco, rigirato più e più volte. Da tempo cercavo un film così. *****
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nina-a
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giovedì 31 ottobre 2013
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da vedere assolutamente
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Intenso ed emotivamente violento, anche se mai (o quasi) nelle immagini. La freddezzza del regista è perfettamente funzionale al racconto, permette allo spettatore di entrare lentamente in questo baratro di orrore senza capire troppo velocemente quali sono le regole del gioco. E quando ci si è entrati si resta con addosso questa sensazione di dolore e di consapevolezza. Un film importante che ha la capacità di svegliare le coscienze assopite.
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vooodoo
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giovedì 31 ottobre 2013
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un film per rifarsi gli occhi..e non solo...
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Capolavoro assoluto di mise en scene, di interpretrazione e di fotografia. Avranas sceglie di raccontare il contenuto attraverso la forma, usa la forma cinematografica come mezzo di comunicazione di una emozione e di una tensione costante. Lunghi piani fissi, tesi, pochi ed eleganti movimenti di macchina, nè virtuosistici ne pretenziosi, ma strettamente funzionali, piano sequenza delicati e espressivi, come quello infinito della visita degli assistenti sociali (credo siano 9 minuti...da far invidia a Tarkovskij!). Efficace e ben fatto, film di grande potenza emotiva, narrativa e soprattutto cinematografica. Bravi!
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(di -hari)
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flyanto
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lunedì 4 novembre 2013
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quando l'inferno si trova nelle proprie case
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Film in cui viene raccontato il suicidio senza un'apparente giustificazione di una ragazzina nel giorno del suo undicesimo compleanno. Da questo tragico episodio, attraverso piano piano la presentazione dei vari componenti della famiglia a cui ella apparteneva, ne verrà svelata la motivazione e reso manifesto l'orrore morale ed abissale imperante nella casa. Questa pellicola, giustamente insignita all'ultimo Festival del Cinema di Venezia della premiazione per ila migliore interpretazione maschile, rappresenta in maniera alquanto cruda e spietata l'orrore che vige, purtroppo, in molte famiglie apparentemente rispettabili. Qui, vi è un padre che approfitta costantemente sia delle figlie come anche della piccola nipote e che usa il suo potere di padrone di casa e capo famiglia per infliggere assurde punizioni a tutti i componenti del proprio nucleo familiare senza che nessuno osi e trovi la forza di ribellarvisi.
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Film in cui viene raccontato il suicidio senza un'apparente giustificazione di una ragazzina nel giorno del suo undicesimo compleanno. Da questo tragico episodio, attraverso piano piano la presentazione dei vari componenti della famiglia a cui ella apparteneva, ne verrà svelata la motivazione e reso manifesto l'orrore morale ed abissale imperante nella casa. Questa pellicola, giustamente insignita all'ultimo Festival del Cinema di Venezia della premiazione per ila migliore interpretazione maschile, rappresenta in maniera alquanto cruda e spietata l'orrore che vige, purtroppo, in molte famiglie apparentemente rispettabili. Qui, vi è un padre che approfitta costantemente sia delle figlie come anche della piccola nipote e che usa il suo potere di padrone di casa e capo famiglia per infliggere assurde punizioni a tutti i componenti del proprio nucleo familiare senza che nessuno osi e trovi la forza di ribellarvisi. L'orco tanto temuto delle favole si trova quotidianamente a stretto contatto con gli esseri più indifesi e deboli privandoli di ogni capacità di reazione e trovando lui stesso giustificabile e quanto mai legittimo ogni sopruso morale e materiale che loro infligge. Il regista Avranas espone in maniera molto efficace questa cruda realtà e man mano la scopre e la presenta agli spettatori in un crescendo di violenza ed aberrazione da fare rimanere impietriti. A parte qualcuna leggermente più esplicita di altre, il regista mai presenta direttamente le scene di violenza, ma vi fa giungere lo spettatore solo accennandole od, addirittura, facendole tragicamente intuire e facendogli immaginare tutto il peggio ed oltre. In maniera molto equilibrata, ma scientificamente fredda espone i fatti che richiamano all'istante la drammaticità delle tragedie greche. Anche il finale del film si realizza proprio come quello assoluto e determinante delle tragedie classiche dove non rimane più alcuna possibilità di azione o continuità alcuna. Il premiato attore Themis Panou, che interpreta magnificamente il ruolo del padre/nonno aguzzino, contribuisce inoltre notevolmente a tutta l'atmosfera generale dell'opera tragica: il suo volto freddo, privo di espressione e senza mai un, seppur leggero, accenno di comprensione o cedimento e, men che meno, umanità è la testimonianza di come quasi tutto l'orrore che accade sia voluto, e quasi assurdamente da giustificare ed accettare, da una volontà divina superiore, di cui lui ne è lo strumento od, addirittura, l'artefice stesso. Sebbene spietato per la sua terrificante tematica, il film è altamente consigliabile.
