SALVATE IL SOLDATO RYAN (USA, 1998). Diretto da Steven Spielberg. Interpretato da Tom Hanks, Edward Burns, Tom Sizemore, Matt Damon, Jeremy Davies, Giovanni Ribisi, Harve Presnell, Vin Diesel, Dennis Farina, Adam Goldberg, Barry Pepper
Il 6 giugno 1944 l’Esercito degli Stati Uniti sbarca ad Omaha Beach e porta a compimento l’operazione passata alla storia come il D-Day. Nel frattempo la signora Ryan, madre di quattro figli maschi tutti arruolati nell’Armata Suprema, tramite un telegramma, viene a sapere che tre di essi sono stati uccisi in combattimento, ma il quartogenito, James Francis Ryan, potrebbe essere ancora vivo in quanto è stato paracadutato in Normandia oltre le linee nemiche lo stesso giorno dell’invasione. Il capitano John Miller viene incaricato di una pericolosa missione speciale: trovare il soldato e portarlo a casa. Parte dunque coi suoi sei uomini, più un interprete, nel difficile viaggio di ricerca sul territorio francese. Durante la spedizione, i soldati ai suoi ordini mettono in discussione il compito ricevuto fin quasi al limite dell’insubordinazione, ponendosi agghiaccianti quesiti: perché rischiare la vita di otto persone per salvarne una sola? Ognuno dovrà cercare la propria risposta e fare del suo meglio in un’impresa in cui saranno premiati (sopravvivendo) solo coloro che sapranno offrire l’onore, la generosità e il coraggio. Dramma bellico in tre atti circondato da una convalidata cornice. Primo: lo sbarco in Normandia (esemplari i primi ventiquattro minuti, fin troppo acclamati, ma comunque da vedere e da sentire per la minuziosa ricostruzione della brutalità della guerra, combattuta non da eroi ma da uomini comuni). Secondo: la ricerca di Ryan. Qui il film si sostiene soprattutto di ingegnosi stereotipi, in particolar modo nella descrizione dei rapporti camerateschi fra i soldati, ma trova anche l’occasione di porre domande importanti senza l’assillo obbligatorio di risposte. Terzo: la battaglia nel paesino di Ramelle per salvare il ricercato e tenere un ponte; un compendio del war movie di matrice statunitense che rivela, insieme ad un ampio respiro, anche una sospetta ridondanza di temi e convenzioni che si confermano al di là dell’apparenza, irrobustiti loro malgrado dal ricorso frequente a riprese "a spalla" e agli effetti speciali. Se il suo merito maggiore consiste nel dimostrare che nella guerra non si ricerca la gloria in quanto la combatte gente di tutti i giorni che in tempo di pace pensa unicamente a mantenerla e vivere al meglio, l’opera pecca di retorica propagandistica quando perde l’occasione per riflettere sulla storia e sull’etica in favore di un messaggio piuttosto appesantito dall’ideologia interamente compresa nella prassi di Hollywood. Tant’è vero che i tedeschi rappresentano il nemico e la Francia è quasi vuota. Relativamente al 1998, Salvate il soldato Ryan è un film di guerra, mentre La sottile linea rossa è un film sulla guerra. Tuttavia numerosi espedienti narrativi funzionano e donano veridicità e riconoscibilità alla vicenda, dal tremore alle mani del capitano Miller (indicativo della paura su come finirà la missione e la consapevolezza non del tutto consolatoria che, per ogni uomo morto sotto i suoi ordini, se ne salvano dieci volte tanto) alle preghiere di Reiben ogniqualvolta si posiziona per mirare un bersaglio e sparare, alla lettera insanguinata di Caparzo che infine nessuno dei commilitoni riesce a far pervenire al destinatario. Un realismo spietato che non nasconde la rilevanza dell’impegno strutturale che sussiste dietro alla lavorazione né dimentica la lezione impartita, almeno a livello di suspense e credibilità, del kubrickiano Full Metal Jacket. Malgrado alcune forzature, il disegno psicologico del drappello militare protagonista lascia di stucco: ognuno con la faccia "giusta", gli interpreti tracciano un quadro di umanità nel contesto osceno e incrudelito dal conflitto, dal ruvido sergente Horvath all’impacciato caporale di quinto grado Upham, passando per i soldati semplici Mellish e Jackson, il soldato scelto Caparzo e l’infermiere Wade. Su una sceneggiatura di Robert Rodat, Spielberg realizza un apologo sul significato della libertà, a cui, pur nella stringente logica d’oltreoceano, le vite di coloro chiamati al servizio di leva vanno sacrificate all’altare della patria per riportare una pace remota alla quale non si può comunque tornare, ferma restando che è meglio optare per un futuro il più possibile sereno coi superstiti e le loro famiglie all’insegna dei successi affettivi da meritare dal momento che nulla è dato gratis. Due curiosità: in I sacrificati di Bataan (1945), John Wayne si chiama Rusty Ryan, ma è tenente; le grigie stelle e strisce che sventolano all’inizio e alla fine sono una citazione d’una foto di Mapplethorpe. 5 Oscar: regia, fotografia (Janusz Kaminski), suono (R. Judkins, G. Rydstom, G. Summers, A. Nelson), effetti speciali sonori (G. Rydstom, R. Hymns), montaggio (M. Kahn). Successo internazionale e terzo posto nella lista degli incassi sul mercato italiano nella stagione 1998-99.
[+] lascia un commento a great steven »
[ - ] lascia un commento a great steven »
|