West Wing - Tutti gli uomini del presidente

Film 1999 | Drammatico

Regia di Chris Misiano, Alex Graves, Thomas Schlamme, Lesli Linka Glatter, Laura Innes, Vincent Misiano, Mimi Leder. Una serie con Allison Janney, John Spencer, Richard Schiff, Bradley Whitford, Rob Lowe (II). Cast completo Titolo originale: West Wing. Genere Drammatico - USA, 1999, Valutazione: 4 Stelle, sulla base di 1 recensione.

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Ultimo aggiornamento martedì 2 novembre 2010

La serie ha ottenuto 15 candidature e vinto 2 Golden Globes, 5 candidature e vinto un premio ai Emmy Awards, 17 candidature e vinto 6 SAG Awards, ha vinto 2 AFI Awards,

Consigliato assolutamente no!
n.d.
MYMOVIES
CRITICA
PUBBLICO 3,00
CONSIGLIATO N.D.

Più che un serial sulle vicende presidenziali dell’inquilino della Casa Bianca, si tratta di un telefilm magistrale su come fare comunicazione ai giorni nostri, meglio di qualsiasi trattato o manuale accademico. “Quello che abbiamo voluto mettere in scena – ha spiegato l’ideatore Aaron Sorkin – è quello che succede al Presidente degli Stati Uniti 2 minuti prima e 2 minuti dopo essere andato in onda sulla CNN”. Le astuzie, le insabbiature delle notizie, le conferenze stampa pilotate, le stesure dei discorsi da parte del ghost-writer, i do ut des con i giornalisti, le esclusive, le interviste concordate, le convenienze e le strategie: protagonista assoluta della serie è la comunicazione ai massimi livelli. Come un flusso che parte dallo Studio Ovale e poi si declina via via nell’ufficio stampa occupato con garbo e fermezza da Claudia Jean “C.J.” Gregg (Allison Janney), il cui peggiore incubo è quello di non venire informata delle decisioni supreme e doversi rifugiare in un “no comment”; nel direttore dello staff presidenziale Leo McGarry (John Spencer), colui che conosce da sempre e meglio di tutti il numero uno degli Stati Uniti, depositario di tutti i segreti della politica dell’Ala Ovest nonché del personalissimo dramma da ex alcolista che riemerge dal passato; nel cinico e instancabile direttore della comunicazione Toby Ziegler (Richard Schiff), di fede ebraica e incline a valutare tutti gli aspetti e le conseguenze delle esternazioni presidenziali; nel vicedirettore dello staff Josh Lyman (Bradley Whitford), idealista e per questo al centro di conflitti di scelta (talvolta per seguire la propria coscienza rischia di dar vita a una crisi politica); nell’astuto vicedirettore della comunicazione Sam Seaborn (Rob Lowe), animale da palcoscenico politico ma anche sciupafemmine dal cuore d’oro; nella consulente politica Madeline “Mandy” Hampton (Moira Kelly), già ex fiamma di Josh passata all’opposizione che ritorna alla stanza… ovile; giù giù, fino ad arrivare all’ultima segretaria di turno che sa dove sono le medicine del Presidente democratico Josiah Bartlet (interpretato da uno straordinario Martin Sheen), benvoluto da tutti per la sua umanità. Accanto alle vicende politiche scorrono in parallelo le piccole e grandi storie personali che talvolta affluiscono nelle riunioni dello staff (come quando Sam scopre di essere andato a letto con una prostituta e chiede consiglio sulla possibilità e la convenienza di incontrarla nuovamente, come quando Josh riceve la tessera magnetica da usare in caso di attacco nucleare ma poi la restituisce perché crede che non sia giusto accettarla e di essere un privilegiato, come quando Leo affronta in una conferenza stampa il suo dramma da alcolista, come quando il Presidente non può più nascondere di essere affetto da sclerosi multipla): per i protagonisti dello staff presidenziale non esiste vita privata, ogni loro problema si mescola con gli interessi della nazione, i dubbi e le perplessità svaniscono con la catarsi collettiva dentro la Stanza Ovale. E così prendono forma e consistenza anche i personaggi di contorno: la FirstLady Abigail “Abbey” Bartlet (Stockard Channing), protettiva sia nei confronti del marito che dell’uomo politico; Zoey (Elisabeth Moss) e Mallory (Allison Smith), le figlie – rispettivamente, la minore e la maggiore – della coppia presidenziale; Charlie Young (Dule Hill), l’aiutante personale del Presidente; il VicePresidente John Hoynes (Tim Matheson), al