cinefila
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sabato 28 agosto 2010
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l'amore raccontato con gentilezza!
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Film delicato e sincero che racconta con molta grazia la travagliata storia d'amore tra due giovani, la severa Camilla (la versatile e sempre intensa Isabella Ragonese) e l'impulsivo Silvestro (un tenero e inedito Michele Riondino) che si incontrano su un vaporetto direzzo a Venezia in un freddo novembre del 1999.
Da quel giorno i due s'incontrano e si evitano, si ritrovano e si allontanano amandosi in silenzio.
Il tutto è vissuto e raccontato in dieci anni. Nel frattempo i due vivono la propria vita, diventano amici, condividono lo stesso appartamento, poi si ingelosiscono, poi soffrono l'uno per l'altra, finchè cresciuti, si ritroveranno in quella stessa casetta ormai abbandonat
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Film delicato e sincero che racconta con molta grazia la travagliata storia d'amore tra due giovani, la severa Camilla (la versatile e sempre intensa Isabella Ragonese) e l'impulsivo Silvestro (un tenero e inedito Michele Riondino) che si incontrano su un vaporetto direzzo a Venezia in un freddo novembre del 1999.
Da quel giorno i due s'incontrano e si evitano, si ritrovano e si allontanano amandosi in silenzio.
Il tutto è vissuto e raccontato in dieci anni. Nel frattempo i due vivono la propria vita, diventano amici, condividono lo stesso appartamento, poi si ingelosiscono, poi soffrono l'uno per l'altra, finchè cresciuti, si ritroveranno in quella stessa casetta ormai abbandonata per mettere pace alle tante incomprensioni e per vivere la loro storia sopita dai freddi inverni!
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djpaga
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giovedì 2 settembre 2010
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"quando ami qualcuno meglio amarlo davvero"
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"quando ami qualcuno meglio amarlo davvero" canta vinicio nel film e forse è vero. un film di corse e rincorse amorose come è l'amore quando si è maturi solo per l'anagrafe e non nella testa! quando si è universitari l'amore è diverso (sarà che sono un universitario) come l'approccio con una ragazza è diverso. in questo film silvestro cerca di rompere il ghiaccio con camilla dicendo:"bello il giapponese, la matematica, la matematica giapponese". e con queste parole inizia una lunga storia ambientata a venezia negli ultimi 10 anni ('99-2009). il film distribuito a venezia 2009 ha avuto una distribuzione molto lenta, il dvd infatti è uscito a settembre 2010 e in comune con alcuni premi oscar (Departures) ha la qualità.
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"quando ami qualcuno meglio amarlo davvero" canta vinicio nel film e forse è vero. un film di corse e rincorse amorose come è l'amore quando si è maturi solo per l'anagrafe e non nella testa! quando si è universitari l'amore è diverso (sarà che sono un universitario) come l'approccio con una ragazza è diverso. in questo film silvestro cerca di rompere il ghiaccio con camilla dicendo:"bello il giapponese, la matematica, la matematica giapponese". e con queste parole inizia una lunga storia ambientata a venezia negli ultimi 10 anni ('99-2009). il film distribuito a venezia 2009 ha avuto una distribuzione molto lenta, il dvd infatti è uscito a settembre 2010 e in comune con alcuni premi oscar (Departures) ha la qualità. l'opera prima di mieli (formatosi al Csc) è forse uno dei migliori film della stagione 2009 italiana, l'unico difetto forse sono gli ultimi dieci minuti (e non inverni) dove mieli ha voluto "far finire" il suo film un pò in fretta. comunque 3 stelle piene.
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vins79
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mercoledì 15 settembre 2010
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l'amore ai tempi
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Le abilita' registiche del giovane Valerio Mieli emergono in discrete citazioni cinefile, che pero' rischiano di condurre Dieci Inverni su un suolo quantomai instabile. La prima scena, l'incontro dei due protagonisti in vaporetto, con Camilla che legge un libro e Silvestro che la guarda, richiama (consapevolemte?) la scena di apertura del famoso film cult 'Before Sunrise'. Il finale nella camera spoglia di una casetta sperduta omaggia (volutamente?) le 'Scene da un Matrimonio' di Bergman. Anche l'alternarsi di 'quadri temporali' omaggiano il film Bergmaniano ma in una scena, che probabilmente doveva risultare 'emblematica', i due sfortunati eroi stanno nella stessa piazza ma ahime' non si incontrano, nonostante da prospettive diverse riescano a notare lo stesso anziano signore.
