Grandiosa trasposizione della tragedia shakespeariana in cui tutto è maestoso e colossale, quasi come l’ego del regista. Fastose l’ambientazione e la scenografia, barocca, luccicante, già di per sé imponente, ma ancor più aumentata dalla presenza di specchi che ne moltiplicano luce e profondità; enorme il numero delle comparse, che rendono la scena del matrimonio tra i due amanti monumentale, più adatta all’incoronazione di un imperatore che alle nozze di una regina, vedova da poco; incredibile la serie di grandissimi attori, scelti anche per i ruoli minori, tra cui Billy Crystal nella parte del becchino, Robin Williams in quella di Osric, Rufus Sewell per Fortebraccio e persino comparse di gran lusso come Lemmon, Depardieu, Charlton Heston, Timothy Spall, Sir Gielgud e Judi Dench.
Straordinaria anche la durata, 4 ore, per l’allestimento integrale dell’opera, in cui il testo di Shakespeare è riportato fedelmente, fino all’ultima sillaba.
La storia è ambientata da Branagh nell’800, in uno sfarzoso palazzo imperiale, arredato e decorato con un gusto ridondante che accresce la grandiosità del film, e i costumi altrettanto sontuosi completano la cornice di questo spettacolo superbo.
Branagh è un Amleto classico, con tanto di abito nero e capello biondo, ma nella regia si prende qualche libertà, e utilizzando lo strumento tipicamente cinematografico del flashback, ci mostra scene che in realtà mancano nel testo: così, ad esempio, assistiamo direttamente all’omicidio del re mentre viene narrato dal fantasma, possiamo vedere la romantica figura di Yorick nei ricordi di Amleto e siamo testimoni della passione sensuale tra Amleto e Ofelia, che Branagh decide di esibire esplicitamente, mentre nel testo originale era solo suggerita dalle parole.
E’ un Amleto statuario, che vive la sua vendetta quasi come un eroe della tragedia greca, ma si lascia prendere la mano dallo slancio finendo per diventare un po’ troppo istrionico, al punto da mettere spesso in ombra i pur bravissimi comprimari, Jacobi, Christie e Winslet eccezionali. Superfluo dire che sono tutti straordinari, al punto che il film, pur eccessivamente lungo, scorre come un fiume in piena e ipnotizza lo spettatore, senza cali di attenzione, senza momenti di stanchezza o di distrazione, senza pause di emozione.
Nella scena del duello con Laerte sembra quasi che le comparse, anche qui numerose, facciano da pubblico all’esibizione del protagonista, che trasforma un irruento ma dignitoso duello ottocentesco in una performance degna di Fairbanks, con inseguimenti e assalti di spada sulle scale, una spettacolare discesa appeso ad una corda, e persino il lancio finale della spada con cui infilza lo zio assassino, seduto sul trono che ha usurpato.
Per non parlare della scena conclusiva: Amleto è ormai defunto, ma riesce ad essere ancora protagonista assoluto, prima portato via a braccia in una posa che ricorda la crocifissione, poi composto nella bara, al centro di un’inquadratura ancora una volta grandiosa, dove allo sfavillio dell’oro si sostituisce il nero assoluto della bara e degli astanti, che contrasta drammaticamente con il bianco della neve.
Ogni immagine trasuda fastosità, ed è indubbiamente il risultato della smisurata ambizione del regista; ma l’ambizione a volte può essere positiva, e portare a risultati altrimenti irraggiungibili.
Branagh realizza un film spettacolare e, al di là delle sue manie di grandezza, è indiscutibilmente bravissimo.
O si ama o si odia, ma non lascia indifferenti.
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