Corri uomo corri

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La furbizia è più utile delle teorie Valutazione 4 stelle su cinque

di Gianni Lucini


Feedback: 29144 | altri commenti e recensioni di Gianni Lucini
martedì 13 settembre 2011

Dopo Faccia a faccia, con Corri uomo corri Sergio Sollima chiude la sua trilogia western di stampo terzomondista. Nel 1968, un anno dopo il grande successo de La resa dei conti il regista riporta sullo schermo il personaggio di Cuchillo, il peone il cui nome è stato mutuato da un personaggio minore di Per qualche dollaro in più di Sergio Leone. Rispetto alla sua prima avventura molte cose sono cambiate. La prima e la più importante è che il messicano capace di mettere nel sacco gli inseguitori è diventato un eroe per molti giovani impegnati nei movimenti studenteschi e sociali di quel periodo di lotte e contestazioni che è destinato a restare nell’immaginario collettivo con il nome di Sessantotto. La sua popolarità è tale che il movimento politico d’estrema sinistra Lotta Continua lo ha adottato come simbolo e la sua frase «Adiòs, non mi prenderete mai, Cuchillo se ne va!» è un tormentone diffusissimo anche tra le fasce giovanili meno politicizzate. La sua riproposizione sullo schermo non può prescindere da questa situazione e Sergio Sollima sa benissimo che il personaggio è da utilizzare con molta cura. Va trattato con rispetto e, soprattutto, con l’accortezza di non snaturarne i caratteri per evitare di deludere i suoi ammiratori. Il regista accetta la sfida. Il povero peone che nel primo film era costretto a diventare antieroe perchè il caso l’aveva fatto finire in un gioco più grande di lui questa volta accetta consapevolmente di correre qualche rischio per recuperare un tesoro che serve ai rivoluzionari. Un passaggio simile, naturalmente, non può avvenire all’improvviso e, quindi, Sollima gli affianca Ramirez, un maestro incontrato in carcere, che non cerca di indottrinarlo ma si limita a sollecitarne gli istinti e l’intelligenza per fargli leggere la realtà cogliendo l’ingiustizia e la necessità di cambiare le cose. Riprendendo parte della lezione svolta in Faccia a faccia, il regista attribuisce così all’istinto e alla capacità di resistenza degli uomini non ancora corrotti da dosi eccessive di teoria la possibilità per la rivoluzione di vincere. Bastano istinto e furbizia, due campi nei quali Cuchillo eccelle.

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