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Le abilita' registiche del giovane Valerio Mieli emergono in discrete citazioni cinefile, che pero' rischiano di condurre Dieci Inverni su un suolo quantomai instabile. La prima scena, l'incontro dei due protagonisti in vaporetto, con Camilla che legge un libro e Silvestro che la guarda, richiama (consapevolemte?) la scena di apertura del famoso film cult 'Before Sunrise'. Il finale nella camera spoglia di una casetta sperduta omaggia (volutamente?) le 'Scene da un Matrimonio' di Bergman. Anche l'alternarsi di 'quadri temporali' omaggiano il film Bergmaniano ma in una scena, che probabilmente doveva risultare 'emblematica', i due sfortunati eroi stanno nella stessa piazza ma ahime' non si incontrano, nonostante da prospettive diverse riescano a notare lo stesso anziano signore. Anziano signore che non puo' non rimandare (deliberatamente?) alla Trilogia di Kieslowski (addirittura!). Il tutto condito con raffinatezze niente affatto snob, come interi dialoghi in russo senza sottotitoli (che fa tanto volgare, come tutti quelli che in Italia capiscono il russo ben sanno).
Non me ne vogliano gli ammiratori delle storie d'amore. Dieci Inverni e' una bella storia d'amore, con un'ottima recitazione e tutto sommato una buona regia, alla quale si puo' perdonare un po' di boria giovanile. Pero' la storia di questo film - dalla sua genesi al Centro Sperimentale al grande successo di critica, fino ai premi prestigiosi - dovrebbe farci riflettere, almeno un pochino, sulla condizione attuale del cinema Italiano. Il Ministero per i Beni e le Attivita' Culturali ha riconosciuto Dieci Inverni come 'Film di Interesse Culturale Nazionale'. Perche'? Probabilmente il film e' di interesse nazionale nel senso che a alcuni ancora interessa far credere che ai giovani Italiani tutto va' liscio come l'olio e che i loro unici problemi siano quelli sentimentali.
Se poi ci si informa sulla biografia del Mieli, il mistero si infittisce ancora di piu': a quanto pare, prima di iscriversi (o meglio, essere ammesso) al Centro Sperimentale, e quindi prima di ideare, dirigere e (udite un po') coprodurre Dieci Inverni (alla faccia dei problemi dei giovani, che non vengono descritti dal regista probabilmente perche' a lui sconosciuti), Valerio Mieli ha conseguito una laurea in filosofia. Non e' quindi deludente che un giovane filosofo/regista non sia riuscito a ideare nulla di concettualmente provocante o perlomeno stimolante e si sia dedicato anima e corpo a una storia d'amore fra giovani studenti a uso e consumo di borghesi italioti di mezza eta'?
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stefano capasso
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giovedì 29 maggio 2014
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la difficile individuazione di se
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Camilla e Silvestro si incontrano, diciottenni, sul vaporetto per Venezia. Cominciano la loro avventura nella vita di adulti, autonomi, lontano da casa. Si innamorano senza dirselo, si cercano, si avvicinano e si allontanano per dieci anni. Un tempo nel quale avranno modo di fare diverse esperienze, al termine delle quali si ritroveranno definitivamente sullo stesso traghetto, nella stessa prima casa.
Valerio Mieli racconta a flash anno dopo anno il lento e difficile percorso di individuazione di due giovani. Un percorso che è fatto di tante prove, di tentativi che servono a togliere i fardelli di quello che non appartiene alla loro identità. Sono piccole conquiste, che di anno in anno compiono, che se da una parte confermano l'immutabilità del carattere dall'altra conferiscono alle personalità spessore diverso.
