writer58
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domenica 16 giugno 2013
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la macchina delle mutazioni
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Molto interessante questa ultima opera di Carax, un omaggio alle capacità mimetiche e alle performance realizzative degli attori nell'ambito di una concezione del cinema come pura rappresentazione, come dispositivo che crea ruoli, archetipi, gestalt, metamorfosi. Oscar, interpretato da uno straordinario Denis Lavant, è inizialmente un finanziere che si aggira per Parigi a bordo di una gigantesca limousine bianca. Deve, nel corso della giornata, andare a nove appuntamenti,vivere nove vite diverse, in cui i confini tra realtà e rappresentazione sfumano e diventano labili e incerti. Diventa così una mendicante ricurva, un padre di famiglia, un assassino alla ricerca della sua vittima che si rivela come un suo doppio, un lurido personaggio che vive nellla fogne e ingerisce qualunque cosa gli capiti a tiro, un vecchio in fin di vita, un performer virtuale con una tuta punteggiata di luci e sensori e così via.
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Molto interessante questa ultima opera di Carax, un omaggio alle capacità mimetiche e alle performance realizzative degli attori nell'ambito di una concezione del cinema come pura rappresentazione, come dispositivo che crea ruoli, archetipi, gestalt, metamorfosi. Oscar, interpretato da uno straordinario Denis Lavant, è inizialmente un finanziere che si aggira per Parigi a bordo di una gigantesca limousine bianca. Deve, nel corso della giornata, andare a nove appuntamenti,vivere nove vite diverse, in cui i confini tra realtà e rappresentazione sfumano e diventano labili e incerti. Diventa così una mendicante ricurva, un padre di famiglia, un assassino alla ricerca della sua vittima che si rivela come un suo doppio, un lurido personaggio che vive nellla fogne e ingerisce qualunque cosa gli capiti a tiro, un vecchio in fin di vita, un performer virtuale con una tuta punteggiata di luci e sensori e così via. Mosso "dalla bellezza del gesto", dalla performance intesa come mutazione radicale che rende l'attore materia plasmabile per nuove configurazioni, Oskar attraversa il panorama urbano accumulando una stanchezza crescente, beve e fuma in continuazione, non si nutre, investe sui personaggi che "interpreta" una quantità di energia vitale che sottrae a se stesso. Allo stesso tempo, però, è questo massiccio investimento pulsionale che gli conferisce un senso e lo mantiene in vita. La metafora è trasparente: il cinema, nel ricostruire universi di rappresentazione, trae vitalità e linfa dalla realtà esterna che reinventa continuamente, fino a diventare esso stesso un paradigma del reale, una narrazione che propone un linguaggio di verità, spesso più efficace e meno anonimo della vita stessa.
Il film di Carax è ambizioso, a tratti visivamente sontuoso (la sequenza dei performer è magnifica), in alcune parti volutamente sgradevole, infarcito di citazioni. Tuttavia, a volte l'autore sembra eccessivamente compiaciuto dalla propria abilità e dalla sua volontà di dissacrazione. Il finale del film mi è parso mal riuscito e decisamente brutto, banalizzante.In sintesi, un'opera molto stimolante con qualche squilibrio strutturale che diminuisce, a mio giudizio, il piacere della visione.
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slowfilm
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lunedì 1 luglio 2013
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il fascino ricorsivo del metacinema
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Holy Motors di Leos Carax, film apparentemente sui generis, ha riscosso l’entusiasmo di molti cinefili e teorici. Con certo cinema francese ho sempre avuto problemi, con autori che puntualmente pretendono di evocare il fantasma puro e distillato della settima arte, e confezionano l’ennesimo prodotto metanarrativo. Solitamente eccentrico, segmentato, ostenta una noncuranza aristocratica e decadente nei confronti della propria esistenza.
In primo luogo una performance di Denis Levant, nei panni indefiniti di monsieur Oscar – quanto ammiccamento artificiosamente incurante dell’ovvietà già in questo nome – che incarna personaggi sporchi, mutevoli, atletici, omicidi, violenti, menomati, ordinari, per mettere in scena, negli interni, esterni e nel sottosuolo di Parigi, delle microstorie, o semplici gesti e presenze.