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geo poulidis
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lunedì 4 novembre 2013
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capolavoro, regia che non lascia scampo
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La sconvolgente storia non lascia lo spettatore tranquillo nemmeno un attimo, perché il crescendo sarà micidiale ed eventi e personaggi saranno sviscerati in modo perfetto, sempre in disaccordo con la nostra coscienza che non vorrà ammettere. Ma non è solo il soggetto forte a sconvolgere: Alexandros Avranas fa centro con uno stile minimalista di regia, essenziale nei contenuti se non addirittura vicino al Dogma di Triar, senza musiche (tranne nella scena iniziale), con scarni dialoghi, e montaggio/fotografia che perfezionano un crescendo allucinante. Primi piani sfocati, inquadrature che escludono i visi e che trasmettono la stessa angoscia dei protagonisti, poca o nulla hand camera, ambienti cheap ma così ricchi di un'estetica che riprende molto da Haneke nella sua versione più sud europea, ammesso che ci possa essere una.
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La sconvolgente storia non lascia lo spettatore tranquillo nemmeno un attimo, perché il crescendo sarà micidiale ed eventi e personaggi saranno sviscerati in modo perfetto, sempre in disaccordo con la nostra coscienza che non vorrà ammettere. Ma non è solo il soggetto forte a sconvolgere: Alexandros Avranas fa centro con uno stile minimalista di regia, essenziale nei contenuti se non addirittura vicino al Dogma di Triar, senza musiche (tranne nella scena iniziale), con scarni dialoghi, e montaggio/fotografia che perfezionano un crescendo allucinante. Primi piani sfocati, inquadrature che escludono i visi e che trasmettono la stessa angoscia dei protagonisti, poca o nulla hand camera, ambienti cheap ma così ricchi di un'estetica che riprende molto da Haneke nella sua versione più sud europea, ammesso che ci possa essere una. Non ci sono senza scene esplicitamente violente, lo spettatore è lasciato nudo sulla scena ad immaginarsi tutto.
Non ultima, la riflessione sociale che il regista mette in scena: tutto partecipa alla costruzione di una Grecia in realtà inesistente, il film è uno spaccato estetico, costumistico e oggettistico degli ultimi 30 anni. La tv è in HD e ci sono i canali satellitari, ma non ci sono telefonini. In supermercato c'è il lettore laser a barre mentre invece a casa si usano le cassette per ascoltare la musica. C'è l'euro ma contemporaneamente si usano le foto Polaroid. I computer hanno gli schermi degli anni '90 e i protagonisti sono vestiti con abiti ora degli anni '80 ora contemporanei a noi. La scuola sembra una prigione e al suo interno ci si accorge che c'è una povertà estrema in termini di ambienti e risorse. E il degrado finale che arriva allo spettatore, è quello attuale della Grecia, dove anche i pubblici ufficiali appariranno disumanizzati all'estremo.
Anche l'arredamenteo della casa, decisamente improntato sugli anni '80, non lascia nulla al caso e tutto contribuirà a formare un mosaico distruttivo che colmerà nell'angosciante scena finale.
Finalmente, la Grecia si riscatta con un film forte e brillante, grido di un arte che non vuole morire nei balcani del sud.
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deborissimah
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lunedì 16 settembre 2013
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peggio di quello che vi aspettate: bellissimo
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Un pugno nello stomaco. Shoccante. Violento. E' già stato definito in molti modi diversi questo film, tutti veri e nessuno che riesca però a far giustizia al senso di oppressione che riesce a instillare dentro vederlo. E' come salire su una brutta giostra che non si ferma mai e che mano a mano che passa il tempo ti fa sempre più paura e ti da sempre più fastidio.
Si è più che meritato il Leone d'Argento, Alexandro Avranas, che è riuscito ad accompagnarci in questa storia di ordinaria follia senza svelare mai nulla troppo presto e nonostante tutto senza mai far calare una tensione che cresce lentamente ed esponenzialmente, quasi senza che ce ne accorgiamo, finché ne abbiamo accumulata tanta che nulla la può più estirpare, ce la portiamo fuori dalla sala ancora per qualche tempo, perché non si digerisce in fretta un film del genere.