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Camilla e Silvestro si incontrano, diciottenni, sul vaporetto per Venezia. Cominciano la loro avventura nella vita di adulti, autonomi, lontano da casa. Si innamorano senza dirselo, si cercano, si avvicinano e si allontanano per dieci anni. Un tempo nel quale avranno modo di fare diverse esperienze, al termine delle quali si ritroveranno definitivamente sullo stesso traghetto, nella stessa prima casa.
Valerio Mieli racconta a flash anno dopo anno il lento e difficile percorso di individuazione di due giovani. Un percorso che è fatto di tante prove, di tentativi che servono a togliere i fardelli di quello che non appartiene alla loro identità. Sono piccole conquiste, che di anno in anno compiono, che se da una parte confermano l'immutabilità del carattere dall'altra conferiscono alle personalità spessore diverso.
Uno spessore ed una conoscenza che servono dopo dieci anni a poter essere sufficientemente adulti per potersi riconoscere nella propria individualità, con le proprie debolezze, e riconoscere l'altro che pure è sempre stato lì, per quello che è
In fondo dopo dieci anni la situazione che si ripresenta somiglia molto alla prima, ma potranno viverla da persone più consapevoli con un finale decisamente più soddisfacente
Dieci inverni è un film dai toni malinconici, Venezia con le sue nebbie mattutine, la Russia innevata e l’inverno rappresentano in modo perfetto questo sentimento che è anche la malinconia per un tempo Eì ben raccontato ed è interessante l'idea dei piccoli flash inveranali anno dopo anno perduto.
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minnie
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lunedì 11 giugno 2012
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l'amore a prima vista funziona!
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Ho visto finalmente in tv "Dieci inverni" dopo averlo inseguito invano al cinema: l'ho trovato un film splendido. L'idea ricalca "The way we werw" e non era facile reggere il confronto con la mitica coppia Streisand-Redford, però Riondino e Ragonese ci sono riusciti benissimo. La loro recitazione è superba, così come ho provato vera gioia per gli occhi nelle riprese di Valerio Mieli, il giovane regista, a Venezia, una città che si ama anche nei suoi scorci più scontati e però qui fotografati nel miglior modo (vedi la scena fra Camilla e il suo amore, ormai passato, russo, in piazza San Marco), a Rialto, nella piccola casa che sembra una dacia ai Castelli, e anche Mosca io al cinema non l'avevo mai vista così, addirittura la pista di pattinaggio mi sembra proprio quella descritta da Tolstoj nella scena in cui s'incontrano Kitty e Levin.
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Ho visto finalmente in tv "Dieci inverni" dopo averlo inseguito invano al cinema: l'ho trovato un film splendido. L'idea ricalca "The way we werw" e non era facile reggere il confronto con la mitica coppia Streisand-Redford, però Riondino e Ragonese ci sono riusciti benissimo. La loro recitazione è superba, così come ho provato vera gioia per gli occhi nelle riprese di Valerio Mieli, il giovane regista, a Venezia, una città che si ama anche nei suoi scorci più scontati e però qui fotografati nel miglior modo (vedi la scena fra Camilla e il suo amore, ormai passato, russo, in piazza San Marco), a Rialto, nella piccola casa che sembra una dacia ai Castelli, e anche Mosca io al cinema non l'avevo mai vista così, addirittura la pista di pattinaggio mi sembra proprio quella descritta da Tolstoj nella scena in cui s'incontrano Kitty e Levin. Un film poetico, che affronta varie tematiche - la depressione post partum, la gelosia, l'amicizia controversa fra uomo e donna, l'amore per il teatro e per la scienza, Riondino sa fare anche il tenero oltre che il nevrotico, Ragonese è così saggia, sa dare un'impronta a tutto il film che però è anche un film di ricordi visivi, di paesaggi, di sensazioni ed è stupendo! Bravi tutti! Bravissimi, anzi!!!