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Holy Motors di Leos Carax, film apparentemente sui generis, ha riscosso l’entusiasmo di molti cinefili e teorici. Con certo cinema francese ho sempre avuto problemi, con autori che puntualmente pretendono di evocare il fantasma puro e distillato della settima arte, e confezionano l’ennesimo prodotto metanarrativo. Solitamente eccentrico, segmentato, ostenta una noncuranza aristocratica e decadente nei confronti della propria esistenza.
In primo luogo una performance di Denis Levant, nei panni indefiniti di monsieur Oscar – quanto ammiccamento artificiosamente incurante dell’ovvietà già in questo nome – che incarna personaggi sporchi, mutevoli, atletici, omicidi, violenti, menomati, ordinari, per mettere in scena, negli interni, esterni e nel sottosuolo di Parigi, delle microstorie, o semplici gesti e presenze. Naturalmente non è dato conoscere i confini (diegetici) della scena, né il beneficiario degli “appuntamenti” (così vengono chiamate le esibizioni), e tanto meno i committenti degli stessi. La stessa identità di Oscar è indefinita, lo vediamo giustificare la sua attività per la realizzazione della “bellezza del gesto”, e in quel momento anche il suo volto nudo rientra, con ogni probabilità, nella galleria di personaggi.
Questo garbuglio intellettuale può risultare intrigante, o sterile. In meno di due ore traccia una fenditura attraverso i generi e le professionalità del cinema, attraverso lo sfilacciamento della narrazione, l’ambiguità della recitazione e del rapporto col pubblico, la confusione degli spazi, la classicità della provocazione, concentrata nell’erezione del protagonista compres(s)o nella sua maschera più spiacevole, quel monsieur Merde che dalle fogne aveva già visto la luce in un episodio di Tokyo!.
Le rappresentazioni per assumere lineamenti astratti e riflessivi dichiarano la loro artificiosità, ricalcando pagine di teoria del linguaggio filmico, e supponendo che la destrutturazione degli elementi possa restituire al tempo stesso il contenuto tipico della pellicola, banalmente destinata alla proiezione e all’osservazione, e la sua evoluta negazione.
Un cinema che ogni volta pretende di essere qualcosa di diverso da un’opera normalmente immedesimata in sé, e che ha una smisurata ammirazione verso le possibilità di letture autoriflessive. In una scrittura che finisce però per confluire nell’unica idea della frammentarietà e dell’osservazione del modello, ancora più semplice e ripetitiva degli schemi che pretende di stravolgere. L’attività digestiva del regista finisce per uniformare strumenti e codici che avrebbero fra loro valori e significati differenti, in una declinazione monotòna di uno sperimentalismo situazionista che ha radici tutt’altro che fresche.
slowfilm.wordpress.com
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emmanouel Δεπα
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lunedì 18 novembre 2013
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stupefacente
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Può non sembrare reale questo film, ma mentre lo si vede si capisce chiaramente che è tutta una continua finzione, e quindi diventa un film surreale.
Durante tutta la giornata il signor Oscar interpreta vari personaggi che lo porteranno in giro per la città di Parigi, ma mai fuori (ad esempio nei boschi come lui lamenta durante uno spostamento in limousine, già qui si vede un paragone con il cinema: dove la città rappresenta il nuovo, una caotica baraonda di persone e costruzioni e quindi il cinema moderno, mentre il bosco la solitudine e la sicurezza del cinema antico, fonte di scuola per Carax).
A partire da questo confronto fra vecchio e nuovo cinema Carax instaura durante tutto il film, in pratica è l'elemento principale, una critica accessa e mai scontata al cinema ed allo spettatore (emblematica la scena iniziale in cui si vede una platea di persone dormire davanti al grande schermo).
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Può non sembrare reale questo film, ma mentre lo si vede si capisce chiaramente che è tutta una continua finzione, e quindi diventa un film surreale.