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Un pugno nello stomaco. Shoccante. Violento. E' già stato definito in molti modi diversi questo film, tutti veri e nessuno che riesca però a far giustizia al senso di oppressione che riesce a instillare dentro vederlo. E' come salire su una brutta giostra che non si ferma mai e che mano a mano che passa il tempo ti fa sempre più paura e ti da sempre più fastidio.
Si è più che meritato il Leone d'Argento, Alexandro Avranas, che è riuscito ad accompagnarci in questa storia di ordinaria follia senza svelare mai nulla troppo presto e nonostante tutto senza mai far calare una tensione che cresce lentamente ed esponenzialmente, quasi senza che ce ne accorgiamo, finché ne abbiamo accumulata tanta che nulla la può più estirpare, ce la portiamo fuori dalla sala ancora per qualche tempo, perché non si digerisce in fretta un film del genere.
E' chiaro fin da subito che la violenza è alla base di tutto, fin dalle prime scene, fin dal suicidio di una bambina nel giorno del suo compleanno, una bambina che si butta dalla finestra mentre gli altri non se ne accorgono e che finalmente sorride per la prima volta da quando la vediamo in scena. Essendo questa la premessa ci si aspetta naturalmente qualcosa di brutto, ma le spiegazioni tardano ad arrivare, la regia si sofferma a mostrarci la quotidianità stravolta di questa famiglia di cui inizialmente non sono chiari nemmeno i rapporti di parentela, ci fa vedere un uomo disoccupato che deve tenere tutto e tutti sotto controllo (dal peso dei cereali alle severe punizioni per chi si comporta male); tutta la famiglia è continuamente come in posa, gli unici a mantenere ancora una certa naturalezza sono i due bambini più piccoli, mentre le due ragazze e la madre sembrano bambole.
In questo stato di trance ci troviamo anche noi che assistiamo alla scena aspettando che succeda qualcosa, cercando di intuire gli indizi, analizzando i particolari che ci vengono concessi, ipotizzando ragioni e soluzioni. Alla fine le risposte arrivano, tutte insieme, violentemente, squallidamente tutti i pezzi del puzzle tornano al loro posto, ma non ci piace per niente quello che stiamo vedendo.
Di questo film non si può dire troppo senza rovinare lo spettacolo a chi non lo ha ancora visto; io vi rivelerò un particolare, tra i tanti, che mi ha colpita: nella cameretta dei bambini c'è un quadro che rappresenta un bambino che piange.
Assolutamente non per tutti.
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giugy3000
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venerdì 8 novembre 2013
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niente da nascondere..... ?
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Il film più chiacchierato di Venezia 2013 promette faville, o meglio vi regala un posto in prima fila dritto all'inferno, benchè non sia un horror e la vista del sangue esigua, vi tiene inchidiodati alla poltrona per tutti i suoi 99'. A firmarne la regia è un regista misconosciuto greco, esordiente anni orsono e poi finito nel dimenticatoio, che trova il suo riscatto nel portare in scena una storia liberamente tratta da una vicenda realmente accaduta in Germania,in cui emerge compassionevolmente anche il ritratto di una Grecia dei giorni nostri, segnata dalla crisi, economica certo, ma anche e soprattutto sociale.
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Il film più chiacchierato di Venezia 2013 promette faville, o meglio vi regala un posto in prima fila dritto all'inferno, benchè non sia un horror e la vista del sangue esigua, vi tiene inchidiodati alla poltrona per tutti i suoi 99'. A firmarne la regia è un regista misconosciuto greco, esordiente anni orsono e poi finito nel dimenticatoio, che trova il suo riscatto nel portare in scena una storia liberamente tratta da una vicenda realmente accaduta in Germania,in cui emerge compassionevolmente anche il ritratto di una Grecia dei giorni nostri, segnata dalla crisi, economica certo, ma anche e soprattutto sociale. Una ripugnante società patriarcale assoggetta una famiglia di cinque donne alle grinfie meschine di un paranoico uomo di casa, a tratti chiamato nonno, a tratti papà, senza mai avere un nome proprio. Una di queste non regge il pensiero di un futuro segnato dall'eterno ritorno dell'uguale, ogni giorno sempre identico al precedente,i medesimi divieti,la medesima impotenza: è Angeliki, undicenne, che soffia le candeline sulla torta con sguardo vitreo, regalandoci un sorriso solo nell'istante in cui scavalca la ringhiera del balcone, per tuffarsi in una sorte ultraterrena sicuramente megliore di questa.
