Anno | 2021 |
Genere | Documentario |
Produzione | Francia |
Durata | 72 minuti |
Regia di | Yves Montmayeur |
Tag | Da vedere 2021 |
MYmonetro | Valutazione: 3,50 Stelle, sulla base di 2 recensioni. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 22 aprile 2022
Chi è Takeshi Kitano? L'icona del nuovo cinema giapponese? Un anarchico comico televisivo? Il cantore di profondi silenzi? Un artista dai molteplici talenti?
CONSIGLIATO SÌ
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Talento internazionalmente riconosciuto grazie al Leone d'oro a Hana-bi nel 1997, Takeshi Kitano era già popolarissimo in Giappone negli anni '80 come mattatore televisivo. Ma ha avuto difficoltà ad imporsi con autorevolezza nel Paese d'origine (prima di lui solo i connazionali Akira Kurosawa e Hiroshi Inagaki erano stati premiati dalla Biennale). Prima ancora che come regista, come attore anche drammatico, per via del pregiudizio legato alla maschera comica che lo ha caratterizzato dagli esordi in teatro. Eppure è indubbio che queste (almeno) due anime - il pagliaccio che fa satira sul potere e l'impassibile criminale che non ha niente da perdere - convivano in Kitano in una dialettica affascinante. Dualismo che a lui si manifestò in tutta la sua chiarezza quando, intrufolatosi in un cinema di Tokyo per tastare le reazioni al suo primo ruolo di peso sul grande schermo, si accorse delle risate sulla sua entrata in campo in Furyo di Nagisa Oshima. "Dovevo preparare il pubblico per essere accettato sotto questa nuova luce (...) doveva capire che non ero solo un comico e che quando interpretavo uno yakuza non doveva ridere. Una bella sfida!". La vera sorpresa la farà lui al pubblico, debuttando come regista nel 1989 con Violent Cop, e realizzando a seguire un florilegio di film spiazzanti, nuovi, spericolati, meritatamente ospitati dai festival più prestigiosi. Opere che non inseguivano altre mode ma che hanno innovato il linguaggio, creato epigoni e un culto di fanatici.
Approfittando della personale di Kitano pittore tenutasi alla Fondation Cartier di Parigi (2010) e tenendo come traccia l'attaccamento dell'artista alla spontaneità della propria dimensione infantile, Yves Montmayeur, già autore di ritratti su Guy Maddin e Michael Haneke, confeziona una descrizione ricca e documentata di una personalità creativa multipla e iperattiva, fornendo molte informazioni basilari sulla sua infanzia e formazione professionale, a volte integrate da eleganti disegni, lì dove l'apparato iconografico manca.
A tenere i fili rossi del profilo è Michel Temman, giornalista francese (autore della monografia "Kitano par Kitano", Grasset), insieme a pochi, selezionati collaboratori e colleghi di Beat Takeshi. Il taglio è anti didattico, il montaggio invisibile, le scene estratte dai film (da Sonatine a Outrage) pertinenti alla costruzione di un complesso profilo psicologico. Sfilano gli anni difficili del dopoguerra, del crescere in un quartiere e una famiglia poveri, l'attrazione per la vita di strada e la scoperta contemporanea della malavita e del teatro ambulante (kamishibai); il periodo universitario da aspirante ingegnere a testimoniare i suoi interessi anche in ambito scientifico, quindi l'arrivo del cinema statunitense con la modernizzazione del Paese, la folgorazione per Chaplin e Laurel & Hardy, l'apprendistato nel cabaret tradizionale (manzai), da solo e poi in duo, il successo travolgente in tv.
Tante tessere di un mosaico che convivono e contribuiscono a comprendere meglio una figura misteriosa, schizofrenica. Ma anche l'uso della violenza, del silenzio, della dilatazione temporale che ricorrono nei suoi film, dato che tra le tante interviste riportate, il regista si addentra volentieri nei meccanismi del processo creativo. Il motivo del mosaico è anche nella fisionomia dell'attore che nel '94, dopo un incidente in moto, si è ritrovato, à la Montgomery Clift, la faccia da ricostruire. E quindi nuovi tic e fissità da controllare, oltre al proprio equilibrio psichico, bilanciato dall'attività di pittore. Citizen K tiene insieme l'uomo dalle mille vite, l'autodidatta iconoclasta ma anche il vero samurai, il buffone antisistema che si prende in giro e il professionista che fa le cose sul serio. Il fool shakespeariano e il vendicatore degli emarginati. Un bambino del 1947 che irride l'autorità ma sa far trasparire la felicità pudica dell'essere apprezzato per la sua sintesi grafica che è l'essenza della tradizione giapponese. Accade quando parla una leggenda come Akira Kurosawa: "Mi sono piaciuti tutti i tuoi film, Beat. E sai perché? Perché non danno spiegazioni superflue".
Approfittando della personale di Kitano pittore tenutasi alla Fondation Cartier di Parigi (2010) e tenendo come traccia l’attaccamento dell’artista alla spontaneità della propria dimensione infantile, Yves Montmayeur confeziona una descrizione ricca e documentata di una personalità creativa multipla e iperattiva, fornendo molte informazioni basilari sulla sua infanzia e formazione professionale, a volte integrate da eleganti disegni, lì dove l’apparato iconografico manca.
A tenere i fili rossi del profilo è Michel Temman, giornalista francese (autore della monografia “Kitano par Kitano”, Grasset), insieme a pochi, selezionati collaboratori e colleghi di Beat Takeshi. Il taglio è anti didattico, il montaggio invisibile, le scene estratte dai film (da Sonatine a Outrage) pertinenti alla costruzione di un complesso profilo psicologico.
Il film tiene insieme l’uomo dalle mille vite, l’autodidatta iconoclasta ma anche il vero samurai, il buffone antisistema che si prende in giro e il professionista che fa le cose sul serio. Il fool shakespeariano e il vendicatore degli emarginati. Un bambino del 1947 che irride l’autorità ma sa far trasparire la felicità pudica dell’essere apprezzato per la sua sintesi grafica che è l’essenza della tradizione giapponese. Accade quando parla una leggenda come Akira Kurosawa: “Mi sono piaciuti tutti i tuoi film, Beat. E sai perché? Perché non danno spiegazioni superflue”.
Alla fine il grande Beat Takeshi non ce l'ha fatta a raggiungere Udine. Lo scorso 29 aprile l'oggettiva difficoltà di spostarsi tra paesi lontani, in un mondo fiaccato da restrizioni sanitarie e guerre in corso, ha prevalso sul desiderio di esserci. Ma il collegamento a distanza con Kitano, nel momento della consegna virtuale del Gelso d'Oro alla Carriera all'immenso cineasta giapponese, poco prima [...] Vai alla recensione »