Durante tutta la giornata il signor Oscar interpreta vari personaggi che lo porteranno in giro per la città di Parigi, ma mai fuori (ad esempio nei boschi come lui lamenta durante uno spostamento in limousine, già qui si vede un paragone con il cinema: dove la città rappresenta il nuovo, una caotica baraonda di persone e costruzioni e quindi il cinema moderno, mentre il bosco la solitudine e la sicurezza del cinema antico, fonte di scuola per Carax).
A partire da questo confronto fra vecchio e nuovo cinema Carax instaura durante tutto il film, in pratica è l'elemento principale, una critica accessa e mai scontata al cinema ed allo spettatore (emblematica la scena iniziale in cui si vede una platea di persone dormire davanti al grande schermo). Usa ogni singolo episodio della giornata per analizzare un certo aspetto, sia del cinema che di se stesso, come si vede nella scena con la figlia al ritorno della festa. Qui, in questa scena, si evince quanto sia forte la lotta interna al regista che si "punisce" dicendo di essere già punito dovendo vivere con se stesso.
Tutto il resto del film è un susseguirsi di emozioni, immagini che dal punto di vista estetico e d'impatto sono insuperabili in quanto uniche e rare, ma sicuramente meravigliose.
A fine film si rimane con qualche domanda, ma ammutoliti dalla grandezza del risultato finale.
Aspettiamo trepidanti un nuovo progetto di questo regista che ha stupito tutti con questa grande opera d'arte, un vero e proprio esercizo di stile cinematografico.
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matteo manganelli
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lunedì 23 dicembre 2013
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metacinema come grido di speranza
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Il cinema fine a sé stesso. Il cinema come fuga dalla realtà all'interno della realtà stessa. Ho visto più di 1000 film e questo, al pari di altri quattro o cinque, è certamente quello che più mi ha stupito.
Carax dipinge un quadro metacinematografico su quella tela meravigliosa che è Parigi, non cerca mai la verosomiglianza senza mai staccarsi dalla realtà e analizza il cinema in tutte le sue forme. "Holy Motors" è il Videodrome del nostro tempo, applicato questa volta al grande schermo e non a quello piccolo, è l'inno alla settima arte per eccellenza che mette sullo stesso piano realtà e finzione senza mai distinguere l'una dall'altra.
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Il cinema fine a sé stesso. Il cinema come fuga dalla realtà all'interno della realtà stessa. Ho visto più di 1000 film e questo, al pari di altri quattro o cinque, è certamente quello che più mi ha stupito.
Carax dipinge un quadro metacinematografico su quella tela meravigliosa che è Parigi, non cerca mai la verosomiglianza senza mai staccarsi dalla realtà e analizza il cinema in tutte le sue forme. "Holy Motors" è il Videodrome del nostro tempo, applicato questa volta al grande schermo e non a quello piccolo, è l'inno alla settima arte per eccellenza che mette sullo stesso piano realtà e finzione senza mai distinguere l'una dall'altra.
E in un epoca in cui anche "Hunger Games - La ragazza di fuoco" viene considerato un grandissimo film, "Holy Motors" diventa un grido di speranza; un grido che ci tiene a far sapere che il cinema, quello vero, è vivo e vegeto e aspetta solo di essere considerato. Scopritelo, guardatelo e amatelo alla follia.
Capolavoro.
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dandy
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sabato 18 aprile 2015
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non è un capolavoro,questo è certo.
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Nel prologo il regista(che sceneggia)apre una porta con una chiave che è tutt'uno con la sua mano per entrare in un cinema dove si guarda "La folla" di Vidor.Segue una serie di episodi in bilico tra grottesco e surreale,con pizzico di horror,noir e dramma sentimentale.Un omaggio al cinema passato e presente e ai generi che lo compongono,dove le citazioni(e autocitazioni)non si contano e la confusione non viene mai meno.I cinefili di mezzo mondo hanno apprezzato molto:Denis Lavant affronta imperterrito le situazioni più inconcepibili(anche un nudo frontale con erezione)e alcune scene(l'amplesso nella sala per il motion capture;l'omicidio del "doppio")non sono affatto male.
