Paolo D'Agostini
La Repubblica
Le tecniche digitali per il cinema: un miracoloso lasciapassare per fare capolavori? Giuseppe Bertolucci non è tipo da civettare con certe ingenuità. Ma nell'avventura del suo L'amore probabilmente, realizzato con quelle minuscole videocamere che spesso vediamo in mano a turisti e ragazzi, ha messo l'entusiasmo dello sperimentatore al servizio di un'appassionata sfida. Quella di indagare nelle pieghe del meccanismo creativo, del processo di costruzione del film. Ed è convinto di essere riuscito a comunicare la carica emotiva e passionale che lui, e su questo non c'è dubbio, ha investito. Al centro di tutto, confermando una speciale sensibilità agli attori, soprattutto ai personaggi femminili, il regista ha messo Sonia Bergamasco, giovane attrice nei panni di una giovane attrice. Ai primi passi della carriera, Sofia si imbatte in tre modelli di recitazione incarnati da Mariangela Melato, Stefania Sandrelli e (nelle intenzioni, ma la diva è presente solo per interposto film d'epoca: Eugenia Grandet di Mario Soldati) Alida Valli. Ciascuna la indirizza secondo il proprio credo: la rappresentazione è menzogna dice la prima, è verità dice la seconda, illusione dice la terza. Sofia applica questi principi non all'artificio della scena ma alla propria vita. Ma l'aver mentito al fidanzato Fabrizio Gifuni le si ritorce contro: lui la tradisce da un pezzo con la migliore amica Rosalinda Celentano. Ma il dire la verità alla moglie di un uomo con il quale ha diviso un breve incontro sessuale non farà che portare sofferenza. Non le resta che abbracciare la terza ipotesi "diventando" il personaggio che deve interpretare e soggiogando il regista che le fa un provino. Suggestioniin abbondanza, preziosa ricerca di stile. C'è un gusto raffinato in ogni apparente "sporcatura" o casualità. Restiamo però incerti davanti alla domanda: riesce a emozionare?
Da La Repubblica, 30 agosto 2001
di Paolo D'Agostini, 30 agosto 2001