Castaway On the Moon

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Un film di Hae-jun Lee. Con Min-hee Hong, So-yeon Jang, Jae-yeong Jeong, Ryeo-won Jeong, Gyo-hwan Koo.
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Titolo originale Kim-ssi pyo-ryu-gi. Drammatico, durata 117 min. - Corea del sud 2009. MYMONETRO Castaway On the Moon * * * 1/2 - valutazione media: 3,83 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Acquista »
   
   
   

Brillante e piacevole film dalla prolifica S.Corea Valutazione 3 stelle su cinque

di Giorpost


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venerdì 11 gennaio 2013

Seul, Corea del Sud. In una città che è considerata, con giusta ragione, una delle metropoli più altamente urbanizzate e moderne del globo, il giovane Kim Seung-Keun non riesce ad accettare la vita frenetica di oggi, basata sull’ immagine e sul danaro, in un contesto dove essere uno dei 23 milioni di abitanti dell’ area metropolitana della capitale è sempre più complicato. E’ un uomo sul lastrico al quale passa la voglia di sottostare a queste regole e così decide di farla finita. Interpretato da Jung Ryeo-Won (efficace, seppur con uno stile recitativo troppo “asiatico”), il co-protagonista del film tenta il suicidio gettandosi dal ponte Seogang, finendo rocambolescamente, invece, sull’ isolotto sottostante chiamatoBamseom. Non sa nuotare, per cui inizialmente si trova in uno stato di sospensione tra un suicidio andato male e l’ impossibilità di lasciare quella che apparentemente può sembrare una prigione. Ma così non è ed infatti pian piano comincia a trasformare la sua visione delle cose, a provare piacere per quella “bellissima noia assoluta” che si può provare solo in una situazione simile, con l’ unico problema di non avere cibo.
Contestualmente Kim Jung-Yeon (la giovane Jung Ryeo-Won, carina e brava), è un’ auto reclusa affetta da sindrome bipolare, non esce dalla sua stanza da 3 anni e non ha contatti con l’ esterno eccetto rispondere alle domande della madre via sms. La sua “malattia” è probabilmente dovuta ad un padre violento (lei si alza al mattino quando il genitore esce di casa, va a letto la sera quando questi rientra), oppure ad una cicatrice che ha sulla fronte, parzialmente nascosta dai lunghi e lisci capelli, che la obbliga ad una prigionia volontaria, convinta che sarebbe comunque invisibile in una società devota alle mode, alle tendenze, al look ricercato e alla bellezza ad ogni costo. Jung-Yeon ha una vita perfettamente cadenzata, fatta di “passeggiate” ritmate (muove le gambe simulando una camminata) che le servono per far sembrare la giornata faticosa, usa molto il PC (facendo spese virtuali), si crea una sorta di avatar rappresentato da una modella. Ma lei ha soprattutto 2 passioni: fotografare la luna di notte e le strade di Seul quando, 2 volte l’ anno, queste si svuotano per una evacuazione di massa che vale come esercitazione in caso di guerra con la Corea del Nord. E proprio durante una di queste sessioni fotografiche fatte dalla sua finestra (dalla quale c’è una visuale privilegiata, abitando al settimo piano di un edificio residenziale che affaccia sul fiume Han), la giovane e dolce adolescente si imbatte nel naufrago in stile Hanks/Crusoe che nel frattempo aveva scritto HELP sulla sabbia. Inizia così ad osservarne abitudini, stile, modi di fare, essendo l’ unica spettatrice di un film interpretato da quello che lei crede essere un alieno. Dopo alcuni tentennamenti decide di uscire di casa, di notte, indossando un casco da motociclista e senza farsi vedere da nessuno va sul ponte e lancia un messaggio in una bottiglia al naufrago. Da qui nasce una comunicazione a distanza nella quale non si esplicitano mai i pensieri di entrambi fino in fondo, ma nasce in tutti e due quella voglia di conoscersi e si rivede anche quello spirito di socializzazione che avevano perso. E qui sta il senso della storia, un ritrovato amore nei confronti di una vita che aveva deluso due anime delicate e fragili. Lei cerca un appiglio umano pur credendolo un alieno naufrago su quella luna che le aveva fatto compagnia per anni; lui ritrova invece un inaspettato senso dell’ avventura e del rischio che lo porta a crearsi un amico spaventapasseri vestito da colletto bianco e un vero e proprio orticello dal quale attingere il necessario per nutrirsi. Ma una della chiavi dell’ opera (scritta e diretta da Hae-jun Lee) la si evince appena si supera la metà del film, quando Kim Jung-Yeon fa recapitare sull’ isolotto cittadino la pietanza preferita dal naufrago, ovvero gli spaghetti ai fagioli neri: questi, inaspettatamente per lo spettatore, li rifiuta e li rimanda al mittente (ancora sconosciuto). Lui deve nutrirsi prima di tutto di speranza, perché senza quella non andrà da nessuna parte. Così, in un finale atteso ma ben costruito, il passaggio da quell’ iniziale stato di abbandono e di odio nei confronti della vita ad un ritrovato senso del piacere di esserci, viene completato. Seung-Keun (ormai capellone e con barba lunga) si oppone alle guardie costiere che lo intimano di lasciare quel luogo protetto dal governo, ma deve farlo e lo fa senza ancora essere riuscito ad avere la risposta più importante di tutte: chi mi ha salvato la vita?
Non rivelerò a chi legge se questo avverrà o meno, posso solo aggiungere quanto segue: ogni buon appassionato di Cinema cerca, di tanto in tanto,  di pescare nell’ oceano uno di quei film cosiddetti “di nicchia”, una pellicola particolare, girata magari con un budget ridotto e con attori sconosciuti  ma che abbia una struttura solida, un soggetto inusuale e scorri via piacevolmente. “Castaway on the Moon” (R.o.K., 2009), risponde a questi crismi in maniera pressoché totale, risultando una delle opere cinematografiche più fresche ed al contempo delicate degli ultimi tempi, arrivando da quell’ iper civilizzata e filoccidentale Corea del Sud dalla quale sono venuti fuori, in questi anni, registi e sceneggiatori di talento capaci di sfornare una miriade di film d’autore. Questo film è uno di quelli.
 

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