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Nel prologo il regista(che sceneggia)apre una porta con una chiave che è tutt'uno con la sua mano per entrare in un cinema dove si guarda "La folla" di Vidor.Segue una serie di episodi in bilico tra grottesco e surreale,con pizzico di horror,noir e dramma sentimentale.Un omaggio al cinema passato e presente e ai generi che lo compongono,dove le citazioni(e autocitazioni)non si contano e la confusione non viene mai meno.I cinefili di mezzo mondo hanno apprezzato molto:Denis Lavant affronta imperterrito le situazioni più inconcepibili(anche un nudo frontale con erezione)e alcune scene(l'amplesso nella sala per il motion capture;l'omicidio del "doppio")non sono affatto male.Ma sinceramente la metafora della vita come film in cui si è chiunque e nessuno non basta a giustificare tanto caos.E il finale con le limousine parlanti è insensato,e non fa ridere.L'episodio con Eva Mendes è un richiamo alla cronaca.Finanziato da diverse banche,"sollecitate" niente meno che da Carla Bruni Sarkozy.
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iuriv
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martedì 7 luglio 2015
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strano.
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E' difficile parlare di Holy Motors, perché è difficile capire bene cos'è o cosa vuole comunicare. Potrebbe trattarsi di uno stravagante omaggio alla settima arte, al suo modo di creare storie infinite e alla sua capacità di proiettare lo spettatore attraverso mondi sempre diversi.
La storia di Oscar (nome evidentemente non casuale) è quella di un uomo senza identità, una specie di pagina bianca su cui scrivere un personaggio diverso a seconda delle circostanze. Nella sua Limo, guidata dall'ambigua autista Celine, Oscar gira le strade di Parigi alla ricerca di un ruolo da interpretare.
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E' difficile parlare di Holy Motors, perché è difficile capire bene cos'è o cosa vuole comunicare. Potrebbe trattarsi di uno stravagante omaggio alla settima arte, al suo modo di creare storie infinite e alla sua capacità di proiettare lo spettatore attraverso mondi sempre diversi.
La storia di Oscar (nome evidentemente non casuale) è quella di un uomo senza identità, una specie di pagina bianca su cui scrivere un personaggio diverso a seconda delle circostanze. Nella sua Limo, guidata dall'ambigua autista Celine, Oscar gira le strade di Parigi alla ricerca di un ruolo da interpretare.
Il confine tra realtà e finzione in questo lavoro è labilissimo e viene spostato continuamente durante lo svolgimento. Oscar è un attore tra gli attori, oppure un personaggio tra persone. Difficile cogliere il punto, anche perché al termine di ogni scena il protagonista ritorna sul sedile posteriore della macchina, completamente privo di tratti somatici (azzeccatissima la scelta dell'attore principale) e quasi dimentico di tutto.
Forse le motivazioni di Carax stanno tutte nella scena introduttiva, dove uno schermo cinematografico guarda il suo pubblico apatico e dormiente, scoprendosi incapace di regalare le magie che un tempo gli riuscivano facili.
Quindi un film che vuole scuotere. Ma è difficile coglierne gli aspetti più reconditi se non si dispone di una cultura cinematografica ampia, o almeno simile a quella del regista. E' evidente che in quasi tutte le scene che Carax ci presenta siano presenti richiami e citazioni. Difficile tuttavia assaporarne l'intensità, mentre invece è molto facile cadere nel tranello e cercare di vedere una continuità narrativa in questa pellicola.
Non esiste una trama, così come non esiste un personaggio. Oscar, magari, verso la fine si scopre un po', ma rimane comunque un essere poco umano, un attore alla ricerca di una storia che lo plasmi.