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francesco2
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domenica 28 novembre 2010
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il cinema ininverno: un concetto che il pensiero n
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Per il nostro cinema il film a episodi non è un concetto nuovissimo. Qualcuno recensendo questo ha citato "Un amore ", opera di Tavarelli elogiata (A ragione?) da certa critica, ma io ho pensato anche a "Tracce di vita amorosa" di Peter Del Monte, film massacrato a Venezia vent'anni fa, forse a ragione forse no. In fondo lo "Stanno tutti bene" di Tornatore, di cui è uscito in questi giorni un remake, non si divideva in episodi nel
Senso stretto, ma (E) seguiva il percorso (In tutti i sensi) di un padre, e le tante piccole storie che ritrovava viaggiando per l’ Italia. Sempre a quegli anni risale "Scugnizzi" di Loy, che partendo da uno spettacolo teatrale parlava dei ragazzini di Nisida che lo interpretavano.
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Per il nostro cinema il film a episodi non è un concetto nuovissimo. Qualcuno recensendo questo ha citato "Un amore ", opera di Tavarelli elogiata (A ragione?) da certa critica, ma io ho pensato anche a "Tracce di vita amorosa" di Peter Del Monte, film massacrato a Venezia vent'anni fa, forse a ragione forse no. In fondo lo "Stanno tutti bene" di Tornatore, di cui è uscito in questi giorni un remake, non si divideva in episodi nel
Senso stretto, ma (E) seguiva il percorso (In tutti i sensi) di un padre, e le tante piccole storie che ritrovava viaggiando per l’ Italia. Sempre a quegli anni risale "Scugnizzi" di Loy, che partendo da uno spettacolo teatrale parlava dei ragazzini di Nisida che lo interpretavano.
Tutti titoli, secondo me, nient’affatto memorabili, Ma anche film come "Dieci inverni" sono un esempio di presunto cinema autoriale, solo in apparenza non giovanilistico. Il titolo si può leggere in tanti modi, il più contorto si potrebbe riallacciare alla scelta della protagonista, che si autoconfina in un paese freddo parlando una lingua difficile (Che anche io ho studiato: da che pulpito….) , quasi a volere scontare un percorso di espiazione (Non è una lettura così distorta, se si parla di “Monastero”): ed in quella dimensione, che aveva sostituito quella giocosa di russe imbranate e feste infantili( che non le andavano a genio), la sua scelta cadrà su un uomo del posto. In fondo, quando rifiuta (Ma veramente?) all’inizio Silvestro , è come se in cuor suo rimuovesse qualsiasi futilità in quella dimensione che, per misteriosi motivi, voleva far sua, fatta di stanzette fatiscenti e cappotti di lana.
Ma più semplicemente(Sic!) “Dieci inverni” è il titolo di un film che vorrebbe essere freddo, ma non lo è mai abbastanza. Può avere spunti curiosi, come il russo che dice a Camilla, nella sua lingua, di levarsi di torno Silvestro. Ma il cinema, in chiave generale, non vive solo di spunti curiosi. Nello specifico, poi, pretendere di raccontare un rapporto spesso irrisolto tra due persone, in cui l’amore si sia incrociato con l’odio, la stima col fastidio, richiede la capacità “fotografica” di catturare momenti che restituiscano il senso di un rapporto che col tempo aveva conosciuto tante sfumature, che qualche volta si era forse estinto, e forse no. Ed in questo senso, spiace dirlo, il massimo che riesca a fare “Dieci inverni” è costruire situazioni da “Ultimo bacio” come le lumache regalate e poi cucinate insieme alla sventola del momento, o far sì che i due si (Ri)trovino ad un’asta e poi si dicano qualcosa che non sapremo mai, stile “Lost in Translation”, ma lontani dal film della Coppola. Frasi come “So che è colpa mia, ma ora vattene” si disperdono in spunti da commedia priva di nerbo, come il gatto riportato in Russia che non era neanche quello giusto,o in personaggi folcloristici come la giovane russa imbranata (Uno dei soliti vizi dei nostri film, osservava Enrico Terrone: la commiserazione per il diverso ). “Dieci inverni”, purtroppo, assomiglia di più al finale, secondo me non ambiguo, come qualcuno ha scritto, ma banalmente consolatorio, che non alla bella scena accompagnata dalla musica di Capossela.
