Ladri di biciclette

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Un film di Vittorio De Sica. Con Lamberto Maggiorani, Lianella Carell, Elena Altieri, Enzo Staiola, Vittorio Antonucci.
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Drammatico, Ratings: Kids+13, b/n durata 92 min. - Italia 1948. - Cineteca di Bologna uscita lunedì 4 febbraio 2019. MYMONETRO Ladri di biciclette * * * * 1/2 valutazione media: 4,89 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

LADRI DI BICICLETTE Valutazione 4 stelle su cinque

di BALDO


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martedì 13 marzo 2007

LADRI DI BICICLETTE Un film di Vittorio De Sica. Con Lamberto Maggiorani, Lianella Carell, Elena Altieri, Enzo Staiola, Vittorio Antonucci, Memmo Carotenuto, Gino Saltamerenda, Giulio Chiari, Mario Meniconi, Ida Bracci Dorati, Fausto Guerzoni, Carlo Jachino, Sergio Leone, Massimo Randisi, Checco Rissone, Michele Sakara, Peppino Spadaro, Nando Bruno, Giovanni Corporale, Giulio Battiferri, Eolo Capritti, Emma Druetti. Genere Drammatico, b/n, 92 minuti. Produzione Italia 1948. Dopo due anni dall’assoluto capolavoro pluripremiato, addirittura anche con l’Oscar, del cinema neorealista “Sciuscià”, uscito nel 1946, Vittorio De Sica torna nuovamente sul grande schermo con uno di quei film che faranno parlare per anni e anni, quale è “Ladri di Biciclette”(1948). Vantando l’illustre collaborazione del genio di Zavattini, e la libera interpretazione dall’omonimo romanzo di Bartolini, Ladri di Biciclette impiegherà non più di qualche settimana ad imporsi sul mercato cinematografico internazionale e mondiale. Il film narra la storia di un pover’uomo, così potremmo senza alcuna ombra di dubbio definire il protagonista Antonio Ricci, da non confondere con l’attuale re della junk-television, che dovrà affrontare mille peripezie solamente per trovare un lavoro dignitoso e tenerselo stretto ; il tutto avverrà in uno scenario desolato di una Roma reduce da bombardamenti e guerriglie. Il nostro protagonista riesce , con qualche sforzo, a trovare finalmente un’occupazione, non delle migliori, ma di certo un impiego dignitoso che potesse assicurargli il minimo indispensabile per procurarsi il cibo. Tuttavia per svolgere la sua funzione, quella dell’attacchino appunto, doveva essere necessariamente provvisto di una bicicletta, strumento che oggi giorno per noi è scontato e accessibile a tutti, ma che allora, in un Italia da ricostruire, veniva considerato quasi come un lusso, soprattutto dai ceti meno abbienti, che costituivano la stragrande maggioranza della popolazione. Antonio sarà costretto a chiedere un favore a sua moglie, che senza esitare più di tanto , e capendo a pieno la pietosa situazione, impegnerà sei dei suoi lenzuoli, per poter acquistare il velocipede. La sfortuna però vuole, che proprio durante il suo primo giorno di lavoro, il nostro attacchino, fresco di assunzione, venga derubato. Proprio da questo punto in poi inizierà la drammatica e avvincente epopea, che porterà Antonio a vagare per l’intera capitale senza alcun ausilio, se non quello di qualche fidato amico, come il netturbino Baiocco e del figlioletto Bruno, interpretato magnificamente. Il colpevole è un comune ragazzaccio di strada, che dopo diversi avvistamenti e inesorabili tentativi di fuga, verrà finalmente catturato, ma ciò nonostante subito rilasciato per insufficienza di prove, e come se non bastasse protetto da una folla di zotici che sommergerà di insulti e ingiurie i nostri due mal capitati, che nient’altro possono fare, se non andarsene con la coda tra le gambe. Il film si concluderà con una delle scene più pietose e riflessive di tutta la storia del cinema, che vede protagonisti un padre e un figlio ,distrutti dalla malasorte, in lacrime mentre percorrono la strada di casa, dopo il fallimento di un furto di una bicicletta incustodita, che non solo ha significato un insanabile danno alle loro finanze, ma anche un inguaribile maltrattamento della loro dignità che mai più scorderanno. Inevitabile è soffermarsi sulla rappresentazione nuda e cruda della realtà devastata che sommergeva l’Italia postbellica, una realtà in cui sorgeva naturale e spontaneo il rifiuto per quelli che erano i falsi valori dell’era appena conclusa, una realtà in cui non si poteva fare a meno di evidenziare lo stato indecente e il degrado in cui la nostra civiltà sprofondò a causa della guerra, una realtà comune a tutti accompagnata anche da una certa solidarietà che contraddistingueva quegli anni bui e cupi. L’opera di Zavattini e De sica, insieme a “Roma, città aperta”, sarà uno dei capisaldi su cui si reggerà e da cui prenderà spunto l’intera attività neorealista fino al 1952, data che coincide appunto con la conclusione di questo tanto acclamato movimento.

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