Non è necessariamente un male, anzi, è l'idea che dona il carattere al film. Certo è che lo pone fuori dalla portata dei più. Il suo essere a volte spocchioso nell'evitare di offrire un qualsiasi accenno di spiegazione, inoltre, lo rende ostico. E i suoi ritmi lenti potrebbero scoraggiare.
Tuttavia è una pellicola che ha un forte magnetismo e che si propone di vivere molto oltre la visione nella mente di chi la affronta.
Ai cinefili veri piacerà sicuramente molto. Chi, come me, segue il cinema per puro piacere, rischia di perdersi qualcosa. Comunque sia, questo film rimane un evento raro.
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noia1
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mercoledì 21 ottobre 2015
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assurdo, significativo, straordinario.
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Un uomo viaggia su una limousine interpretando diversi ruoli.
Visivamente straordinario, un film che vuole colpire, un regista consapevole delle proprie potenzialità per un risultato che non lascia indifferenti: lo si può amare, lo si può odiare, si può restare destabilizzati ma qualcosa dentro lascia.
Fin da subito si resta confusi, straniati per la vita condotta da questo personaggio, poi pian piano tutto si delinea, non per forza ha senso, ma perlomeno qualcosa viene detto, niente è lasciato al caso, semmai, piuttosto alla logica di un mondo parallelo.
Si viene trasportati in questo vortice di eventi, diversi aspetti del cinema, diversi aspetti della vita, diverse rappresentazioni, una più assurda dell’altra, una più drammatica dell’altra, tutte però, messe insieme creano un affresco grottesco della realtà e del cinema.
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Un uomo viaggia su una limousine interpretando diversi ruoli.
Visivamente straordinario, un film che vuole colpire, un regista consapevole delle proprie potenzialità per un risultato che non lascia indifferenti: lo si può amare, lo si può odiare, si può restare destabilizzati ma qualcosa dentro lascia.
Fin da subito si resta confusi, straniati per la vita condotta da questo personaggio, poi pian piano tutto si delinea, non per forza ha senso, ma perlomeno qualcosa viene detto, niente è lasciato al caso, semmai, piuttosto alla logica di un mondo parallelo.
Si viene trasportati in questo vortice di eventi, diversi aspetti del cinema, diversi aspetti della vita, diverse rappresentazioni, una più assurda dell’altra, una più drammatica dell’altra, tutte però, messe insieme creano un affresco grottesco della realtà e del cinema.
Assurdo, niente viene spiegato eppure tutto è messo in mostra, bisogna però interpretarlo, ci sono tutti i dati per ragionare, per riflettere. Viene messo in mostra ogni aspetto della vita, tutto si rivela finzione, eppure accade realmente, in poche parole: la fine del cinema attraverso una rappresentazione della società devastata quale è realmente quella odierna. Chi recita e chi no?
Un tentativo azzardato che ha centrato in pieno grazie ad un regista che sa dare il giusto peso a qualsiasi cosa, l’esatto aspetto disturbante a qualsiasi altra, un risultato straordinario, il ritmo è perfetto, perfetto per come scorre la pellicola, per cosa dice la sceneggiatura.
In conclusione, anche la situazione dell’uomo, quasi rassegnato di fronte alla vita, assorbito dalla passione e, nel finale struggente soprattutto, un misero essere vivente né meglio né peggio degli altri, costretto nelle proprie condizioni per sopravvivere.
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donni romani
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giovedì 6 giugno 2013
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cinema puro che inventa la vita e la morte
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Visivamente maestoso, strutturalmente tortuoso ed ipnotico, ricco di metafore, metalinguaggi e scarti metafisici, il nuovo film di Leos Carax è dedicato a chi cerca nel cinema un'esperienza totalizzante ed incerta, spiazzante ed eccentrica. La scena d'apertura su una sala gremita di spettatori immobili e immersi nell'oscurità è un preciso indizio dell'intento del pifferaio Carax che ci trascina con sè - fisicamente visto che è lo stesso regista il protagonista dei primi minuti di film - dietro una parete su cui sono disegnati alberi spogli e spettrali, in un cinema buio e da lì ci precipita, novelli Alice nel paese delle meraviglie distorte e solarizzate del suo protagonista, Mr Oscar - uno straordinario Denis Lavant invecchiato dai tempi del Pont Neuf ma dotato di una fisicità concentrata ed espressiva come non mai - che si trasforma nel corso di ventiquattro ore in decine di personaggi che interpreta per qualche minuto salvo poi rifugiarsi all'interno di una limousine chilometrica che è anche camerino d'attore, con trucchi e parrucche di scena, e un po' lettino dello psicanalista, con la bionda autista Céline ad incontrare il suo sguardo e la sua voce, o il suo datore di lavoro a ricordargli che la bellezza - e forse la verità, e la vita - è nello sguardo di chi guarda.