Da questo momento in poi, lo scompiglio. Il pater familias farà di tutto per reprimere dolore, senso di colpa, angoscia. Il piano?Dimenticare tutto, voltare pagina la sera stessa, perchè non ci si può permettere vani sentimentalismi in un morale retta sul rigido controllo di ogni membro, dove un'austera violenza rende tutto legittimo e paralizzante al contempo. La ribellione sarebbe vana quanto prevedibili e nel ciclo mimetico della violenza non può che generarsi di rimando altra vendetta. Dai raffinati titoli di testa digitati lentamente come un epitaffio alle ultime scene sullo schermo, lo spettatore sembra quasi tastare con mano la montagna di rancore ed odio su cui erge una "Miss" tutta nuova del XXI secolo, una signorina violenza che forse è colei che ha scelto la morte alla non-vita ignobile, la più coraggiosa, o forse è l'ultimogenita che ancora incosciente dei segreti nella sua casa balla felice una canzone pop davanti alla tv...o forse semplicemente lo è ogni donna della casa e, di rimando, ogni donna di oggi. In Avranos c'è pura cattiveria a tutto tondo, le esistenze familiari sono come spettri sfocati rispetto alla nidita figura diabolica del padre, a cui per vivere non rimane altro che parassitarsi nelle menti di chi vive sotto il suo stesso tetto, perchè poi una volta fuori, quando si ha il privilegio di uscire, saremo già abituati alla spirale contagiosa dello scandalo. C'è molto dello stile di Haneke in questa pellicola, anzi oserei dire che essa è quasi un surrogato di tutta la sua filmografia: si oppone all' "amour" di terza età con le botte del padre verso la moglie, porta in sè il grembo del sospetto e della contesa rivalitaria de "Il nastro bianco", pare urlare che non ci sia "niente da nascondere", ma tolto il velo dell'apparenza ogni cosa è più tragica di quel che mai ci immagineremmo; in ultimo ci fa assistere ai "funny games" di questo clan tribale badando bene a non fornirci un telecomando per interrompere il flusso di barbarie. Come nella scena finale dei sadici giochi del regista austriaco, anche qui un sorriso liberatorio pare volgere le fila della vicenda finalmente in una degna rivalsa, ma nuovamente nulla è sembra e Avranos sceglie di chiuderci la verità a doppia mandata; chissà quale generazione futura avrà la chiave per aprire la porta. Un film magistrale, forse non unico nella sua drammaticità e nell'estetica, ma certamente da ricordare anche solo per l'eccezionale performance di Themis Panou (vincitore peraltro della migliore interpretazione maschile al Lido).
Straordinario anche l'uso sapiente delle musiche in cui spicca fra tutto "L'italiano" di Cutugno nelle scene più intrise di menzognera felicità (Avranas ha dichiarato che quella canzone era molto ascoltata in Grecia). Inevitabile il confronto con uno dei più recenti e altrettanto scioccanti film sulla violenza immotivata che però affonda in radici millennarie, ossia "Confessions": se da una parte troviamo nella pellicola giapponese la perdita dell'innocenza e il più macabro dei piani architettato da una coppia di giovani, qui rimarchiamo il ruolo degli adulti, che possono soffocare nel silenzio il più acuto degli urli vendicativi. Del resto si sa, da nottetempo le colpe dei padri diventano quelle dei figli e noi ad oggi, non possiamo che osservare muti il bivio a cui ci troviamo: o le tenebre dell'odio più totale o la luce di un bene ritrovato.
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stefanob
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lunedì 11 novembre 2013
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bellissimo!!
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Film nauseante, delirante, un pugno nello stomaco.. in una parola: bellissimo (purtroppo).
Sullo sfondo della crisi greca e dentro l'inferno delle tranquille mura domestiche, un padre/nonno/padrone violento pragmatico e metodico all'inverosimile tiene sotto plagio l'intera famiglia, composta da moglie figlie e nipoti dei quali all'inizio si stenta a capire il legame, in una sorta di sindrome di Stoccolma collettiva.
Le vicende si snodano piene di una tensione che tiene lo spettatore incollato allo schermo, nell'attesa/speranza che qualcosa esploda prima o poi..
E alla fine qualcosa esploderà, ma per una manciata di secondi appena, perché l'ultima scena della porta chiusa da fuori, è a dir poco sconvolgente.
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Film nauseante, delirante, un pugno nello stomaco.. in una parola: bellissimo (purtroppo).
Sullo sfondo della crisi greca e dentro l'inferno delle tranquille mura domestiche, un padre/nonno/padrone violento pragmatico e metodico all'inverosimile tiene sotto plagio l'intera famiglia, composta da moglie figlie e nipoti dei quali all'inizio si stenta a capire il legame, in una sorta di sindrome di Stoccolma collettiva.
