Miss Violence |
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Un film di Alexandros Avranas.
Con Themis Panou, Rena Pittaki, Eleni Roussinou, Sissy Toumasi.
continua»
Drammatico,
durata 99 min.
- Grecia 2013.
- EyeMoon Pictures
uscita giovedì 31 ottobre 2013.
- VM 14 -
MYMONETRO
Miss Violence
valutazione media:
3,53
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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L'alveo familiaredi EugenioFeedback: 34763 | altri commenti e recensioni di Eugenio |
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giovedì 8 maggio 2014 | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Ne avevamo bisogno? Un film dove l’apparenza borghese di una famiglia è segnata da un’apparente quanto ingiustificato tragico lutto: il suicidio di una ragazzina nel giorno del suo undicesimo compleanno. Allo sconcerto dei familiari, la sconvolta madre e l’ancor più incredulo padre, seguirà un lungo flashback tramite il quale noi spettatori, senza alcuna remora, siamo messi di fronte dinanzi all’orrore (altro non si può definire) di un nucleo spezzato dalla violenza, dalla sopraffazione, dall’indifferenza e dalla repressione. Suona strano che un film del genere sia stato girato in un territorio tristemente noto per l’imperante crisi cui è stato (ed è ancora) sottoposto. La Grecia, la terra dei Templi, il paese del sole e delle isole, universo illibato di auster classicità, è qui ripiegata nelle mura domestiche di una benestante, almeno in facciata, famiglia. Una della middle-age si direbbe in America, quelle che non penseresti mai stiano in condizioni indigenti data la rispettibilità e la profonda onestà di cui sono testimoni. Grattando con uno scalpellino in superficie, Avranas, un regista che ricorda per stile Haneke, ci mostra lentamente il tumore maligno che alberga in ciascun componente: nel padre, orco, pederasta, capofamiglia e patriarca in grado di imporre il proprio violento pugno di ferro senza che nessuno osi e trovi la forza di ribellarvisi: nè la madre, impotente e depressa dall’alcool come dimenticatoio, nè tantomeno i figli cui vengono inflitte assurde punizioni per altrettanto futili ragioni. In un dramma da camera, uno spazio chiuso dove le pulsioni nascono, si accumulano sino a deflagrare nella violenza più cieca di un abisso dove nessuno è innocente, Avranas confeziona una tragedia- nel senso classico del termine- costruita secondo un climax collaudato che fa uso di bravi interpreti ( tra cui spicca Themis Panou nel ruolo del padre aguzzino) e di una fotografia nitida ed essenziale. L’esaltazione di una realtà cruda e spietata persino in un universo protetto quale potrebbe essere l’alveo familiare non costituisce motivo di originalità (Polanski nelle opere tratte dai testi teatrali di Sartre aveva già ben reso l’idea) ed anche l’affettazione nel mostrare con vouyerismo lo spirito cinico della borghesia decaduta, scade nella pietas da panem et circenses ma il non detto, il lasciato intendere con eloquenti porte chiuse sullo sfondo di una musica da camera lenta e soffusa, non possono che lasciare sconvolti. Perchè è così che ci si alza dopo la visione: con lo stomaco dolente come dopo un violento pestaggio di cui siamo stati vittime e gli occhi colmi di un orrore che avremmo fatto meglio a non osservare. E quello che fa più paura non è la violenza in sè (quella fisica è appena accennata) quanto quella politica dal freddo sapore scientifico, dai volti privi di espressione, di comprensione o cedimento e, men che meno di umanità. Un orrore voluto e ingiustificato da cui non ci si può sottrarre come vinti da un particolare gioco ipnotico, un connubio di equilibrio e rigore formale. Sottrarsi al gioco e soffrire in silenzio osservando il teatro della desolazione oppure comprendere e capire che non tutti i vicini della porta accanto non sono ciò che sembrano? A voi la scelta.
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