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Visivamente maestoso, strutturalmente tortuoso ed ipnotico, ricco di metafore, metalinguaggi e scarti metafisici, il nuovo film di Leos Carax è dedicato a chi cerca nel cinema un'esperienza totalizzante ed incerta, spiazzante ed eccentrica. La scena d'apertura su una sala gremita di spettatori immobili e immersi nell'oscurità è un preciso indizio dell'intento del pifferaio Carax che ci trascina con sè - fisicamente visto che è lo stesso regista il protagonista dei primi minuti di film - dietro una parete su cui sono disegnati alberi spogli e spettrali, in un cinema buio e da lì ci precipita, novelli Alice nel paese delle meraviglie distorte e solarizzate del suo protagonista, Mr Oscar - uno straordinario Denis Lavant invecchiato dai tempi del Pont Neuf ma dotato di una fisicità concentrata ed espressiva come non mai - che si trasforma nel corso di ventiquattro ore in decine di personaggi che interpreta per qualche minuto salvo poi rifugiarsi all'interno di una limousine chilometrica che è anche camerino d'attore, con trucchi e parrucche di scena, e un po' lettino dello psicanalista, con la bionda autista Céline ad incontrare il suo sguardo e la sua voce, o il suo datore di lavoro a ricordargli che la bellezza - e forse la verità, e la vita - è nello sguardo di chi guarda. Oscar è dapprima un banchiere sfrontato e arrogante che tratta affari al telefono e si preoccupa di armare le sue bodyguards, poi una tremebonda vecchietta che chiede l'elemosina sul Ponte Alexandre III, voce silenziosa di una società indifferente, e pochi minuti dopo un attore prestato alla motion capture che nel buio di una sala ci regala un saggio di poesia cinematografica, anche se non sapremo mai cosa quel luccichio di mille puntini luminosi diventerà, così come non sappiamo, fin quando Oscar non termina la sua successiva trasformazione chi sarà di lì a poco. Sarà selvaggio e folle - linguaggio incomprensibile, capelli incolti e unghie contorte da orco delle fiabe - in una parodia feroce e grottesca di performance underground ambientata nelle fogne di Parigi e in un cimitero dove le lapidi recano epitaffi che recitano "Visita il mio website" e dove la Bestia attira fotografi e giornalisti più della Bella - ed inerte - modella che sta posando per un servizio. E sarà ancora un uomo in fin di vita che filosofeggia con la giovane nipote sulla bellezza della vita, e un carnefice-vittima-carnefice di se stesso in una danza speculare di vita e di morte, e un padre banale e meschino, e il protagonista di un musical struggente, fino ad un doppio finale straziante e straniante che va visto e sentito con gli occhi e le orecchie di un'anima pronta a credere alla magia del cinema che tutto evoca tutto distrugge e tutto inventa. Siamo in un futuro apocalittico in cui, ci vuol dire Carax abbiamo abdicato la vita come la intendiamo oggi per trasformarci in schizofreniche parodie di esseri umani? O siamo nella mente malinconica di un cineasta che rimpiange le vecchie cineprese ingombranti e pesanti e si strugge di nostalgia? O ancora è una metafora a doppio cieco per indurci a credere a ciò che vediamo mentre l'essenziale è invisibile agli occhi come diceva Saint Exupery? Forse tutto, o forse niente, l'importante è stare al gioco e lasciarsi trascinare, sollevare e precipitare dal sublime concerto per corpo e volto mobile di Carax-Lavant che per non dimenticare le buone maniere cinematografiche ci regala un potentissimo e muscolare "Intervallo" proprio come è giusto che sia in un film che è film e film nel film fino al midollo.
