UN RITRATTO AGGIORNATO DELLA CAPITALE SENEGALESE:
Sotto lo sguardo di una camera-eye, l’operatore Dominique Gentil penetra nei meandri della fisionomia architetturale di Dakar, mentre la musica delicata arrangiata da Yande Codou Sene e il suono curato da Alioun Mbow accompagnano le immagini di vita quotidiana che denotano la corsa della modernità attraverso l’Africa.
Nello stesso spazio dei campi lunghi, donne con bambine legate al loro di dietro che attraversano le strade lastricate trasportando l’acqua nelle tradizionali calebasses, rumori e suoni dell’antiquato trasporto pubblico e la vista abbagliante di un’auto europea o giapponese con il miracolo del condizionatore d’aria. Parallelamente, un’ immagine che fa trasalire: un polveroso spazio aperto dove animali affamati masticano tutto quello che riescono a trovare.
Sono le contraddizioni già evidenziate in Xala, dove le Mercedes dei politici si alternano ai carretti delle classi più umili e le bottiglie di Evian vengono pagate a peso d’oro in un paese dove l’acqua è il bene più prezioso per l’economia e la sussistenza.
Nuove ville con giardini ben curati danno rifugio alla media borghesia, i middlemen e i managers degli interessi capitalisti voltano le spalle alle baracche in rovina occupate dai loro vicini. Mentre elemosina e corruzione diventano accettati stili di vita, l’Aids e l’inquinamento mietono milioni di vittime.
Per non parlare dei monumenti-grattacielo sede delle globalizzate imprese del capitale che troneggiano in modo arrogante sopra la città decadente, evidenti sintomi del fallimento delle politiche post-coloniali sul piano economico, sociale e culturale.
Elementi simbolici sono anche gli eroi rivoluzionari affissi nei poster della casa di Faat Kinè, uomini di azione che vivono o muoiono per la giustizia democratica e l’egualitarismo:Mandela, Thomas Samkara, Nkrumah, e Amilcar Cabral.
Faat Kinépuò essere visto come una definizione di cosa il femminismo può significare nell’Africa del ventunesimo secolo.
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