quale si ricorre in più di una circostanza per risolvere situazioni ingarbugliate; il reporter Danny Concannon (Timothy Busfield), corteggiatore assiduo (e, dopo molti tentativi, con successo) di C.J.; l’assistente di Josh, Donna Moss (Janel Moloney). Successivamente entrano in scena il vicedirettore della comunicazione Will Baitley (Joshua Malina); la viceconsulente della sicurezza nazionale Kate Harper (Mary McCormack); Matt Santos (Jimmy Smits), in corsa alle elezioni presidenziali per i democratici; Arnold Vinick (Alan Alda), il candidato alla Casa Bianca dei repubblicani; il nuovo vicepresidente Bob Russell (Gary Cole). La telecamera accompagna i protagonisti per i corridoi e per gli uffici dando l’impressione al telespettatore di vivere le vicende in soggettiva; non c’è il montaggio schizofrenico proprio di altre serie reality, ma i dialoghi serrati risultano a loro modo thriller quanto una sparatoria per le strade di New York o quanto un intervento chirurgico nelle corsie di Chicago; l’unica azione concessa a Washington è quella della parola: soppesata, studiata, temuta, azzardata; una parola di troppo può innescare reazioni negative, campagne antigovernative, dibattiti nei talk-show di prima serata, incidenti diplomatici. Ai numerosi riconoscimenti in patria – tra cui ben 24 Emmy Awards (di questi, 9 solo nel 2000, cosicché West Wing è diventata la serie più premiata dagli Oscar tv americani in una sola stagione), 2 Golden Globes, 3 Viewers for Quality Television Awards, 4 Television Critics Awards, 2 ASC Awards, 2 Peabody Awards, un ALMA Award, 2 ASC Awards, 2 Artios, 2 Cinema Audio Society Awards, 2 Family Television Awards, 4 Golden Satellite Awards, 6 Screen Actors Guild Awards, 2 WGA Awards, 3 Tv Guide Awards, 2 DGA Awards, 3 Humanitas Prizes e 3 Q Awards – si sono aggiunte le critiche entusiastiche allo sbarco in Italia (“una sorta di E.R. della politica – ha scritto Aldo Grasso sul “Corriere della Sera” – una lezione di senso del racconto, ritmo, montaggio, recitazione”). Ai consensi si è contrapposto il diniego dell’ex presidente George Bush a partecipare a una puntata dal taglio documentaristico girata due settimane dopo l’11 settembre 2001 che ospitava alcuni ex inquilini della Casa Bianca (Carter, Clinton e Ford hanno accettato). Ispirandosi al discorso che Bush ha fatto al Congresso il 20 settembre 2001, una puntata immagina un presunto terrorista infiltratosi tra il personale della Casa Bianca; il presunto kamikaze viene interrogato sulla scorta dei puntichiave dell’enunciato del “vero” Presidente (gli americani sono contro il terrorismo, non contro l’Islam o gli arabi; si parla di eroi, non di martiri; si vuole giustizia, non vendetta; la libertà vince sempre, il terrore mai); l’agente dell’FBI conduce l’interrogatorio come un professore di Harvard, il sospettato è laureato al MIT, conosce i suoi diritti ed è islamico praticante ma non fondamentalista; alla fine si tratta di un’omonimia e il vero terrorista viene arrestato in Germania. Oltre allo stesso Sorkin, firmano da produttori esecutivi: Thomas Schlamme (altresì regista della puntata-pilota) e John Wells (già dietro le quinte di E.R. – Medici in prima linea, 1994), Chris Misiano, Alex Graves. La colonna sonora è affidata a W.G. Snuffy Walden – autore anche del tema musicale – e a Roxanne Lippel. Tra i volti noti che sfilano: Karl Malden è padre Thomas, colui che confessa Bartlet pochi minuti dopo una condanna a morte inevitabile che gli ha causato un conflitto di coscienza; Marlee Matlin è Joey Lucas, che fa del suo mutismo un’arma politica (e di fascino, almeno a vedere la reazione di Josh); David Hasselhoff compare nei panni di sé stesso; Laura Dern è la poetessa Tabatha Fortis. Altre guest-stars in cartellone sono Matthew Perry, Christian Slater, Emily Procter, Glenn Close, Jorja Fox, Ron Silver, Evan Rachel Wood, Mark Harmon, James Brolin, Emilio Estevez e, nei panni di sé stesso, James Taylor. Con l’America sull’orlo di un attacco all’Iraq, l’attore Martin Sheen ha criticato la linea della Casa Bianca protestando con tanto di striscioni in una manifestazione antibellica tenutasi a San Francisco nel febbraio 2003.


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