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[+] brava
(di kimkiduk)
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flyanto
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lunedì 10 giugno 2013
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come fare del cinema sempre più originale
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Film in cui viene descritta l'intera giornata lavorativa di un uomo nel corso della quale egli prende via via le sembianze di vari e strani ripugnanti personaggi spostandosi da un luogo all'altro della città attraverso una grossa limousine bianca guidata da un'elegante e bella ma un pò agée autista donna, di nome Céline. L'incipit del film in cui lo stesso regista Leos Carax appare brevemente, alzandosi dal letto ed introducendosi all'interno di una sala cinematografica attraverso l'apertura in un muro, introduce in pratica anche lo spettatore nel raccapricciante e variegato mondo del cinema così come viene da Carax sempre inteso.
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Film in cui viene descritta l'intera giornata lavorativa di un uomo nel corso della quale egli prende via via le sembianze di vari e strani ripugnanti personaggi spostandosi da un luogo all'altro della città attraverso una grossa limousine bianca guidata da un'elegante e bella ma un pò agée autista donna, di nome Céline. L'incipit del film in cui lo stesso regista Leos Carax appare brevemente, alzandosi dal letto ed introducendosi all'interno di una sala cinematografica attraverso l'apertura in un muro, introduce in pratica anche lo spettatore nel raccapricciante e variegato mondo del cinema così come viene da Carax sempre inteso. La galleria di figure da lui proposte non sono altro che i molteplici ruoli che ogni attore interpreta e deve inventarsi, rinnovandosi di volta in volta, nel corso della sua carriera correndo il rischio alla fine di mescolare la finzione con la realtà. Ruoli anche interscambiabili come viene evidenziato dalla scena finale in cui l'autista Céline, dopo aver posteggiato la limousine, scende dalla macchina indossando una maschera anonima prima del suo ritorno a casa. Senza alcun dubbio il film è molto particolare e, forse, per chi non conosce Leos Carax, anche abbastanza crudo e troppo esplicito a causa delle sue scene appunto forti e ripugnanti. Per chi apprezza Carax, questa pellicola risulta interessante e soprattutto in linea con la sua filmografia precedente e col suo pensiero di sempre e pertanto non verrà affatto deluso. Per chi non lo apprezza invece, essa rimane una rappresentazione stramba e sicuramente difficile da accettare. Secondo il mio modesto parere, il film possiede un certo valore artistico risvegliando nello spettatore (emblematicamente rappresentato da Carax come dormiente nella sala di proiezione) l'interesse e molti interrogativi sul ruolo che l'individuo ha nella propria esistenza. Le molteplici figure che di volta in volta impersona l'attore feticcio di Carax, Denis Lavant, potrebbero benissimo fare parte della realtà: una realtà alquanto sfaccettata e differente da come viene percepita dalle persone che vi assistono, creando o stupore, o ribrezzo o, in rari casi, meraviglia. Il dialogo condotto all'interno della limousine da un ottimo, come sempre, e di brevissima apparizione, Michel Piccoli in pratica ne riassume il concetto. Da non perdere, ripeto, per chi è interessato a questo tipo di fare cinema che scuote e deve scuotere.
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eugenio
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sabato 6 luglio 2013
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sperimentalismi cinematografici
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Capita delle volte, uscendo da una sala cinematografica di rimanere abbastanza sconvolti (in senso positivo) da una pellicola che, apparentemente senza senso di primo acchito, getta luce ad una visione metafisica dell’esistenza, nel senso letterale del termine: un qualcosa che va al di là dei normali confini fissati dalla razionalità umana per spingersi alla dimensione ignota del subconscio.