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valerio salvi
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domenica 27 dicembre 2009
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dove sono i tempi d'una volta, per giunone!
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Quando ci voleva per fare il mestiere anche un pò di vocazione!
Se mi torna alla mente De Andrè un motivo c'è. Ma soprattutto un motivo c'è se mi torna alla mente questa frase, tanto da farne un titolo.
Mi ricorda un momento della mia vita in cui credevo che bastasse una buona idea per rendere un prodotto apprezzabile e ben riuscito. Mi ricorda quando credevo che lo stesso De André fosse riuscito perché abile nel farsi venire in mente delle buone idee. Poi scoprii che non era così. Scoprii che il cantautore era solito passare intere giornate (anzi nottate) nel modellarle affinchè fossero funzionali al testo della canzone. Intere nottate passate a cancellare, riscrivere, per un vocabolo, per una virgola messa nel posto sbagliato e che cambiata d'ordine dava un risultato decisamente migliore.
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Quando ci voleva per fare il mestiere anche un pò di vocazione!
Se mi torna alla mente De Andrè un motivo c'è. Ma soprattutto un motivo c'è se mi torna alla mente questa frase, tanto da farne un titolo.
Mi ricorda un momento della mia vita in cui credevo che bastasse una buona idea per rendere un prodotto apprezzabile e ben riuscito. Mi ricorda quando credevo che lo stesso De André fosse riuscito perché abile nel farsi venire in mente delle buone idee. Poi scoprii che non era così. Scoprii che il cantautore era solito passare intere giornate (anzi nottate) nel modellarle affinchè fossero funzionali al testo della canzone. Intere nottate passate a cancellare, riscrivere, per un vocabolo, per una virgola messa nel posto sbagliato e che cambiata d'ordine dava un risultato decisamente migliore.
Di questa dedizione nel film c'è ben poco. Una sceneggiatura che abbraccia dieci anni e in cui non succede nulla (ce ne voleva per non far succedere nulla in dieci anni!). Una regia che si preoccupa di lavorare solo per se stessa, non spia mai, non inventa, non immagina, non si propone al servizio dell'immagine. In effetti per parlare di caratteristiche tecniche ci vorrebbe tutto un altro prodotto. Quello che sconvolge davvero è la totale assenza di una ricerca artistica, di un emozione vera, di una storia che cerca di crescere attraverso gli eventi (non ce n'è uno nemmeno a pagarlo oro). La scontatezza della successione arriva allo spettatore molto, ma molto, ma molto prima di quello che si vuol far credere e da qui l'inevitabile noia del sapere già tutto. La storia non rischia mai. Mai. E questa forse è la delusione maggiore. Perchè, chi è attento alle problematiche sociali del nostro paese, capisce subito che è un problema decisamente italiano. Tutto passa per carino, simpatico, allegro. E mai per stupendo, tragico, sangue, carne amore e morte. Perchè ormai, è bene che ce lo diciamo dritti in faccia, "Moriamo per delle idee, vabbè ma di morte lenta". Cosa rimane di questo film che ci possa far rifletere in maniera profonda? Forse che lo spettacolo, che l'arte, non serva più a questo? Che ormai serva solo ad intrattenere con storie che non sono poi così lontane da "Uomini e donne"?
In conclusione vorrei dire che un film così non va criticato (la mia infatti l'ha preso come spunto per dire dell'altro), ma non va proprio visto. E non mi rivolgo soltanto a chi sta elaborando una sua ricerca artistica in campo cinematografico e in altri, ma anche a chi è in cerca di un emozione vera e che si ricorda di quando l'arte ce la dà davvero. Non vorrei che quelle stesse persone che si sono emozionate davanti a film come "I ponti di Madison County" O "The eternal sunshine of spotless mind", tanto per citare due storie completamente diverse, ma entrambe molto ben riuscite, ora per mancanza d'altro s'accontentassero di ritrovarla in film come "Dieci inverni".
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[+] dieci inverni, una carnevalata sui sentimenti
(di yellowwolf)
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