Le vicende si snodano piene di una tensione che tiene lo spettatore incollato allo schermo, nell'attesa/speranza che qualcosa esploda prima o poi..
E alla fine qualcosa esploderà, ma per una manciata di secondi appena, perché l'ultima scena della porta chiusa da fuori, è a dir poco sconvolgente..
Il messaggio principale abbastanza chiaro sulla manipolazione delle menti, con evidente critica all'attuale società, mi trova d'accordo.. al contrario di quello sulla via di fuga che dovrebbe essere la vita e non la morte.
Assolutamente da non perdere.
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matma
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martedì 12 novembre 2013
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l'urgenza
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Un film raro, un livello recitativo che non si vede piu al cinema da tanti anni, un pugno allo stomaco che ti costringe a pensare e a metterti in gioco e non ti permette di sottrarti al tuo dovere di spettatore. Mai sguardi in macchina (togliendo chaplin) sono stati piu efficaci e "imbarazzanti", quello sguardo davanti al quale vorresti solo abbassare gli occhi pieni di vergogna. Un film "politico", nel senso estetico e formale, nel modo in cui affronta un tema agghiacciante e ti mette davanti ad una realtà alla quale non ti permette di sottrarti.
Un regista da tenere d'occhio.
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marco michielis
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venerdì 21 febbraio 2014
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l'inferno dipinto da avranas
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“Miss Violence” del giovane regista greco Alexandros Avranas non ha certo deluso le speranze di chi, come me, andando al cinema, si aspettava di godere di una pellicola di livello, visti il Leone d'Argento per la regia e la Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile ottenuti a Venezia 2013.
La precisione interpretativa e la cura maniacale che Avranas dona a ogni sua singola inquadratura colpiscono l'occhio attento dello spettatore fin dall'inizio (la prima immagine è significativamente quella di una porta chiusa, così come su una porta chiusa terminerà il film). Ma la ricerca stilistica del regista non si ferma certo al mero simbolismo, perchè in “Miss Violence” è la vicenda narrata stessa, svelandosi pian piano al pubblico e in maniera così diretta da risultare atroce, a modellare e deformare l'angolo di ripresa di qualsivoglia sequenza dell'opera.
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“Miss Violence” del giovane regista greco Alexandros Avranas non ha certo deluso le speranze di chi, come me, andando al cinema, si aspettava di godere di una pellicola di livello, visti il Leone d'Argento per la regia e la Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile ottenuti a Venezia 2013.
La precisione interpretativa e la cura maniacale che Avranas dona a ogni sua singola inquadratura colpiscono l'occhio attento dello spettatore fin dall'inizio (la prima immagine è significativamente quella di una porta chiusa, così come su una porta chiusa terminerà il film). Ma la ricerca stilistica del regista non si ferma certo al mero simbolismo, perchè in “Miss Violence” è la vicenda narrata stessa, svelandosi pian piano al pubblico e in maniera così diretta da risultare atroce, a modellare e deformare l'angolo di ripresa di qualsivoglia sequenza dell'opera. Ecco che allora il padre-padrone raramente, soprattutto nella prima parte, compare in figura intera, e capita così che le donne e le ragazzine della famiglia, spesso riprese sedute sul divano di casa, appaiano piccole e deboli a confronto con la mezza figura del personaggio interpretato da Themis Panou (magnifico) che incombe possente su di loro, inquadrato dalla vita in giù. E se è in un drammatico silenzio che si consumano le scene visivamente più forti del film, obbligo di chi scrive è certo evidenziare la lucida e, oserei dire, spietata scelta delle uniche due tracce musicali proposte: la struggente, in particolar modo in questo preciso contesto, “Dance me to the end of love” di Leonard Cohen e un pezzo dance greco che non sono riuscito a rintracciare, ma che fa da sfondo alla più semplice e al tempo stesso terribile sequenza della pellicola, ossia la danza spensierata della piccola di famiglia, un fiore innocente destinato ben presto a essere strappato con violenza dal campo dell'infanzia ove era cresciuto. Ci sarebbe sicuramente molto altro da dire, e, a tal proposito, assicuro a chi eventualmente non l'abbia visto che stiamo parlando di uno di quei film che meriterebbero di essere analizzati scena per scena, inquadratura per inquadratura, fotogramma per fotogramma. Insomma, signori, se il buon giorno si vede dal mattino, Alexandros Avranas ha un futuro di ulteriori successi e riconoscimenti davanti a sé.
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