Leos Carax regista,commediografo e scrittore, ignorato l’anno scorso al festival di Cannes da Moretti forse per alcune idee giudicate troppo “avanguardiste”, stupisce il pubblico con l’ultima sua fatica, Holy motors, letteralmente motori santi, un titolo (apparentemente) estemporaneo alla vicenda trattata che vede appunto un personaggio Monsieur Oscar (interpretato da un bravissimo Denis Lavant), uno,poi nessuno e infine centomila “trasformarsi” in molteplici personalità.
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Capita delle volte, uscendo da una sala cinematografica di rimanere abbastanza sconvolti (in senso positivo) da una pellicola che, apparentemente senza senso di primo acchito, getta luce ad una visione metafisica dell’esistenza, nel senso letterale del termine: un qualcosa che va al di là dei normali confini fissati dalla razionalità umana per spingersi alla dimensione ignota del subconscio.
Leos Carax regista,commediografo e scrittore, ignorato l’anno scorso al festival di Cannes da Moretti forse per alcune idee giudicate troppo “avanguardiste”, stupisce il pubblico con l’ultima sua fatica, Holy motors, letteralmente motori santi, un titolo (apparentemente) estemporaneo alla vicenda trattata che vede appunto un personaggio Monsieur Oscar (interpretato da un bravissimo Denis Lavant), uno,poi nessuno e infine centomila “trasformarsi” in molteplici personalità. Prima banchiere, poi zingara, attore in un’atmosfera da stop-motion simil Matrix, Mounsier Merde, killer, padre con figlia in crisi esistenziale, anziano sull’orlo di un infarto, la misteriosa figura muta volto e caratteristiche all’interno di una fastosa limousine bianca guidata da una reticente e anodina Celine, una sorta di confidente passiva del protagonista. Protagonista che appunto sfugge a ogni definizione, ad ogni ruolo indossando una maschera che gli permette di attraversare nella magnificenza di un non-luogo che diviene non-vita (qui parzialmente identificata attraverso alcuni scorci notturni nella moderna Parigi) , il teatro dell’assurdo della stanchezza esistenziale che alberga in ognuno di noi.
Non è un caso che molte delle scene ritraggano il protagonista spesso in una posizione statica, dormiente, paralizzata quasi a sottolinearne l’immobilità psicologica di una vita che come direbbe Pirandello “non conclude”, in cui Monsieur Oscar come tutti noi è “una pietra che rotola senza esperienza”, totalmente disorientato e schiavo dello stesso tentativo di emergere. Intellettualistico e citazionista a partire dall’incipit chiaramente simbolico (una sala cinematografica con gente immobile e attenta) e meta teatrale (l’uomo che attraverso una porta nascosta e si trova in un cinema dove assiste alla sua proiezione) , Holy Motors costituisce un eccellente esempio di sperimentalismo cinematografico, dall’impostazione chiaramente teatrale (visti gli illustri cui si ispira) mosso dall’ambizione di un regista votato al “controllato” eccesso che vuol far stupire con riferimenti più o meno immediati di grandi cineasti (vedi Kubrick o Franju).
La struttura frammentaria con numerose situazioni surreali, se da un lato è funzionale allo scopo di evidenziare la “disgregazione dell’io” suscitando nello spettatore ilarità, principalmente per l’occorrenza di numerosi motivi “nonsense” contestualizzati ad una società ipocrita e meschina (il mangiatore di rose e il fotografo con la modella interpretata da Eva Mendes ne sono esempio) dall’altro ha come effetto l’eccessivo auto-compiacimento.
Caraz, da cinefilo, manifesta un grande interesse per situazioni contemporanee sullo sfondo di note jazz dei locali parigini ma forse proprio l’eccesso nell’utilizzo del trucco, l’esasperazione del solipsismo di ciascun personaggio descritto portato esasperatamente al grottesco, tendono ad allontanare lo spettatore dal primario obiettivo: la riflessione della follia inquietante dell’apatica esistenza dalla quale tutti noi siamo addicted senza saperlo.
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